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Lidia Menapace. Caratteristiche della fase finale di una crisi di sistema
03 Maggio 2014
 

Poiché mi è stato chiesto di riprendere questa parte della mia riflessione sulla crisi del capitalismo, eccomi e buona lettura.

 

La parola “crisi”, che viene dalla radice greca del verbo crìnein (giudicare) indica sempre un momento, fase, passaggio, con taglio interruzione squilibrio dell'assetto dato: insomma lo si dice a proposito di una unione affettiva che minaccia di rompersi, di una malattia che si avvicina a una fase cruciale, di un assetto che è stato fino a prima della crisi composto, equilibrato o comunque capace di recuperare equilibrio e continuità: la cosa che viene interrotta da una crisi è appunto la continuità.

Si può rimediare cercando di ricucire lo strappo o l'interruzione o la mancanza con medicinali più forti, azione più precisa, spiegazioni ecc. ecc.: fino a che questi “rimedi” superano abbastanza rapidamente la crisi e recuperano il modo d'essere del periodo precedente la crisi e le sue caratteristiche, si dice che la crisi era “congiunturale” e che appunto -per superarla- serve una azione, pratica, metodo ecc. “riformista” o se si tratta di una crisi più complessa “riformatore”.

Ma quando la crisi non si risolve con interventi di riforma e perdura nel tempo e oscilla aggravandosi e riducendosi, ma non in modo armonioso bensì a capriccio, con scompensi, e sembrano impicciati i meccanismi profondi del sistema, allora la crisi viene chiamata “strutturale” e -a seconda della sua estensione spaziale- “europea”, “occidentale”, ecc. e se è estesa a tutto il pianeta “globale”.

Se applichiamo queste brevi parole al capitalismo, incominciamo ad avere una nozione più precisa del fenomeno.

 

 

Crisi del sistema capitalistico

 

Chiamiamo “capitalismo” un assetto socio-politico-economico-culturale che, formatosi in Europa a partire dall'Inghilterra, per la parte economica e in Francia per gli assetti politici, si è poi esteso agli Usa e poi al Giappone e all'America latina ecc. Esso è legato a quella che viene chiamata “Rivoluzione industriale”, cioè all'uso delle macchine per la produzione e della scienza alla salute. Dal punto di vista sociale e politico il sistema capitalistico sviluppa lo stato di diritto e moltiplica la produzione e distribuzione delle merci in modo esponenziale, ma la distribuzione del potere e i profitti che provengono dalla vendita delle merci prodotte si concentra nelle mani di chi, partendo in condizioni di ricchezza, può investire nelle fabbriche e nei mezzi di trasporto ecc. Si forma una classe di proprietari che accumula ricchezza e potere e sostituisce le vecchie classi dirigenti feudali, già colpite dalla Rivoluzione francese: la nuova classe si chiama Borghesia, ed è molto attiva e potente; essa modifica profondamente gli assetti sociali, producendo attraverso modificazioni profonde e violente un proletariato urbano miserabile e molto numeroso ecc.: si chiamerà poi “classe operaia”. Non posso fare la storia e rinvio alle conoscenze che su questi fenomeni avete già.

Mi interessa invece dire che il sistema capitalistico incorre quasi subito in crisi, che per lo più sono congiunturali e perciò sviluppa una azione politica di riforme, più o meno spontanea, spesso le riforme sono dovute alla pressione e alle lotte della classe sfruttata ecc. Il periodo nel quale il capitalismo -soprattutto in Europa e Usa- si sviluppa è anche quello durante il quale la classe operaia si organizza e costruisce sindacati e partiti come strumenti di difesa lotta e rappresentanza.

Chi studia e analizza con maggiore profondità questi fenomeni è Carlo Marx, che analizzando l'ingiustizia intrinseca al capitalismo come sistema di sfruttamento dell'uomo sull'uomo, di una classe sulle altre, ne intuisce i punti deboli e addirittura ne predice un rapido esaurimento e crisi: queste previsioni non si realizzano e solo Rosa Luxemburg corregge questa parte del pensiero economico di Marx.

Procedo a salti e indico una data, il 1929, quando si apre e svolge negli Usa e subito dopo in Europa la Grande Depressione, la prima crisi strutturale del capitalismo, che dura e si espande e produce disoccupazione e miseria, fallimenti e disperazione. Il pensiero economico affronta la grande crisi con strumenti poco efficaci, fino a quando l'inglese Keynes propone l'intervento dello stato, anche a rischio del deficit di bilancio, con grandi lavori pubblici e produzione di armi per rilanciare l'occupazione con grandi investimenti pubblici e così il capitalismo si rimette in moto con fatica e non senza incubare dopo la prima rovinosa guerra mondiale anche le prossima seconda. Dopo la crisi strutturale il sistema capitalistico si modifica, allargando soprattutto la finanza (finanziarizzazione dell'economia, economia di carta) e allontanandosi sempre più dall'economia reale.

