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La sentenza n. 4418/2009 del Tribunale di Brescia
29 Maggio 2014
 

Passata in giudicato, avendo la Corte di Cassazione respinto, il 25 marzo scorso, il ricorso proposto dal giornale, diventa esecutiva la condanna del Gazetin per diffamazione del Giudice Fanfarillo del Tribunale di Sondrio

 

 

Pubblichiamo il testo della sentenza del Tribunale di Brescia n. 4418 del 25 novembre 2009, della cui pronuncia già vi avevamo dato notizia ne 'l Gazetin del dicembre 2009 (Enea Sansi, “Ssst! La giustizia è al lavoro...”). Lo facciamo in forma integrale (note comprese), anziché “per estratto” come ci ordina il Giudice in applicazione della legge sulla stampa, ritenendolo comunque documento altamente istruttivo. Col rischio di tediare i lettori e sacrificando spazio per noi sempre prezioso, ma tant'è... Ai primi chiediamo uno sforzo di attenzione (ne vale davvero la pena) e, quanto a pagine del giornale, poiché ben presto non potremo più averne a disposizione è bene che ne facciamo (ancor più meticoloso, se possibile) buon uso.

 

REPUBBLICA ITALIANA/ IN NOME DEL POPOLO ITALIANO/ IL TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA/ Seconda Sezione Penale/ In composizione monocratica nella persona del Giudice/ dott. Paolo Mainardi/ ha pronunciato la seguente

SENTENZA/ nella causa penale a carico di

1) MOTTARELLI VANNA nata a Sondrio il 30/4/1949, ivi residente e dichiaratamente domiciliata F.ne Mossini n. 146/F/ LIBERA - PRESENTE

2) SANSI ENEA nato a Cosio Valtellino (SO) l'1/9/1957, ivi residente e dichiaratamente domiciliato via Bernasconi n. 18/ LIBERO - PRESENTE

difesi entrambi di fiducia dagli avv.ti Nicoletta Austoni e Franca Alessio del foro di Lecco

PARTE CIVILE: dott. Fabrizio Fanfarillo rappresentato e difeso dall'avv. Marco Bonomo del foro di Sondrio

IMPUTATI

Mottarelli Vanna/ A) del reato p. e p. dagli artt. 595 c.p. e 13 L. 47/48 perché, quale autrice dell'articolo intitolato “Fanfarillo one self man” apparso sul numero di agosto del mensile 'l Gazetin, offendeva la reputazione di Fanfarillo Fabrizio, magistrato del Tribunale di Sondrio e Giudice Delegato al fallimento della Gianoncelli Franco, Peppino e Bruno S.n.c., nonché dei soci illimitatamente responsabili, in particolare stigmatizzava i provvedimenti adottati dal suddetto magistrato ed implicitamente gli attribuiva intenti persecutori nei confronti dei falliti, affermando “il pugno di ferro del dottor Fanfarillo ha colpito due generazioni della famiglia Gianoncelli e ora si appresta a colpire la terza”./ In Sondrio, nell'agosto del 2004

Sassi (così nel testo, ndr) Enea/ B) del reato p. e p. dagli artt. 57, 595 c.p. e 13 L. 47/48 perché, quale direttore responsabile del mensile 'l Gazetin, ometteva di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto, il controllo necessario ad impedire che sul numero dell'agosto 2004 venisse pubblicato l'articolo intitolato “Fanfarillo one self man”, indicato al capo A), col quale veniva offesa la reputazione di Fanfarillo Fabrizio, magistrato del Tribunale di Sondrio e Giudice Delegato nella procedura relativa al fallimento della Gianoncelli Franco, Peppino e Bruno S.n.c., nonché dei soci illimitatamente responsabili./ In Sondrio, nell'agosto 2004

CONCLUSIONI

Il Pubblico Ministero: condanna a 1.000,00 euro di multa ciascuno, con attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante. Pubblicazione sentenza.

Il difensore di parte civile: condanna a pena di giustizia, risarcimento danni e spese come da note scritte.

La difesa: assoluzione perché il fatto non costituisce reato sia per mancanza dell'elemento soggettivo sia per l'esimente del diritto di critica ai sensi dell'art. 21 della Costituzione.

FATTO E DIRITTO

Con decreto che dispone il giudizio del G.U.P. presso il Tribunale di Brescia in data 4.3.2009 Mottarelli Vanna e Sansi Enea venivano tratti a giudizio per rispondere, rispettivamente, dell'imputazione di diffamazione aggravata a mezzo stampa e del connesso reato di cui all'art. 57 c.p. in danno di Fanfarillo Fabrizio, giudice in servizio presso il Tribunale di Sondrio, querelante e già costituito parte civile. All'udienza del 6 ottobre 2009, ammesse in parte qua le prove documentali e testimoniali indicate ed offerte dalle parti,1 si svolgeva l'istruttoria dibattimentale, con escussione testimoniale della persona offesa ed esame degli imputati. All'odierna udienza, quindi, acquisita a fini di procedibilità la denuncia-querela già presentata dal Fanfarillo (in data 1.10.2004), si procedeva alla discussione, ove le parti concludevano come in epigrafe, depositando la parte civile conclusioni scritte e nota spese come da rito.

Oggetto della contestata diffamazione è un articolo a firma Vanna Mottarelli comparso sul mensile 'l Gazetin, diretto da Sansi, che, facendo riferimento alla vicenda giudiziaria relativa al fallimento della società “GIANONCELLI FRANCO, PEPPINO E BRUNO s.n.c.” e dei suoi soci, ed alle plurime controversie a detto fallimento connesse, con riferimento al dr. Fanfarillo così di esprimeva: “Il pugno di ferro del dr. Fanfarillo ha colpito due generazioni della famiglia Gianoncelli e ora si appresta a colpire la terza”.

