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Patrizia Garofalo. Come nacque l’Alice di Mirco Denicolò 
Le immagini dell'artista, i pensieri del suo personaggio
Mirco Denicolò,
Mirco Denicolò, 'Senza titolo', 2007/08 - ceramica invetriata, cm25x25x5 
23 Maggio 2014
 

«Ero uno studente, forse era una stagione calda, ma non ne sono sicuro, i miei ricordi sfumano a volte nei desideri. Sono certo, invece, che una mia compagna di classe (Paola) proprio in quella stagione dei ricordi cominciò a recitare a memoria la filastrocca del Lancivicchio: “Era la brilla ed i fanghilosi tavi, ghiravano e ghimblavano nella biava…” L’edizione Einaudi mi appariva stupenda, le fotografie di Carrol tra le due storie di Alice una specie di rarità da bibliofilo. Non riesco ad immaginare un incontro più intenso tra un testo ed un lettore».

Mirco Denicolò l'abbiamo conosciuto qualche settimana fa (Patrizia Garofalo incontra Mirco Denicolò al Museo Taglieschi di Anghiari). È un fiume in piena a raccontare della creazione di Alice...

«Nei trent’anni che sono seguiti non ho mai pensato di tradurre Alice in immagini, non ne ero in grado. Quando in seguito ad alcune lezioni di inglese tentai di rileggerlo in lingua originale (traduzione a fronte) rimanendo colpito dalla frase “Do bats eats cats?”. Il giorno che capirò cosa sia scattato in quel momento aprirò uno studio di consulenza di un qualche tipo. Fatto sta che da quel momento cominciai ad attrezzarmi per fare il lavoro dei miei quarantatré anni: nuove tecniche ceramiche non utilizzate in precedenza (io, di solito, realizzo immagini con la ceramica), progetti, disegni su cartoncini bianchi, prove a colori… nel giro di un paio di mesi ero fermo, non mi convinceva nulla, i primi lavori realizzati in ceramica mi parevano di una banalità rivoltante. Ero soddisfatto di una unica cosa: Alice aveva un solo occhio al centro della fronte, basta. Tutto rimase immobile per più di un anno. Nel frattempo successero le seguenti cose:

dipinsi una quarantina di faccine, occhi che guardano, molto colorate;

costruii dei cubi e li dipinsi tre facce alla volta, un lavoro di composizione difficile;

dipinsi 180 tavolette in ceramica, un fiume di immagini;

esposi una serie di tavole di architetture, matita su carta;

rimasi senza lavoro retribuito per otto mesi, la mia fidanzata sopravvisse;

studiai solfeggio;

promisi ad una galleria di Bologna ed una di Milano una mostra su Alice per l’autunno del 2008.

Non so quale di questi fattori sia stato determinante, ad ogni modo, quando ricominciai fu un fiume in piena: nel giro di 18 mesi preparai il materiale per quattro esposizioni (Modena, Milano, Bologna, Cordoba), realizzai più di cento pezzi. Non male».

 

«Al racconto di queste vicende segue la domanda: chi, anzi, cosa è questa Alice che ho prodotto e riprodotto come una ossessione? Risposta: non lo so.

So quando le immagini funzionano e quando no, so cosa succede da un’opera all’altra, ho chiaro nella memoria gli stimoli visivi che mi spingono ad iniziare ogni nuovo lavoro. A riguardare le immagini realizzate mi rendo conto che questa Alice è un personaggio che, con il suo unico penetrante occhio, vede le cose succederle attorno senza reagire: è passiva, non riesco a capire se capisca o no quello che le accade in ogni tavola. Sono, invece, certo, che quello che vede non succederebbe se fosse assente, non potrebbe esistere una scena senza Alice: in questo vi è un qualche tipo di coerenza che assomiglia ad un racconto. Posso aggiungere che Alice appartiene al mondo dei mostri, categoria letteraria che fa spesso tenerezza. Quanto a me posso dire che non estraggo queste immagini dai sogni, io non sogno così. Mi pare, piuttosto, di miscelare quello che ho vissuto cominciando da bambino fino ad ora, riesumando immagini, spesso rappresentandone dei brandelli, senza nessuna necessità di comunicare concetti precisi; a volte mi pare di disegnare ricordi non miei, ma che si sono fermati nella memoria attraverso racconti o confidenze.