All'inizio del Terzo Millennio incomincia la crisi capitalistica ancora in corso, che è strutturale (lo indica anche la sua durata) globale (così è addirittura definita) e -secondo me- finale.

Vorrei qui esporre le ragioni di questa mia convinzione, almeno una parte.

 

 

Caratteristiche delle crisi finali di sistema

 

Ogniqualvolta si è verificata una crisi strutturale globale e finale di un assetto generale (sistema), oltre i mutamenti delle forme politiche economiche culturali ecc. vi è stato sempre un invincibile movimento di popolazioni.

Alla caduta dell'Impero romano seguono movimenti di popolazioni, che vengono chiamate da noi “invasioni barbariche” e “Migrazioni di popoli” (Voelkerwanderungen dai popoli che le hanno fatte).

Dopo le scoperte geografiche e la scoperta del Nuovo mondo, un enorme movimento di popolazioni (in condizioni di schiavitù) è stato provocato dall'Africa verso gli Stati Uniti e le Americhe, e dall'Europa verso le ricchezze del continente africano con il fenomeno del commercio degli schiavi e col colonialismo.

E oggi uno spostamento di popolazioni dal pianeta verso l'Europa sta avvenendo incoercibile inevitabile, non meno sconvolgente di quello che portò dalla Norvegia fino in Puglia e in Sicilia i Normanni.

Queste migrazioni di popoli avvengono spesso in modo tragico e sempre violento e selvaggio, mentre la cultura europea o americana magari è in un periodo di splendore: la schiavitù viene restaurata in pieno fiorire artistico ed economico d'Europa e anche oggi migrazioni selvagge e pericoli di guerra stanno avvenendo durante un periodo di grande accrescimento di cognizioni scientifiche e di strumenti tecnici.

Qui siamo e siccome vi sono timidi e saltuari miglioramenti di situazioni qua e là, incomincia un discorso sull'uscita dalla crisi e inizio di fasi positive. Finora le cose non sono mutate e piccoli aggiustamenti qua e là non hanno affatto corretto il carattere strutturale della crisi. Alcuni continuano a sottacere che la crisi sia del capitalismo, che sarebbe -per alcuni- eterno (fine della storia, pensiero unico ecc.), per altri già autosuperatosi (non vi sono dimostrazioni di ciò).

In merito a questi atteggiamenti sono sempre d'accordo con Samir Amin, il grande economista arabo di cultura francese (ha insegnato a lungo alla Sorbona) che ora sta a Dakar, come presidente del Forum mondiale delle alternative: il quale ragionando sulla crisi capitalistica e riconosciutone il carattere strutturale, non suggerisce di voler uscire dalla “crisi”, bensì dal “capitalismo in crisi” costruendo una alternativa di sistema.

A questo punto viene buona una fondamentale indicazione di Rosa Luxemburg che, analizzando la crisi capitalistica nega che essa possa produrre una soluzione attraverso la sua spontaneità e afferma perentoriamente che quando il capitalismo essendo in crisi strutturale ecc. non può più produrre o sopportare interventi di tipo riformista o riformatore, a quel punto il dilemma è: “O Socialismo o Barbarie”.

Con Socialismo Rosa afferma secondo il pensiero marxista la prima alternativa storica e col temine Barbarie afferma che la crisi non produrrà miseria e disperazione (certo, anche), ma soprattutto Barbarie cioè incapacità di comprendersi, di comunicare, di avere relazioni. E la caratteristica saliente della specie umana rispetto alle altre specie animali e mammifere è la parola, la relazione. Se non è possibile quella, la fine dell'umanità è prevedibile.

Credo che le timide parvenze di remissione del carattere strutturale della crisi non possano coprire il fatto che le principali ricette di “uscita dalla crisi” hanno tutte un carattere fortemente autoritario e antidemocratico e ineguale, sicché il carattere patriarcale della crisi si palesa e le donne vengono rinviate a funzioni ancillari marginali o assimilate: si forma un enorme proletariato di donne nel mondo (la maggioranza della popolazione del pianeta) e se non si ha una soluzione di ciò la crisi va dritta alla barbarie, che nel caso delle donne si palesa nel carattere solo imitativo che ha l'emancipazione di donne al governo o nei media, nella riduzione degli orizzonti lavorativi e scolastici per le ragazze, nel rilancio della famiglia tradizionale, infine dal femminicidio (barbaro fenomeno arcaico che riaffiora ora in particolare negli Usa, proprio nelle più prestigiose università).

 

Lidia Menapace


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