Essendo questa (e solo questa) l'espressione censurata dal Pubblico Ministero nella rubrica, la contestazione di diffamazione ha qui ad oggetto un'affermazione a contenuto evidentemente valutativo, svolta dall'autrice dell'articolo. In tal senso, essa va rettamente collegata ad un'attività di tipo non strettamente cronachistico ma di 'opinione', afferente il diritto non di cronaca ma di critica.

Compito del presente giudizio è, allora, da un lato, la verifica della sussistenza, nell'affermazione, di profili oggettivamente diffamatori; dall'altro, la verifica in ordine alla sussistenza dei presupposti fattuali legittimanti il diritto di critica, presupposti inerenti, come è noto: 1) la continenza delle espressioni utilizzate; 2) l'interesse pubblico della vicenda trattata; 3) la verità – non dell'affermazione, la quale, in quanto formulazione di un giudizio intellettuale, esprime solo un'opinione, di cui è possibile accertare la veridicità intrinseca, ma – dei fatti da cui origina l'attività elaborativa esplicata dall'opinionista, fatti che, nel non costituirne l'oggetto principale, hanno però normalmente la funzione di 'punto di partenza' del tragitto elaborativo che conduce alla formulazione dell'opinione (v. al riguardo, perspicuamente, Cass. Sez. 5 n. 20474/2002).

Muovendo dal carattere diffamatorio o non dell'opinione, osserva il decidente che l'attribuzione al dr. Fanfarillo dell'utilizzo di “un pugno di ferro”, nei più precisi termini di cui sopra, potrebbe di per sé prestarsi ad una duplice lettura: una oggettivamente denigratoria, per la quale essa evocherebbe un atteggiamento del Fanfarillo che, nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali, appositamente assumerebbe atteggiamento inflessibile proprio e solo nei confronti della famiglia Gianoncelli (melius di alcuni dei Gianoncelli: al riguardo v. ultra), con ciò denotando evidente parzialità ed ontologico venir meno ai suoi doveri di magistrato; l'altra, assai più benigna, per la quale essa designerebbe solo un atteggiamento generale di rigore ed inflessibilità del magistrato che, ove e in quanto applicata a tutte le vicende giudiziarie affidate alle sue cure, non designerebbe altro che un peculiare modo di essere, senza riflessi in punto corretto esercizio dei propri poteri-doveri – segnatamente in punto imparzialità –.

Ora, un simile, apparente dilemma può essere agevolmente sciolto alla stregua della complessiva – doverosa lettura dell'articolo: laddove l'enumerazione di diversi provvedimenti riguardanti la vicenda in questione indicherebbe proprio un magistrato che, nell'usare il pugno di ferro con alcuni, adotta parametri tutt'affatto diversi nei confronti di altri.

Va a questo punto proposta una breve sintesi dell'articolo:

- esso inizia con la parola “Vergogna”, che si riferisce al rigetto, da parte del Tribunale collegiale di Sondrio, dell'istanza di ricusazione proposta avverso il Fanfarillo dagli eredi di Lina Moretti (Giorgio, Diletto, Patrizia e Marinella Gianoncelli), madre di Franco, Bruno e Peppino Gianoncelli, quale giudice istruttore della causa promossa dal curatore del già nominato fallimento per l'impugnazione del testamento della predetta Lina Moretti, causa autorizzata dallo stesso Fanfarillo quale giudice delegato a quella procedura fallimentare.

- prosegue spiegando che la causa, 'accettata' e trattata da Fanfarillo, sarebbe poi passata al collega Pietro della Pona, e poi – s'intuisce dal tenore dell'articolo – nuovamente confluita nei ruoli di Fanfarillo, con 'inevitabile' ricusazione dello stesso;

- di seguito, al tratteggio del Tribunale di Sondrio quale ufficio globalmente avvezzo a rigettare i ricorsi volti alla ricusazione dei giudici, fa sponda l'indicazione del Fanfarillo quale giudice che, omettendo di astenersi “per gravi ragioni di opportunità”, avrebbe confermato lo “stile del personaggio”, quale “one self man” che contemporaneamente autorizza una causa, nomina il legale e pronuncia sentenza;

- a ciò si aggiungevano foschi presagi sulla 'gestione' della causa da parte di Fanfarillo (“potete immaginare con quale spirito verrà affrontato il giudizio”), anche sulla scorta delle passate vicende giudiziarie (“Se il passato fa testo, il futuro non lascia presagire nulla di buono”);

- di qui, al fine di 'riempire di contenuti' la frase incriminata – “Il pugno di ferro del dr. Fanfarillo ha colpito due generazioni della famiglia Gianoncelli e ora si appresta a colpire la terza” –, una sorta di cronistoria della vicenda giudiziaria, melius, di alcuni episodi che l'hanno, ad avviso dell'autrice dell'articolo, significativamente contraddistinta:

1) si addebita a Fanfarillo un “ruolo di primo piano nella dichiarazione di fallimento della società e di Gianoncelli Franco e Peppino (e nell'esclusione di Bruno) e nel rigetto delle domande dei creditori di estensione del fallimento a Gianoncelli Bruno” (ciò, si dice, contro la giurisprudenza consolidata della corte di cassazione);

2) si evoca una vicenda di acquisizione di pensioni dei falliti alla procedura, “salvaguardata, ovviamente, la posizione di Bruno Gianoncelli”, laddove “il giudice delegato si era addirittura cimentato nella diagnosi delle patologie di Franco e Peppino ritenendole di non rilevante entità”, con ricovero di Peppino di pochi giorni successivo a detta 'diagnosi', e decesso dopo otto mesi;

3) si enuncia il caso di Patrizia Gianoncelli, laddove, a fronte dell'affermata sottrazione di £ 10.000.000 dal suo conto corrente bancario, acquisiti all'asse fallimentare, il giudice delegato 'non mosse un dito' per regolarizzare la situazione;

4) si stigmatizza il fatto che Fanfarillo, in deroga ad ordinanza del Tribunale, avesse autorizzato il curatore ad effettuare il versamento della pensione 'in ritardo rispetto alla data di maturazione';

5) si censura, infine, l'autorizzazione data dal Fanfarillo al curatore fallimentare a costituirsi in varie cause, ma anche a promuoverle (“una serie impressionante”), cause aventi come controparti gli eredi di Lina Moretti, e, peraltro, 'strettamente collegate a quella a lui assegnata'.