Penso che l’esercizio della rappresentazione sia come quello del raccontare: non serve a nulla, ma è importante farlo, è indispensabile».

 

So che non crei per uno scopo, per un messaggio.

È la speranza, invece, e lo stupore che emergono dalle tue immagini proprio nel loro apparente non-sense. Una meraviglia creativa che offri, anche senza volerlo agli altri che come in un puzzle possono comporre e scomporre e creare fili di raccordo, manovrarli. E la meraviglia è cosa rara oggi e tu insegni a giovani e giovanissimi.

Come è la tua esperienza di scuola?

Insegno. Insegno disegno ai ragazzi piccoli, dai 5 ai 13 anni, in una scuola comunale che esiste da più di 200 anni. Insegno tecnologia ceramica e modellistica in un istituto superiore di industrial design, una istituzione universitaria frequentata da studenti che hanno dai 20 ai 25 anni. Insegno agli adulti, perlopiù ceramica, molti corsi, spesso all’estero. Quando lavoro come docente faccio due cose: insegno delle cose oggettive, concrete, cose che spesso rientrano in una disciplina (ai piccoli il modo di tenere una matita in mano e di colorare una superficie in modo efficace, insegno cosa guardare quando si vuole riprodurre un colore, come si lava un pennello ecc.; ai grandi insegno il modo di affrontare un processo produttivo, la realizzazione di uno stampo in silicone, come concepire un rivestimento ceramico, come tagliare un pezzo di poliuretano…). Insomma insegno delle cose, un po’ come lo fa un artigiano o un maestro di bottega. In questo passaggio di competenze cerco di creare uno stato per il quale, attraverso il lavoro, si apprendano altre cose: il silenzio, la scansione dei tempi, l’organizzazione degli spazi, la pazienza, la capacità di ricominciare, la determinazione a ripetere le cose fino a che non si sono assimilate, il rispetto per i materiali e gli strumenti, la capacità di comunicare le proprie esperienze… Per poter riuscire in questo secondo gruppo di intenti è indispensabile un patto tra il docente e lo studente, un riconoscimento reciproco che va rinnovato ogni lezione e che è il cuore del mio metodo educativo.

 

Cosa ti ha dato e cosa ti hanno donato i ragazzi?

Nella mia esperienza la cosa più bella è avere la percezione di essere utile a qualcuno. Questo avviene in diversi modi, diciamo che quello più solido è quando i tuoi studenti ti restituiscono l’attenzione che tu hai avuto per loro. È una restituzione in grado di modellarti, perché è spesso interrogativa, non è quieta, richiede di adattarsi sempre un po’. Su questo tema sto ancora riflettendo, fermiamoci qui.

 

Quale per te oggi la funzione dell’educatore?

Oggi chi ha la responsabilità sulla crescita dei giovani deve rifondare delle buone consuetudini a partire da un patto di reciproco interesse che deve essere stretto continuamente. Questo va fatto in un panorama in cui coesistono vecchi e nuovi valori e disvalori. Io penso che in questi anni molti stiano facendo un lavoro di cui vedremo i risultati tra un paio di decenni. Non so se verranno trovati presto nuovi equilibri, penso che nei tempi brevi verranno disegnate nuove dinamiche… anche questi sono discorsi ampli che forse vanno trattati in modo a se stante, permettimi di non continuare: nel mondo della didattica posso riportare delle esperienze, mi è difficile sintetizzare dei concetti. Riporto un’esperienza banale, ma fondativa: se lavori bene le tue lezioni sono seguite, se gli studenti non ti seguono il problema è tuo, sei tu che stai sbagliando qualcosa.

