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Marisa Cecchetti: Chiamarlo amore non si può 
Questa barbarie che porta sgomento
01 Giugno 2014
 

Autrici varie

Chiamarlo amore non si può

23 autrici raccontano ai ragazzi e alle ragazze la violenza contro le donne

Casa editrice Mammeonline, 2013, pp. 182, € 13

 

«I mostri si celano spesso dietro sembianze accattivanti e alcuni abitano anche dentro di noi. Ho dovuto imparare a riconoscere i mostri, per capire contro chi ribellarmi». È una Cenerentola molto consapevole, non più la ragazzina della fiaba, che riconosce il diritto alla ricerca della felicità, ma nel rispetto della dignità umana, una ricerca paziente carica di perseveranza a speranza. E ricorda l’importanza delle fiabe, «che sono regno di passione e dolore… Curano ferite e nutrono i sentimenti. E mostrano che è possibile autodeterminarsi, anche imparando a chiedere aiuto».

Le donne di questi racconti – parecchie adolescenti – hanno tutte incontrato il mostro, sotto le sembianze più varie. Innamorate, ma anche stupite, affascinate, da un lui che dapprima si mostra amabile poi le trasforma in propria vittima, o le plagia e punta ad annullarne la personalità, azzerandone la libertà di scelta.

Ci sono uomini che non sanno amare, che ripetono modelli familiari negativi, non abituati alla sconfitta, pronti al ricatto, alla violenza fisica e psicologica, che mettono le mani sul corpo della donna e ne vorrebbero succhiare anche l’anima.

Ci sono adolescenti gravate da sensi di colpa, scaraventate in fondo all’abisso dopo il crollo dei sogni, che comunque riemergono e ricostruiscono il loro percorso quando hanno il coraggio di denunciare, di fare scelte vitali. Racconti che dimostrano che ci si salva se si cerca l’aiuto di una persona di fiducia, perché da sole non si può. Ma non sempre si trova la forza per reagire al sudicio che ci si sente addosso. Ed allora è tragedia.

Si aprono interni di famiglie dove i figli ascoltano e osservano inorriditi e impotenti, dove l’offesa e la violenza sottolineano l’assoluta mancanza di rispetto della figure femminile, dove gli uomini sono davvero padroni. Si scoprono donne che si sentono incatenate, vittime anche dell’ipocrisia di chi dovrebbe stare dalla loro parte, che tollerano tutto nella speranza di tutelare in questo modo i figli. Ma c’è anche l’estremo atto di amore di una madre senza speranza che salva la figlioletta affidandola ad una sconosciuta: «custodiscila e insegnale a pregare un dio, qualsiasi, ma fa che possa guardare il cielo almeno una volta al giorno». Alla fine è la donna che trova il coraggio. Per amore. E per rispetto di sé.

Sono racconti carichi di dolore, sono un grido e un je t’accuse fortissimi contro il maschio, ma allo stesso tempo quasi pretendono che si punti, in tutti i contesti formativi, su una nuova e concreta forma di dialogo, di analisi delle situazioni, di educazione dei giovani, perché diventino adulti consapevoli. Perché nessuno possa scambiare amore con possesso, né guardare alla donna come oggetto.

A chi ha vissuto dentro tutta la seconda metà del secolo scorso, come chi scrive, ed ha sperimentato le lotte, le conquiste delle donne – se si racconta alle nipoti tutto ciò che ci era negato sembra che apparteniamo al medioevo – questa barbarie a cui siamo arrivati porta sgomento, non solo per la violenza brutale che fa inorridire: si sente di essere tornate indietro, in una dimensione che non avremmo immaginato possibile. Pensavamo di stare avanzando, a piccoli passi, su una strada luminosa verso l’uguaglianza ed il rispetto, pensavamo di arrivare a conquiste definitive. Invece no.

Se la violenza è figlia dell’ignoranza, allora a che cosa è servita la cultura diffusa?

Purtroppo non è facile togliere il potere a chi l’ha avuto dal principio della storia, che è sempre stata declinata al maschile. Chi si vede togliere il potere lo difende nei modi più insidiosi e crudeli. Bisogna assolutamente insegnare l’amore, il rispetto, i diritti e la collaborazione. Altra strada non esiste.

 

Marisa Cecchetti


 
 
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