Ora, non omettendo di sottolineare che l'articolo si chiude con un capoverso che lamenta “mala giustizia dilagante”, laddove, si afferma, lo stesso diritto di critica dell'attività giudiziaria recentemente sancito dalla Corte di Cassazione risulta insufficiente atteso che i cittadini “preferirebbero che i giudici, che sbagliano o che abusano del loro potere, venissero chiamati a pagare di persona”, appare sin troppo evidente che, nel tenore di un simile articolo, la frase censurata non può assumere che il senso per primo indicato, ossia l'attribuzione al Fanfarillo, benigno nei confronti di Gianoncelli Bruno, di un atteggiamento opposto nei confronti degli eredi di Lina Moretti e di Gianoncelli Franco e Peppino; se così è, il carattere oggettivamente diffamatorio dell'affermazione viene da sé, essendo il dovere d'imparzialità uno dei doveri fondanti – forse il primo dovere fondante – lo stesso status del magistrato, il venir meno del quale vulnera all'evidenza la sua stessa credibilità quale soggetto la cui legittimazione ad incidere con i propri provvedimenti, non di rado pesantemente, sulla vita delle persone, può trovare giustificazione nel senso comune solo a fronte dell'adozione di moduli interpretativi e prassi applicative uniformi, e non 'calibrati' a seconda che destinatario del provvedimento sia l'una o l'altra persona. Del resto, l'associazione del Fanfarillo alla “mala giustizia dilagante” già di per sé chiuderebbe ogni discorso al riguardo.

Ciò detto, va però vagliata l'esistenza dei presupposti per l'invocazione del diritto di critica; presupposti che, ad avviso del decidente, possono dirsi sussistenti solo in parte. Con riguardo, anzitutto, all'interesse pubblico, vero che, per quanto emerge da processo, la ditta fallita – una società di ortofrutta – non aveva peculiare rilevanza economica e sociale; vero che, nemmeno, emerge notorietà dei soggetti coinvolti; vero che manca – sul punto v. ultra – l'assunzione di provvedimenti talmente eclatanti – per erroneità od altro –, da meritare pubblico risalto; non è men vero che, in generale, l'articolo sostanzia in definitiva una critica all'esercizio di una funzione, quale quella giudiziaria, di tale delicatezza per gli interessi coinvolti che giustifica senz'altro le 'attenzioni' della stampa, suscettibili di innescare, virtuosamente, il controllo da parte della pubblica opinione.

Del resto, la diffusione solo locale del periodico sembra ulteriormente giustificare il pubblico risalto ad una vicenda di per sé, per quanto detto, priva di particolari 'atouts'; va anche sottolineato che, nella specie, la rappresentazione pubblica della vicenda stessa trova concreta spiegazione nella circostanza che la Mottarelli, dottoressa commercialista iscritta all'albo, aveva esercitato, quantomeno in una prima fase, attività di consulenza per i Gianoncelli proprio con riguardo alla vicenda de quo, per poi rimanere, a suo stesso dire, un 'punto di riferimento' per quella famiglia, di talchè essa poteva agevolmente avere accesso agli atti di causa e, quale collaboratrice del periodico, veicolarne la conoscenza al pubblico.2

Per quanto concerne, poi, la continenza delle espressioni utilizzate, il presupposto pare invero insussistente: l'allocuzione 'pugno di ferro', di per sé, non indica la scelta di una forma espressiva gratuitamente denigratoria e 'contumeliosa', ma esprime in modo indubitabilmente acceso ed icastico quello che è l'intendimento critico della redattrice dell'articolo, come sopra ricostruito.

Arduo è, invece, il riscontro positivo circa la veridicità dei 'fatti di partenza', laddove, nel corso della sua deposizione, e in correlazione con la corposa produzione difensiva, la Mottarelli indicava una serie di provvedimenti che, a suo modo di vedere, giustificavano l'allocuzione utilizzata nei confronti di Fanfarillo.3 Al riguardo, s'impone un primo rilievo, di carattere generale: è infatti sin troppo agevole osservare che era la stessa Mottarelli ad asserire, nel corso del suo esame, che, con il suo articolo, e con la specifica espressione utilizzata, e qui censurata, essa non intendeva né attribuire profili di strumentalità e parzialità all'azione del Fanfarillo, né stigmatizzare l'illegittimità dei suoi provvedimenti; ma, essenzialmente, voleva sottolineare gli effetti invero assai gravosi, per i soggetti destinatari, dei provvedimenti da lui resi in virtù della nominata 'inflessibilità'; inflessibilità 'oggettivamente' – come ribadiva, pur negando di accusare il Fanfarillo di parzialità – esercitata solo nei confronti degli eredi di Lina Moretti e di Gianoncelli Franco e Peppino, e non nei confronti di Gianoncelli Bruno. Dunque, è agevole rilevarlo, è la stessa imputata, redattrice di un articolo quale quello che si è più sopra sintetizzato, che nega non solo la strumentalità e parzialità dei provvedimenti di Fanfarillo, ma, ab imo, la loro illegittimità.4

