Gentile Direttore Enea Sansi,
ho letto su “Diario di bordo” di Tellusfolio la bella notizia che la vicenda de 'l Gazetin (incredibile e paradossale!) è sulla stampa nazionale, su Libero.
Mi indigno sempre più nel venire a conoscenza di particolari che sconfinano nell'assurdo...
Purtroppo questa è la giustizia in Italia, quando viene amministrata o messa in atto da persone non all'altezza del compito, oppure non adeguatamente educati alla rettitudine e all'onestà intellettuale.
Proprio sul tema Educazione e Scuola allego una nota scritta dopo aver ascoltato la registrazione (segnalatami la settimana scorsa dalla cara amica Patrizia Garofalo) della puntata di “Che tempo che fa” del 3 maggio scorso.
La nota, forse, potrebbe tornare utile al suo giornale.
Caro Direttore, auguro a Lei buon lavoro e tanta forza per continuare a difendere il diritto sacrosanto della libertà di pensiero e di stampa.
Un cordiale saluto
Giuseppina Rando
Una nota su Educazione e Scuola
Alla ricerca del significato (smarrito?...) della parola educare
Che la scuola oggi non goda ottima salute è sotto gli occhi di tutti, e non solo per i continui cambiamenti che ne hanno fatto un’istituzione disomogenea e spesso lacunosa e contraddittoria, ma soprattutto per il disagio che in essa vivono sia i docenti che gli allievi.
La scuola, che dovrebbe essere uno dei pilastri portanti della società, l’istituzione chiamata a creare le basi su cui costruire la futura vita professionale dei singoli, attraverso stabilità concettuale, per decenni e decenni è stata ignorata dalla politica. Si è investito poco o nulla nella scuola perché è un tipo di investimento che dà frutti a lunga scadenza e la nostra, purtroppo, è la cultura dell’immediato. Così, di in anno in anno, i problemi sono divenuti sempre più numerosi e diversi: strutturali, didattici, metodologici, comportamentali (diffusa sfrontatezza, volgarità), mancanza di motivazione degli allievi e dei docenti e quest’ultimi (ahinoi!), non sempre sufficientemente preparati al difficile compito dell’educare.
Una recente indagine condotta dall’Istituto “Cattaneo” di Bologna rivela, appunto, la presenza diffusa, tra l’opinione pubblica, di percezioni, aspettative, interpretazioni caratterizzate da confusione, contraddittorietà, elementi di arretratezza e conservatorismo.
In tale confusione pare che si sia smarrito addirittura… il significato della parola educare.
Ne è testimonianza la conversazione tra il presentatore Fabio Fazio e lo psicoanalista Massimo Recalcati (foto) durante la trasmissione “Che tempo che fa” mandata in onda da Rai Tre il 3 maggio 2014, ove prendendo spunto dall’episodio accaduto al liceo “Giulio Cesare” di Roma, relativo al brano letto in classe, tratto dal libro Sei come sei di Melania Mazzucco, Fazio chiede allo psicoanalista...
il significato della parola educare nel nostro tempo (ammesso che ce l’abbia!).
Recalcati, ovviamente, dell’episodio dà una lettura psicoanalitica e dice: “quegli insegnanti, trattando dell’omosessualità con la lettura del il brano incriminato, hanno fatto il loro lavoro, cioè hanno portato gli allievi verso la letteratura… non esiste letteratura pornografica… la letteratura porta con sé qualcosa di erotico… e quindi… il lavoro dell’insegnante consiste nel trasformare gli oggetti del sapere (tutti gli oggetti del sapere da una poesia a un teorema di matematica) in corpi erotici, in corpi che catturano il desiderio”.
Anche se poi Recalcati sottolinea (come sostenuto da tutte le più moderne teorie pedagogiche) la necessità di soffermarsi sulla singolarità del soggetto allievo che deve essere amato con tutte le sue storture o anomalie, la definizione che egli dà dell’educazione, a mio avviso, resta incompleta in quanto la stessa non si può limitare alla sfera dell’istruzione (che dovrebbe trasformare gli oggetti del sapere in corpi erotici) in quanto, per la sua stessa ragion d’essere, l’educazione possiede una dimensione senza limiti.