 

La tua Alice guarda il mondo con un occhio solo… forse che così fa meno male la vita?

La mia Alice è un personaggio disegnato con un occhio solo perché questo la imparenta con i mostri dei tempi antichi e questo la nobilita e le dà la possibilità di capire meglio le cose che accadono nella vita. Non sono sicuro, però, che le permetta di intuire dei disegni generali: i mostri sono la manifestazione di tensioni letterarie, sono fatti della indispensabile materia della finzione, appartengono più alla rappresentazione che al pensiero.

 

Tornando ad Alice: in un primo catalogo avevo scritto alcuni pensieri di Alice, pensieri che poi ho raccolto per la mostra bolognese. Spero possano essere piacevoli per chi li legge come divertente per me fu il trascriverli.

 

Alice, quando venne adottata nella nuova famiglia si integrò completamente. Della precedente educazione conservò per il resto della vita la regola per la quale non poteva rivolgere la parola direttamente alla matrigna.


Alice ha ideato una regola di comportamento per qualsiasi circostanza. Alice ammette la bugia, ma solo per la felicità altrui.

 

Quando qualcuno starnutisce Alice augura: “Dio ti assista!” oppure “Sii in salute.” Anche si dilunga in un discorso in cui esprime voti di felicità per la persona raffreddata.

 

Chi ruba gerani deve andare in prigione.

 

Alice sale lentamente i gradini delle scale gravata dal peso della sua gloria.

 

Quando suona Alice vibra per simpatia con le corde principali della sua viola d’amore.

 

Alice accetta spesso di esser giudice delle controversie di amici e sconosciuti, con particolare preferenza per gli sconosciuti: in questi casi le sue sentenze sono inappellabili e bizzarre. In caso di duello propone agli sfidanti di accettare delle pillole, nascondendo quando si tratti di veleno e quando di zucchero.

 

In casa Alice traccia con la vernice una linea bianca che segna il suo percorso quotidiano, dal risveglio alla cena. Dopo cena fa il percorso inverso.

 

Il tempo erode Alice.

 

I topi rosicchiano la sedia di Alice. La sedia lamenta forti emicranie. Alice la cura con impacchi di acqua tiepida.

 

Soprannomi affibbiati ad Alice: goccia di pioggia, perla di rugiada, scatola di cipria, penna a sfera.

 

Il re delle fate divenne completamente calvo a causa di una dieta sbagliata con troppo pepe. Obbligò tutti i lettori delle sue storie a radersi completamente i capelli.

 

I discorsi andrebbero fatti prima di pranzo, perché a farli fare dopo potrebbero provocare una congestione agli oratori: si sa, lo stomaco è un organo delicato.

 

Anche Alice ha il proprio intona rumori. Come è noto i suoni che ne derivano sono: fischi e bisbigli ecc., rombi e tuoni ecc., bisbigli e mormorii ecc., stridori e scricchiolii ecc., percosse su metalli legni pelli ecc., voci di uomini e di bestie. Alice predilige queste ultima possibilità.

 

Alice colleziona pietre di fiume. Le raccoglie in un grande armadio a scansie dove ha fatto incidere la seguente frase: FAC UT LAPIDES ISTAE PANEM FIANT. A volte, in effetti, trova delle piccole forme di pane al posto dei sassi, probabilmente lo scherzo di qualche sorella.

 

Per qualche errore della sarta Alice trovò tra i suoi vestiti una camicia con tre maniche. Non ricordo se la sarta venne per questo premiata o scacciata dalla città.

 

Tutte le sere, dopo la cena e prima di andare a dormire Alice si alza in piedi e domanda a gran voce: “Tragedia o commedia?” I suoi famigliari solitamente rispondono “Tragedia”, così Alice sceglie dalla libreria un volume di Corbeille o Racine o Voltaire, apre una pagina a caso, richiude immediatamente il libro, lo ripone, quindi si prepara per andare a dormire.