È appena il caso di aggiungere che l'illegittimità dei provvedimenti, ove anche rilevata – e non è qui nemmeno il caso di sottolineare la non rara opinabilità delle postulazioni in fatto ed in diritto da chiunque svolte –, non potrebbe comunque giustificare la costruzione di un articolo in cui dalla indicazione di questo o quel provvedimento asseritamente illegittimo in danno o in favore di questo o quel soggetto si fa discendere la parzialità del suo autore, 'cerbero' con alcuni e accondiscendente con altri. Ciò che però, ovviamente, non è sufficiente ad escludere il requisito della veridicità, il quale – sulla scorta del segnalato, condivisibile orientamento della corte suprema – presuppone che l'opinione, pur sbagliata, offra comunque una possibile, ragionevole lettura di una vicenda, allorché, però – e ciò è essenziale – questa venga narrata in modo corretto e non parziale; essendo ovvio che, fornendone una rappresentazione alterata, l'autore dello scritto può suggestivamente indurre il lettore ad accreditare la fondatezza dell'opinione oggettivamente diffamatoria dallo stesso autore svolta.

Ora, non ritiene il decidente che la rappresentazione dei fatti fornita nell'articolo ne rispetti il loro profilo essenziale di verità. Ed allora, seguendo i punti salienti dell'articolo come sopra enucleati, un primo tema è quello della mancata ricusazione di Fanfarillo, 'occasione' dell'articolo quale fatto più recente che sarebbe imputabile alla persona offesa; la vicenda si compendia in un'istanza di ricusazione proposta, per quanto sembra desumersi dalla bozza in atti, personalmente dai Gianoncelli, e respinta dal Tribunale di Sondrio, il quale, nel rilevare l'infondatezza delle ragioni di ricusazione svolte, da un lato, sottolineava la non sovrapponibilità fra l'opinione manifestata da Fanfarillo quale giudice delegato al solo fine di autorizzare la causa, rispetto a quello di giudice assegnatario della stessa; dall'altro, evidenziava l'infondatezza di una prospettazione di 'grave inimicizia' fondata sul semplice fatto che il Fanfarillo avrebbe 'rigettato troppo spesso' le istanze dei Gianoncelli – rilievo, questo, che potrebbe probabilmente essere riprodotto anche nel caso di specie –.5 Ora, attribuire qui al Fanfarillo – come sembra chiaro – la volontà di trattare il processo, evidenzia una manipolazione dei dati di realtà, laddove nessuna accettazione della causa – come chiunque sa – può operare un giudice istruttore, il quale si limita a trattare i processi che gli vengono assegnati salvo che vi siano motivi di astensione, motivi che qui, peraltro, non v'erano, anche considerando che, in allora (anno 2004), nessuna norma di legge imponeva ai giudici delegati di astenersi nelle cause dagli stessi autorizzate (innovazione poi introdotta con l'art. 22 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5).

Si rileva poi, per completezza, che, non essendo accluso agli atti il verbale relativo alla già fissata prima udienza del 7 luglio, non è documentato che questa sia stati in effetti tenuta;6 del resto, l'istanza di ricusazione (datata 5 luglio 2004) ha automatico effetto sospensivo ex art. 52, III comma c.p.c. E, sul piano cronologico, si rileva che essa è stata respinta dal Tribunale collegiale con ordinanza datata (proprio) 7 luglio 2004, depositata l'8 luglio e comunicata il 9. È poi appena il caso di sottolineare che, comunque, non risulta in alcun modo che il Fanfarillo abbia adottato alcuna decisione endo-processuale, gravatoria o non, in quella causa, nei confronti dei Gianoncelli, decisione da alcuno anche solo assertivamente indicata.

Venendo alle vicende 'trascorse', come sopra narrate nell'articolo: con riguardo al punto 1), ove si addebita a Fanfarillo un “ruolo di primo piano nella dichiarazione di fallimento della società e di Gianoncelli Franco e Peppino (e nell'esclusione di Bruno) e nel rigetto delle domande dei creditori di estensione del fallimento a Gianoncelli Bruno” (ciò, si dice, contro la giurisprudenza consolidata dalla corte di cassazione), va rilevato che la vicenda è essenzialmente scandita da una prima dichiarazione di fallimento di Gianoncelli Franco e Peppino, con esclusione di Bruno che prospettava il proprio recesso dalla società (pacificamente avvenuto con atto notarile del 10.7.96), di cui affermava di essere peraltro creditore per rilevanti somme; il provvedimento veniva riformato in secondo grado dalla corte d'appello di Milano che, con decreto 10.2.99, da un lato, adottava una diversa opzione ermeneutica circa i presupposti per l'estensione del fallimento al socio receduto, e, dall'altro, sulla scorta di una diversa valutazione delle emergenze fattuali, riteneva comunque già esistente al momento del recesso lo stato d'insolvenza della società, con conseguente fallimento anche di Bruno.

Ora, la censura che si rivolge (che sembra rivolgersi) a Fanfarillo è quella di aver contribuito, prima, quale estensore e relatore della sentenza emessa dal Tribunale di Sondrio in composizione collegiale del 3.12.97, alla dichiarazione di fallimento della società Gianoncelli Franco, Peppino e Bruno s.n.c., con fallimento personale dei soci Franco e Peppino, ed esclusione di Bruno; poi, quale estensore e relatore della sentenza collegiale 18.9.2002, al rigetto delle domande di alcuni creditori – fra cui proprio la Mottarelli – intese all'ammissione al fallimento di Gianoncelli Bruno, nel frattempo dichiarato, dei rispettivi crediti nella loro interezza (e non limitatamente alla porzione di credito esistente al 31.7.96, data di pubblicizzazione del recesso di Bruno). Sul punto, non è inutile evidenziare come:

1) la sentenza del 1997 che escludeva il fallimento personale di Bruno lo faceva sulla scorta di una giurisprudenza minoritaria, ma invero esistente, e adottando una diversa valutazione di fatto circa l'esistenza dello stato d'insolvenza al momento del recesso di Bruno che, pur disattesa dalla corte d'appello, non può dirsi 'arbitraria' o 'strumentale', in quanto comunque innestata su talune emergenze della procedura – come, in particolare, la formazione di titoli esecutivi solo dopo il recesso di Bruno, e la reiezione di una precedente istanza di fallimento per assenza, all'epoca di uno stato d'insolvenza –;

2) con riguardo, poi, alla sentenza del 2002, il Fanfarillo ha deciso, su un problema tecnicamente controverso, sulla scorta di un determinato orientamento giurisprudenziale, indicato come 'dominante', in ciò avallato dal Collegio del Tribunale, organo che emetteva la sentenza, non essendo sul punto ancora intervenuta, per quanto risulta, una pronunzia in grado d'appello.

