Lui e il volto nudo.
Pudore di Angelo Andreotti è un testo ricco di afflato spirituale in uno stile personalissimo ed affascinante.
Il tema è quello del silenzio, condizione ineludibile per accedere all’esperienza dello spirito (in ogni religione), ma qui vissuto sul piano laico-filosofico.
È quel silenzio che immette al cospetto della morte sulla scia dei grandi filosofi stoici (Epicuro, Seneca e poi Montagne, Spinoza fino a Wittgenstein, a Simone Weil) maestri di sapienza umana nell’accoglienza della morte.
E, non c’è sapienza che non nasca e non cresca nel silenzio, e non solo quello interiore (dell’io con se stesso), ma anche quello che favorisce la comunicazione, quando la parola muore sulle labbra, ci si guarda in silenzio e si dice tutto.
Allora la verità appare nuda, libera, sovrana come in Pudore, verità che l’autore vede sul volto nudo. La verità appare allora per quella che è in se stessa e permette la “comprensione” quale processo di interiorizzazione reciproca.
* * *
Un bianca stanza d’ospedale. Una porta chiusa, una finestra aperta, un lettino con accanto un comodino in metallo grigio come l’orizzonte al di là della finestra, fallimento di un viaggio.
Sul cuscino del letto un volto affossato, scavato, assente.
Un viaggio terreno sta per concludersi.
Ai piedi del letto lui, non per caso in quella stanza.
Tutto sembra immobile, quasi surreale e in un tempo sospeso.
Non c’è tempo, non c’è passato e futuro, ma un lungo, inesauribile presente sospeso, perennemente sospeso.
Nel silenzio della stanza s’intrecciano parole che l’aria non traduce in suoni, ma in leggere vibrazioni luminose.
Vibrazioni che diventano dialogo tra due persone che certamente si sono amate e si amano ancora.
Dialogo silenzioso. Ciascuno intuisce quel che l’altro sente e pensa,ma nessuno dei due sente il bisogno di dire.
Lui e il volto nudo sono anime di due corpi che si sono fatti sonori: dicono senza parlare, carichi di tutte le vibrazioni dello spirito… dice cose che solo così può dirgli, che mai gli ha detto, e che non gli direbbe se non avesse visto la nudità di quel volto e sentito quel pudore nel proprio sguardo… gli parla senza cercare le parole. Lasciando che queste parole liberamente versino nel significato quel che di più possiedono.
Silenzio, nudità, dialogo intimo: presa di coscienza del niente, della nudità, delle mani vuote, ma… non è il “nulla”.
Quelle poche cose salvate diventano pienezza ineffabile dell’essere.
È come vedere l’invisibile, udire l’inudibile, respirare il proprio essere, oltre l’orizzonte.
Le poche cose portate in salvo sull’orlo del precipizio, nel silenzio, non danno l’angoscia del Nulla, ma la vertigine dell’Essere che annienta.
L’angoscia abita soltanto nella tenebra dell’esistere e della realtà di ogni cosa, ma quando nelle parole del silenzio si coglie l’essenza di ogni cosa, sfiora la vertigine dell’Essere, s’avverte la certezza di essere salvati dal precipizio e di cadere nella pienezza dell’Essere stesso.
Svanisce il luogo? si dissolve il fallimento del viaggio? No.
Non ci divora il tempo, né ci assorbe lo spazio, non ci ingoia l’abisso.
Ci assorbe l’Essere.
Giuseppina Rando