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Giovanni Bellini. La nascita della pittura devozionale umanistica
29 Maggio 2014
 

Uno dei caratteri essenziali dell’arte, consiste in una certa intrinseca «affinità» dell’arte con la religione, che fa gli artisti in qualche modo interpreti delle infinite perfezioni di Dio e particolarmente della sua bellezza ed armonia. La funzione di ogni arte sta infatti nell’infrangere il recinto angusto e angoscioso del finito, in cui l’uomo è immerso, finché vive quaggiù, e nell’aprire come finestra al suo spirito anelante verso l’infinito.

(Discorso di Pio XII agli Espositori della VI Quadriennale Romana, 08/04/1952)

 

 

Il restauro della celebre Pietà di Giovanni Bellini, appartenente alla Pinacoteca di Brera, è l’occasione per ripercorrere la prima carriera del pittore veneziano, grande protagonista dell’arte rinascimentale italiana, attraverso il particolare angolo di visuale offerto dal suo modo di affrontare il tema del Cristo in pietà, che ricorre con frequenza nella produzione dell’artista e della sua efficientissima bottega. La mostra aperta nella pinacoteca di Brera, con il titolo Giovanni Bellini. La nascita della pittura devozionale umanistica” a cura di Sandrina Bandera, Matteo Ceriana, Keith Christiansen, Emanuela Daffra, Andrea De Marchi e Mariolina Olivari, resterà aperta fino al 13 luglio 2014.

Giovanni Bellini sviluppa in senso moderno la tradizione iconografica bizantina, richiamata in mostra dalla piccola tavola con Cristo in pietà con la Vergine dolente del Museo Horne di Firenze (prima metà del XIV secolo). Da inventari sappiamo infatti che nella città lagunare le icone di Cristo erano una presenza familiare nelle case e nei conventi ed erano dunque parte integrante delle consuetudini visive degli artisti veneziani. Un importante codice della Biblioteca Trivulziana di Milano, l’Istrias, composizione poetica dell’umanista veneziano Raffaele Zovenzoni, che vi è ritratto in una miniatura (1474) attribuita allo stesso Giovanni Bellini, vuole documentare l’ambiente culturale veneziano nel quale si trovò ad operare il pittore.

Sono presentate in mostra la Pietà marmorea della chiesa di San Gaetano a Padova, attribuita all’ambito di Donatello, e quella di Andrea Mantegna dalla cimasa del polittico padovano di San Luca (Pinacoteca di Brera), riferimenti per le più antiche realizzazioni belliniane del tema, la lunetta con la Pietà di uno dei trittici di Santa Maria della Carità a Bergamo e la Pietà del Museo Correr di Venezia. Dalla National Gallery di Londra sono giunte due altre versioni del soggetto attribuite a Marco Zoppo e Giorgio Schiavone.

Alcuni rarissimi e preziosi disegni attribuiti ad Andrea Mantegna e a Giovanni Bellini, illustrano il lavoro concettuale e progettuale che sta dietro a queste immagini, e il ‘dialogo’ tra i due cognati tra sesto e settimo decennio del XV secolo.

La sezione centrale della mostra presenta la straordinaria Pietà di Brera, resa finalmente leggibile anche nei suoi valori cromatici dal recente, complesso restauro.

«Se questi occhi turgidi evocano gemiti, l’opera di Giovanni Bellini potrebbe piangere». L’iscrizione in versi appare su un cartellino posto sul fronte del sarcofago. L’artista ha parafrasato un’elegia del poeta latino Properzio, includendovi con originalità la propria firma. Nell’istituire un parallelo tra il pianto dei protagonisti e quello dell’immagine, il pittore intende sollecitare la partecipazione emotiva del devoto, ma l’espediente si trasforma soprattutto in un’autocelebrazione tutta umanistica del fare artistico, della sua capacità di essere fedele al vero, al punto di provocare effetti identici. Nello stesso tempo, viene evocato il potere miracoloso attribuito in Oriente ai dipinti religiosi, dove l’immagine coincide con la realtà, come se i personaggi raffigurati si trovassero davvero di fronte allo spettatore. Bellini mette in atto ogni possibile espediente drammatico, creando un’opera di grande impatto emozionale che costruisce il capolavoro della sua fase giovanile. La scelta di raffigurare i personaggi a mezzo busto li avvicina infatti all’osservatore e, collocandoli all’interno del sarcofago, l’artista introduce un’ulteriore nota poetica.

Il bordo esterno della tomba serve da frontiera ideale tra il nostro spazio e quello divino, ma la stessa separazione viene negata dalla mano di Cristo, che ricade in primissimo piano, mettendo anche in risalto l’iscrizione. Alle mani, così come ai volti, è affidato un muto, drammatico dialogo. Alle dita contratte e pallide di Gesù si contrappongono infatti quelle vive, rosee, di Maria e Giovanni. La Vergine sostiene il Figlio in uno struggente abbraccio, accarezzando il suo volto con il proprio e guardandolo con occhi dolenti. La loro vicinanza è sottolineata per contrasto dall’allontanarsi dell’apostolo, che distoglie il viso da Cristo, aprendo la bocca in un gemito. Lo sfondo è affidato in massima parte al cielo striato da nuvole, che permette all’osservatore di concentrarsi completamente sulle figure. Il tono freddo della tavolozza è il segno più immediatamente percepibile del distacco di quest’opera dalla tradizione pittorica lagunare, dal colore saturo e dorato delle icone così come da quello pieno e smaltato delle opere del Vivarini. Accanto a questo capolavoro della Pinacoteca di Brera viene posta, per la prima volta, l’intensissima, grande versione del soggetto di Palazzo Ducale a Venezia. Intorno a questo nucleo centrale sono esposte la Pietà del Museo Civico di Rimini e quella già alla sommità della Pala Pesaro di Giovanni Bellini, ora conservata ai Musei Vaticani. Questi due capisaldi dell’ottavo decennio del Quattrocento, che propongono in composizioni risolte diversamente il tema della morte salvifica di Cristo – Cristo in pietà tra angeli nella tavola riminese e invece Cristo tra la Maddalena, Nicodemo e san Giuseppe d’Arimatea in quella ai Vaticani –, furono un punto di riferimento ineludibile per molta pittura del tempo, e non solo veneziana, come dimostra la sofferta rimeditazione che ne trasse, decenni dopo, Carlo Crivelli nella lunetta che sovrasta l’Incoronazione della Vergine conservata a Brera.

Chiude questa rassegna di 26 sceltissime opere la cruciale Madonna col Bambino in trono di Giovanni Bellini (Venezia, Gallerie dell’Accademia), che fonde in un unico dipinto il tema della Madonna e quello della Pietà, raffigurando in un’intensissima immagine sineddotica il Bambino sul grembo della Vergine, con un braccio abbandonato nel sonno che prefigura la futura morte.

 

Maria Paola Forlani


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