Per una visione più completa della vicenda, va anche considerato che il menzionato, primo provvedimento del Tribunale di Sondrio, datato 5.6.97, con cui si escludeva lo stato d'insolvenza della società, respingeva un'istanza di fallimento proposta anche dallo stesso Gianoncelli Bruno, il che sembra davvero poco compatibile con un atteggiamento compiacente (anche) del Fanfarillo – membro del collegio, di cui non si indica nell'ordinanza il relatore – nei confronti di quest'ultimo; come, del resto, poco compatibile è anche la circostanza che Fanfarillo abbia autorizzato il fallimento della Gianoncelli s.n.c. e dei soci Peppino e Franco, nell'ambito del giudizio di appello avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio datata 4.4.2005 rel. Giorgi – appello presentato da Gianoncelli Franco in relazione alla statuizione della sentenza che rigettava la domanda di revoca del suo fallimento altresì svolta, fra le altre, in primo grado – a presentare appello incidentale avverso la pronunzia nella parte in cui revocava il fallimento di Bruno.7

Ciò posto, nel non evidenziare il carteggio, al riguardo, alcun atto 'persecutorio' del Fanfarillo, il punto è, ai nostri fini, che, allorché si opina che un giudice sia 'compiacente' con qualcuno e simmetricamente inflessibile nei confronti di altri, si dovrebbe però fornire un panorama della vicenda completo, quantomeno nelle sue linee essenziali: e, in particolare, si dovrebbe spiegare che l'esclusione di Bruno non deriva (come potrebbe sembrare dalla lettura dell'articolo) né da un capriccio umorale di Fanfarillo, né da sue oscure 'collusioni' con Gianoncelli Bruno, ma da una corposa evidenza fattuale – ossia, in fatto, il recesso di Bruno dalla società prima del fallimento –, circostanza che conduceva il Collegio (e il suo relatore) a conclusioni 'liberatorie', ovviamente criticabili ma non per questo preconcette, per Gianoncelli Bruno.8

Con riguardo al punto 2), dal carteggio rimesso si rileva che Fanfarillo, prima, con ordinanza 11.9.2000, respingeva l'istanza con cui i Gianoncelli chiedevano che venisse in qualche modo 'intimato' alla Banca Popolare di Sondrio di 'cambiare' gli assegni in parola, e poi, con ordinanza 19.9.2000, disponeva l'acquisizione alla massa dei predetti assegni circolari, in possesso di Gianoncelli Franco e Peppino, afferenti ratei pensionistici e crediti d'imposta, “ordinandone l'immediata consegna al curatore dr. Marco Cottica, riservandosi di riversare ai falliti somme di denaro corrispondenti alle rate di pensione in pagamento con detti assegni allorquando i falliti avranno idoneamente documentato dalla circostanza”, e ciò ai sensi degli artt. 25 e 46, II comma l. fall. Il provvedimento veniva confermato dall'ordinanza 26.10.2000 del Tribunale di Sondrio in composizione collegiale, con cui si respingeva il reclamo presentato ex art. 26 l. fall. Da Gianoncelli Franco e Peppino, osservando, fra l'altro, che i reclamati non avevano né documentato le ragioni creditorie sottese ai predetti titoli né presentato istanza al g. delegato perché fissasse il quantum necessario ai falliti ed alle loro famiglie per il loro mantenimento. Il Fanfarillo, con successivi provvedimenti del 21.10 e 14.11.2000, fissava ex art. 46, II comma l. fall. In £ 1.836.000 e in £ 1.128.000 le somme di danaro mensili da lasciare nella disponibilità dei falliti, da esse però 'scomputando' le somme portate dagli assegni circolari in questione;9 provvedimenti investiti da successiva ordinanza 13.12.2000 resa ancora in sede di reclamo dal Tribunale collegiale, con cui si riformava parzialmente l'ordinanza di Fanfarillo 14.11.2000 laddove procedeva al nominato 'scomputo' (tenuto conto della 'essenziale funzione alimentare' dei ratei pensionistici), nel contempo però prevedendo che i reclamanti avessero diritto di “trattenere le somme di cui agli assegni circolari in contestazione, solo in relazione alla parte relativa alle pensioni, dovendo restituire la restante parte, per le ragioni anzidette, ricevute a titolo di IRPEF”.10

Dunque, anche qui, non è inutile osservare che nulla di 'sospetto' risulta posto in essere dal Fanfarillo, il quale acquisiva gli assegni alla massa fallimentare invitando gli interessati a documentare la natura 'pensionistica' dei predetti, documentazione che, per quanto emerge, nemmeno veniva offerta al Tribunale collegiale investito in sede di reclamo; autorizzava l'incasso dei ratei pensionistici per intero – e salvo lo 'scomputo' relativo alle somme già acquisite dai falliti con i menzionati assegni circolari, poi cassato in sede di reclamo – una volta ricevuta documentata istanza ex art. 46 l. fall.; definiva “non di particolare rilievo” i problemi di salute di Gianoncelli Peppino, ma avendo a disposizione documentazione che, per quanto risulta, in quel momento, non attestava l'esistenza di patologie gravissime,11 e ciò faceva, doverosamente, nell'ambito di una rilevazione dei bisogni dei falliti, al fine di assumere i doverosi provvedimenti ex art. 46 l. fall. Da notare che, con successivo provvedimento del 20.3.2003, il Fanfarillo, a fronte del documentato aggravamento delle condizioni di salute di Gianoncelli Franco, modifica l'ordinanza 14.11.2000 stabilendo l'assegnazione in suo favore dell'intero importo della pensione.