L’educazione (è d’obbligo ricordarlo!) è un processo attraverso cui il soggetto uomo attua lo sviluppo integrale di tutte le sue facoltà, fisiche e spirituali. Ogni azione diretta ad altri atti o ad altri aspetti dell’uomo, e in essi conclusa, non può mai, senza grave equivoco, chiamarsi atto di educazione. Ciò vale per tutti gli aspetti, anche quelli intellettuali, se considerati separatamente nella tecnica del loro sviluppo.
L’educazione è nell’uomo la capacità di agire nella libertà e l’atto di libertà è quello in cui tutto l’uomo si svela, in cui è tutto l’uomo è compresente, come sostanza composta, ma unitaria di corpo e spirito.
L’atto di libertà poi non può trascurare nessuno dei concreti aspetti della realtà umana, come ad esempio, la diversità.
Entrare in relazione con l’altro significa entrare in contatto con un’altra identità, con qualcuno diverso da me; ed è questo rapporto con l’altro che, mentre genera maggior coscienza della propria identità, l’arricchisce.
Eppure la diversità, a livello sociale e talvolta anche educativo, viene vista in chiave negativa. «Ah, essere diverso- in un mondo che pure / è in colpa – significa non essere innocente» scriveva Pier Paolo Pasolini.
Spetta alla scuola dunque, principalmente, il compito di educare alla diversità.
E sembra anacronistico che in una società che tende all’intercultura, alla globalizzazione, ci siano fenomeni di discriminazione non tanto per i disabili o i ragazzi di colore, quanto per gli omosessuali, forse, più degli altri, considerati diversi.
«L’uomo ha bisogno dello sguardo altrui» scriveva J.J.Rousseau, vale a dire che la nostra identità procede di pari passo con quella dell’alterità, della diversità.
C’è una specie di imprinting che la nostra famiglia, la cultura, la spiritualità d’origine lasciano nell’anima.
Questa identità è certo, fonte di diversità, ma è proprio questa la bellezza dell’umanità.
E in una scuola che vuol educare, nel senso più completo del termine – sottolinea giustamente Massimo Recalcati – deve scomparire l’apatia che genera tanto disagio tra i giovani (abulia, alcolismo, tossicodipendenza, anoressia), per dare spazio allo stupore, alla curiosità ….ma non alla curiosità effimera, capricciosa… ma fare in modo che ciascun soggetto possa manifestare la singolarità del proprio desiderio… ma perché questo avvenga è necessario riabbonare il soggetto al proprio desiderio …è necessario che ci sia l’incontro da parte dei giovani con qualcuno che sia in grado di testimoniare che si può vivere questa vita con slancio, con passione, con desiderio… Questa è la vera prevenzione primaria, questo è quello che salva i nostri figli, non tanto un padre padrone che ci spieghi quale è il senso della vita, del bene e del male, della vita e della morte, ma ci mostri che è possibile stare su questa terra dando senso alla vita… e di viverla nella continua scoperta di meraviglie che la natura, in tutto il suo mistero, ci offre.
Ecco il compito degli educatori: evidenziare continuamente la differenza tra l’acutezza e la banalità, la profondità e la superficialità e far scoprire la bellezza dello stupore che, nel senso più nobile del termine, può “trasformare un punto giallo in sole” mentre per altri il sole potrebbe restare solo “un puntino giallo”.
Lo scrittore inglese Gilbert Chesterton ci ricorda: «L’uomo perirà non per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia», cioè di stupore, di contemplazione, di profondità interiore.
Se però l’atto educativo riuscisse a instaurare tra i due soggetti (maestro-allievo, genitore figlio) un dialogo, una relazione costruttiva fondata sulla reciprocità, dove ciascuno potrebbe manifestare qualcosa di sé e comprendere qualcosa dell’altro, avverrebbe (è lecito sperarlo!) la realizzazione concreta dei valori etici dell’uomo, del suo fine, della sua ricchezza ideale, nella contingenza dello spazio e del tempo.
È risaputo, infine, che l’educazione è un fenomeno che avviene in ogni età e ad ogni attimo impariamo a disciplinare e a sviluppare sempre più il nostro io e – in condizioni ottimali – il docente o genitore educatore, educando continua ad educare se stesso.
Giuseppina Rando