 

Prima dell’arrivo dei becchi a gas, prima dell’arrivo della luce elettrica, prima che il laser facesse la sua comparsa, 5000 lanterne e un migliaio di fiaccole illuminavano i pensieri di Alice.

 

Chiamata al banco dei testimoni la mattina Alice sostenne con successo le ragioni di diverse creature accusate di aver cucinato cibi con troppe spezie, che avrebbero causato malori a coloro che le avrebbero poi mangiate. Il pomeriggio, sempre al banco dei testimoni, ma per un’altra causa che verteva diritti di confine, Alice fece la stessa deposizione. A seguito della testimonianza di Alice e per qualche problema di trascrizione entrambi i contendenti persero i diritti sui loro terreni che vennero poi donati ad enti di carità pubblica.

 

Una solenne leggerezza.

 

Le avventure nel sottosuolo sono esperienze che simulano la morte.

 

Ho visto tante cose in vita mia tranne il mio volto invecchiare.

 

 

Altri pensieri di Alice.

 

È indecente lasciare scoperti i propri sentimenti e mostrare i propri desideri.

 

Se non avessi fabbricato così tanti oggetti adesso non sarei preoccupato per il futuro della mia anima. Se mi fossi mirato più volte allo specchio adesso sarei lieto della mia vecchiezza.

 

I combattimenti tra conigli sono feroci fino al sangue. Per questo ne narriamo spesso nelle favole, ciò li placa.

 

Non è escluso che anche durante i mesi caldi possano gelare le parole.

 

Per irrigidire i comportamenti si possono usare bacchette di vimini o stecche di balena.

 

Preghiamo per l’anima dei pesci.

 

Ospedali per le cicogne. Scimmie ammaestrate il personale infermiere.

 

Il girotondo, danza preferita ai bambini, simboleggia le fasi di scavo delle fondamenta dei palazzi di culto.

 

I giardini della Regina sono circondati da fili elettrificati. Chi sopravviva scavalcandoli viene processato, assolto e ricompensato con ricchi doni ricevendoli dalle mani della Regina in persona. La prima volta.

 

Quando si aspetta un bambino e non si sa se nascerà maschio o femmina bisogna riferirsi a lui come “il dono”.

 

Non è lecito indossare copricapo di piume, gli uccelli se ne hanno a male.

 

Non è lecito trasformare tutta la terra in giardino, altrimenti non si ha più terra per seppellirsi. E poi i fiori fanno discorsi sciocchi.

 

Anticamente per dare dello sciocco a qualcuno lo si apostrofava con il termine “parigino”, sebbene a Parigi fossero nate molte belle e ricche persone.

 

In ogni casa dovrebbe essere riservata una stanza alla contemplazione dei propri dispiaceri.

 

Gli animali a sangue caldo hanno la necessità estrema di nutrirsi almeno una volta al giorno, altrimenti farneticano di ingiustizia e povertà.

 

Se la donna che aspetta un bambino tocca un gatto il futuro nascituro sarà un gatto, se tocca un cane sarà un gatto.

 

Per placare gli spiriti inquieti dei morti è abitudine appoggiare una scaletta ad un bicchiere vuoto.

 

Alcuni animali definiti dal volgo comune “nobili”, nascono spesso dal fango che si forma in autunno con le prime piogge.

 

Ai soldati ciechi che si ostinano a combattere vengono fornite armi ricoperte di campanelli.

 

Se osservate con attenzione gli occhi di una scimmia potete leggere, in fondo alle pupille, il vostro destino.

 

Un faro per i deserti di pietra.

 

La durata di un pianto ininterrotto non dovrebbe superare i 7 minuti.

 

Il riflesso dei pesci allo specchio spinge all’omicidio.

 

Bisognerebbe legare forchette al letto.

 

Bisognerebbe dividere gli uomini con una fune rossa.

 

 


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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