Ciò detto, il punto – anche qui – è che l'esposizione in termini a dir poco sommari della vicenda quale mera acquisizione di pensioni al fallimento, peraltro 'strabica' (“salvaguardando, ovviamente, la posizione di Bruno Gianoncelli”), e con episodi di spericolata ed incontinente auto-attribuzione, da parte del Fanfarillo, di competenze mediche in danno di Franco e Peppino (“il giudice delegato si era addirittura cimentato nella diagnosi delle patologie di Franco e Peppino, ritenendole di non rilevante entità”), senza minimamente dar conto della sua dinamica, delle motivazioni adottate, della documentazione in concreto a disposizione del giudicante, della modificazione dei suoi provvedimenti in relazione a sopravvenute, documentate nuove emergenze fattuali, induce ancora una volta, con evidente malizia, il lettore a suggestivamente ritenere una alterata percezione della vicenda, direttamente funzionale a supportare l'opinione di 'parzialità' che indubitabilmente si coltiva con l'articolo.

Venendo al punto 3), l'incartamento relativo alla vicenda dell'assegno di £ 10.000.000, frutto di credito d'imposta, intestato da Gianoncelli Franco e da questi versato sul conto della figlia Patrizia, poi 'stornato' dalla Banca su richiesta del curatore, con determinazione infine censurata in sede di appello (avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore della banca per la corrispondente somma: v. sentenza della corte d'appello di Milano n. 3437/08 del 14.10.2008), non contiene, pare, alcun provvedimento del Fanfarillo,12 originando la stessa, per quanto risulta dal carteggio, da una richiesta di un legale, nominato dal curatore fallimentare, alla Banca; solo dalla sentenza del Tribunale di Sondrio, resa in primo grado, emerge che il giudice delegato aveva incaricato il legale di riferire “sulla possibilità di recuperare le somme indebitamente incassate dai falliti, con autorizzazione espressa al recupero, anche giudiziale, delle dette somme”; ciò posto, se si considera che motivo essenziale della sentenza di appello è la circostanza che lo storno dell'assegno sia avvenuto in assenza “di un provvedimento giudiziario ottenuto dal curatore nei confronti della terza accipiente Patrizia Gianoncelli, con un'azione diretta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia del pagamento dell'assegno, ai sensi dell'art. 441 I co. l. fall., in quanto eseguito successivamente all'apertura della procedura concorsuale”, ma solo in virtù di richiesta del curatore fallimentare a mezzo del suo legale, davvero non si vede quale provvedimento 'gravatorio' e 'persecutorio' abbia assunto il Fanfarillo nel conferire al legale un semplice 'mandato esplorativo', con autorizzazione anche ad agire in via giudiziaria, quale quello sopra indicato. Rappresentare un simile fatto come una sorta di strategica 'paralisi' del giudice delegato, che 'non muove un dito' per regolarizzare la situazione in danno di Patrizia Gianoncelli, determina, anche qui, un'evidente alterazione dei dati di realtà, di cui si offre una rappresentazione del tutto monca e 'deforme', incapace di far comprendere al lettore l'effettivo ruolo assunto dal Fanfarillo, oltre che le ragioni del suo operare.

Con riferimento al punto 4), laddove si stigmatizza il fatto che il Fanfarillo, in deroga ad ordinanza del Tribunale, avesse autorizzato il curatore ad effettuare il versamento della pensione “in ritardo rispetto alla data di maturazione”, e “in deroga ad ordinanza del Tribuanle”, si rileva anche qui una carente rappresentazione in fatto della vicenda: vero che il Fanfarillo concedeva una simile autorizzazione (cfr. provvedimento reso in data 23.1.2003 su istanza in pari data del curatore fallimentare), non è men vero che lo faceva sulla scorta di istanza proprio del curatore, il quale rappresentava che egli pagava la somma dovuta a Gianoncelli Franco “nel giorno stesso o al massimo in quello successivo al ricevimento dell'assegno da parte della banca popolare di Sondrio a mezzo del servizio postale”, cosicché si evidenzia che la causa del ritardo non era attribuibile al curatore e tantomeno al giudice delegato, ma dipendeva da eventi estrinseci; circostanza, questa, del tutto omessa nell'articolo, e che, ove indicata, bene avrebbe consentito al lettore una diversa comprensione della vicenda, libero, ovviamente, l'autore dell'articolo, di offrirne la propria lettura, seppur parziale e faziosa.

Nessuna alterazione dei dati di realtà si rinviene, invece, con riguardo al punto 5), laddove la censura rivolta a Fanfarillo – che autorizzerebbe il curatore fallimentare a (costituirsi in e a) promuovere “una serie impressionante” di cause aventi come controparti gli eredi di Lina Moretti, peraltro, 'strettamente collegate a quella a lui assegnata' – si limita a valorizzare un dato di per sé asettico, come l'autorizzazione al curatore a promuovere ed a resistere in numerose cause, quale elemento indicatore della 'malevolenza' di Fanfarillo nei confronti degli eredi Moretti: l'affermazione non determina, si ritiene, una manipolazione dei dati di realtà, e enuncia in definitiva un'opinione, seppur a dir poco discutibile, dell'autore dell'articolo.

