Giornalisti
sul fronte di guerra
Non ho che una penna che trema,
sono io che le ho insegnato a tremare,
ma è lei che mi rivela,
il senso,
la lacerazione stritolante
del mio impotente tremore.
Il taccuino si addestra a essere forte,
no,
dare respiri compiuti di frasi
a una verità che ha scelto,
di indossare il vestito tagliente del sangue,
esige di portare con sé,
le tracce del Dio del coraggio;
chissà se qualcuno già per noi non scrisse,
il diario del nostro prematuro morire,
sulla nostra traballante missione di informare,
su quanto mai desidereremmo vedere.
I nostri pezzi odorano di spari
che sbucano improvvisi
dalle labbra feroci e traditrici del buio,
o da un cono di sole impazzito,
le nostre parole
sono intarsi di rischio calcolato,
che sanno di doversi sottrarre
alla tentazione di nascondersi,
per riuscire a non nascondere al mondo,
il dramma di quanto si voleva dipingere vita,
e fu invece inghiottito,
da una sbiadita tela di morte.
Anche noi non sappiamo,
né mai sapremo,
se rivedremo il sorridere rinfrancante del mattino,
regalare nuove ore,
a quel desiderio di documentare
che è vergato sul nostro destino.
Madri, padri, mogli e figli,
capire potrete, lo speriamo,
che il nostro esservi lontani,
è il senso che avvertiamo del vivere,
perchè il nostro descrivervi il dolore,
sia la vostra forza,
per non incontrarlo più domani;
potrete forse rivederci in una bara,
o forse la vita neppure consentirà,
che le nostre spoglie possiate riavere,
ma una cosa sappiate ora e per sempre;
vivemmo ascoltando il fruscio maestoso,
del nostro senso del dovere.
Non siamo protagonisti,
né mai saremo eroi,
ma solo inchiostro che custodisce i drammi,
di uomini come noi.
Cristiano Comelli