Alla stregua di quanto complessivamente osservato, e conclusivamente, ritiene il decidente che l'articolo censurato non possa ritenersi scriminato dall'esercizio del diritto di critica, difettando non in quanto indirizzi al Fanfarillo una di per sé legittima – seppur assai grave e, per quanto risulta dal processo, fallace, oltre che contenuta in un articolo dal tono obiettivamente e pesantemente denigratorio – valutazione di 'parzialità', ma in quanto inneschi il giudizio su una rappresentazione della articolata vicenda giudiziaria che, vuoi travisando la realtà (come nel caso della fantomatica 'accettazione' della causa da parte di Fanfarillo), vuoi significativamente e sistematicamente 'oscurando' importanti porzioni dei dati 'storici' che la connotano, non rispetta la verità fattuale del suo profilo essenziale, e non offre al lettore un compendio di fatti aderente all'effettivo svolgersi della vicenda su cui formarsi – in assonanza o dissonanza con l'autrice dell'articolo –, una propria, autonoma opinione sulla medesima: in particolare, la più evidente carenza, in tal senso, è quella di evocare i provvedimenti di Fanfarillo solo dall'angolo visuale dei loro effetti, talora indubitabilmente gravosi,13 senza mai spiegarne le, più o meno criticabili, motivazioni (v. in particolare, ma non solo, i casi relativi ai punti 1) e 4)), così, nel complessivo contesto che si è delineato, tratteggiando una figura di giudice intento senza alcuna plausibile motivazione a danneggiare con i suoi provvedimenti ben determinati soggetti – nemmeno spiegando le ragioni di acredine che lo indurrebbero a porre in essere una condotta così grave, in patente violazione dei suoi doveri primari –.

Degno di rilievo è, poi, che, ancora nella memoria difensiva depositata all'odierna udienza, si insista nel negare che l'articolo investa profili di 'abuso' e 'illegittimità' negli atti di Fanfarillo (v. per es. pagg. 20/21 della memoria), quando, invece, il tono dello scritto censurato è all'evidenza di tutt'altro segno (basti vedere il punto 1) sopra enucleato, e la 'chiusura' sui giudici che sbagliano o abusano del loro potere), e, peraltro, nella stessa memoria ci si sofferma più che diffusamente, con corpose citazioni giurisprudenziali, proprio sulle questioni civilistiche che innervano la vicenda (basti vedere, ma non è certo il solo esempio, alle pagg. 24/33 della memoria).

Va allora in definitiva riconosciuta la sussistenza dell'ipotesi di cui all'art. 595 c.p., in assenza di cause di giustificazione, ipotesi di cui ricorre anche l'elemento soggettivo che, sub specie di dolo generico, si appaga, come è noto, della coscienza e volontà di utilizzare e diffondere espressioni socialmente interpretabili come offensive, non essendo necessario nessun “animus diffamandi” (v. p. es. Cass. n. 7597 del 11/05/1999 e Cass. n. 935 del 16/12/1998).

Deve, peraltro, escludersi l'ipotesi aggravata di cui all'art. 13 l. stampa, avendo riguardo al segnalato tenore della contestazione che, nell'evocare la norma in questione, da un lato, non si cura di enucleare quale sia il 'fatto determinato' diffamatorio contenuto nell'articolo, e, dall'altro, pone al centro dell'addebito un'espressione eminentemente valutativa e generica quale quella del 'pugno di ferro'.

Sussistente è, poi, un profilo di colpa rilevante ex art. 57 c.p. In capo al direttore Sansi: colpa non tanto nell'omesso controllo delle fonti – che pure non sarebbe stato forse inopportuno tenendo conto della peculiare qualità 'soggettiva' della Mottarelli, più sopra specificata –, quanto nell'avere consentito la pubblicazione di un articolo che, in termini aspramente critici, accusa un giudice di parzialità, a tal fine elencando una serie di provvedimenti le cui motivazioni vengono sistematicamente obliterate.

Ne consegue la dichiarazione di personale responsabilità di entrambi gli imputati per i reati loro rispettivamente ascritti; sul piano sanzionatorio, concedibili attenuanti generiche, stante incensuratezza di entrambi i prevenuti – ed essendo applicabile ex art. 2, IV comma c.p. Il testo dell'art. 62 bis c.p. anteriore alla più sfavorevole riforma di cui al DL n. 92/2008 –, considerati i parametri previsti dall'art. 133 c.p., appare congruo determinare la pena nei termini che seguono:

- per Mottarelli Vanna, PB € 900 di multa, ridotta ad € 600 ex art. 62 bis c.p.;

- per Sansi Enea, € 400 di multa (PB ex art. 57 c.p. € 600 ridotta per le attenuanti generiche).

Si riserva l'applicazione dei benefici di cui alla l. 241/06 alla eventuale fase esecutiva.

Alla pronuncia consegue, oltre alla rituale condanna al pagamento delle spese processuali, l'ordine di pubblicazione per estratto della sentenza, ai sensi dell'art. 9 l. 47/1948, sullo stesso periodico 'l Gazetin.

La condanna per il reato di diffamazione importa altresì condanna solidale al risarcimento dei danni nei confronti della persona offesa costituitasi parte civile, in termini di danno morale: posto che la liquidazione del danno morale va effettuata secondo parametri equitativi, tenendo conto del contenuto delle dichiarazioni offensive e della diffusione di esse, comparse in un periodico a diffusione solo locale e con tiratura di 2.000 copie, appare congruo liquidare il danno complessivo in € 10.000, comprensivi degli interessi ad oggi maturati.

Infine, gli imputati vanno per legge condannati in solido al pagamento delle spese processuali in favore della costituita parte civile, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

IL GIUDICE MONOCRATICO

visti gli artt. 533-535 c.p.p./ DICHIARA MOTTARELLI VANNA e SANSI ENEA responsabile del reato loro rispettivamente ascritto e, esclusa la contestata aggravante, concesse ad entrambi le attenuanti generiche, condanna la prima alla pena di € 600 di multa ed il secondo alla pena di € 400 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali;

visti gli artt. 538 ss c.p.p./ CONDANNA gli imputati, in solido, al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in € 10.000, oltre che alla rifusione delle spese di costituzione, da liquidarsi in complessivi € 3.375, di cui € 3.000 per onorari ed € 375 per spese generali, oltre accessori di legge;

visto l'art. 9 l. n. 47/1948/ ORDINA la pubblicazione per estratto della sentenza sul periodico 'l Gazetin;

visto l'art. 544, III comma c.p.p./ INDICA in giorni 45 il termine per il deposito della motivazione.

Brescia, 25 novembre 2009

IL GIUDICE F/to Paolo Mainardi

 

(da 'l Gazetin, maggio 2014
» ABBONAMENTO15,00)

 

 

1 Venivano escluse le prove testimoniali indicate dalla difesa: per le motivazioni si rimanda all'ordinanza allegata al verbale di udienza.

2 Fanfarillo (v. sul punto pagg. 30/31 verbale stenotipico) sosteneva che la Mottarelli era, plausibilmente, redattrice 'di fatto' delle istanze sottoscritte dai Gianoncelli, ciò che si evinceva dalla forma grafica delle stesse; la circostanza viene di fatto negata, anche se in termini non particolarmente netti e perspicui, dall'imputata (v. pagg. 36/37 verbale stenotipico). A credere al Fanfarillo, se ne otterrebbe un fatto per certi aspetti criticabile, laddove evoca una sorta di conflitto d'interessi della Mottarelli, ma che, di per sé, non vale a spostare l'asse interpretativo della vicenda sul piano penalistico.

3 Negli stessi termini, in definitiva, si esprimeva il direttore Sansi.

4 Si veda a pag. 51 verbale stenotipico: “perché il discorso non è che io critico, non ne avrei la possibilità, l'azione del dottor Fanfarillo in quanto giudice; ma il dire che il pugno di ferro, l'amministrare questo fallimento, con questa determinazione. Forse quello che era il nostro obbiettivo, c'è un aspetto che magari sfugge a chi amministra la giustizia”.

5 V. esame Mottarelli a pag. 51 verbale stenotipico: “il discorso della espressione pugno di ferro io l'ho usata per tutti quei provvedimenti inflessibili in cui il dottor Fanfarillo – una serie, non solo quelli – si rigetta, si rigetta, si rigetta, nei confronti dei signori Gianoncelli Franco e Gianoncelli Peppino”.

6 Come sembra affermare la Mottarelli (v. pag. 41 verbale stenotipico); v. anche a pag. 2 della memoria difensiva, laddove si afferma che Fanfarillo avrebbe emesso in udienza ordinanza di sospensione in seguito a ricusazione.

7 Vero che simile appello si pone in contraddizione con tesi altrove sostenute, non è però men vero che, rispetto alle prime pronunce, la vicenda giudiziaria si era sviluppata, e che, in particolare, era nel frattempo intervenuto il decreto della corte d'appello di Milano evocato nel testo; che il giudice delegato, allorché autorizza il curatore fallimentare a promuovere azioni giudiziali, si limita ad esprimere una sommaria delibazione delle ragioni poste a fondamento delle stesse; e che, soprattutto, ciò si pone in diretto contrasto – per evidenti motivi – con la tesi della Mottarelli che Fanfarillo abbia assunto atteggiamento compiacente nei confronti di Gianoncelli Bruno.

8 Magari non obliterando la circostanza che il fallimento di Bruno, statuito dalla corte d'appello, veniva poi revocato in seguito dallo stesso Tribunale di Sondrio – v. sent. 4.4.2005, rel. dr. Giorgi –, in accoglimento dell'opposizione dallo stesso proposta, ritenendo che fosse comunque vanamente decorso il termine di un anno entro il quale può essere utilmente dichiarato il fallimento del socio receduto.

9 Con ordinanza 2.11.2000 il dr. Fanfarillo, a fronte di istanza presentata da Gianoncelli Bruno intesa a trattenere per sé tutto il rateo pensionistico goduto, anche in relazione alle sue condizioni di salute, 'mandava' al curatore perché invitasse il medesimo a documentare sia le affacciate condizioni di salute sia i redditi percepiti dalla moglie convivente.

10 Con successiva ordinanza depositata il 15.2.2001 il Tribunale, ancora parzialmente riformando un'ordinanza di Fanfarillo emessa in seguito all'ordinanza collegiale del 13.12.2000 menzionata nel testo, accordava la riscossione – negata da Fanfarillo –, da parte dei Gianoncelli, anche della 'tredicesima'.

11 Si veda la documentazione medica allegata al fascicolo 4) delle produzioni difensive.

12 Se non quello del 10.4.2001 che si limita a dichiarare n.l.p. su un'istanza della Mottarelli, quale responsabile provinciale dell'Osservatorio europeo per la legalità e dell'Italia dei Valori, oltre che di tale Stefano Bertelli quale presidente dell'associazione insieme per la giustizia, comprensiva di svariate doglianze sul 'caso Gianoncelli', indirizzata, fra gli altri, al presidente del Tribunale di Sondrio, che la 'girava' a Fanfarillo.

13 Proprio sulla pesantezza e gravità degli effetti, sul piano umano e patrimoniale, dei provvedimenti del Fanfarillo, si soffermava sia l'imputata Mottarelli nel corso del suo esame, sia la memoria difensiva compiegata all'odierna udienza, con considerazioni certo apprezzabili sul piano metagiuridico, ma in definitiva ininfluenti in punto valutazione circa la sussistenza del reato contestato.


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