Ho ripreso in mano la sua lettera
e l'ho letta finché la luce non è morta
L'immagine di copertina, nella rielaborazione del dipinto di Samuel Van Hoogstraten, di tonalità più scura rispetto all'originale è incorniciata dal buio, illuminata da una luce che dalla sinistra annerisce il titolo connotando la lenta discesa del sole verso la notte. Ed è così che Costantino Kavafis soffrirà il trascorrere del tempo “assediato” dalla paura della vecchiaia nella sua stanza-sacrario di voci, ricordi d'amore, pulsioni. Risuona come musica “che si perde lontano dalla notte” la voce dell'irrimediabile passato anche nel sogno e concede di consolare anche se per poco la deriva del vivere, riemergono vivi ricordi, parole e sensazioni forti tanto che “per poco il cor non si spaura” e Kavafis scrive: «ma l'intensità del suo pensiero e del ricordo/ stordisce il vecchio. E si assopisce/ curvo al tavolino del caffè». Il tempo breve della giovinezza appesantisce la memoria e consuma le candele, le incide in un gocciolatoio dell'anima. «E non mi volto, per non vedere, scosso dai tremiti/ come si allunga la fila tenebrosa,/ come crescono presto le candele spente». I suoi amori, la sua omosessualità vissuti pienamente fuori dalle convenzioni e dall'ipocrisia, riportano il calore della pelle, il contatto pieno dei corpi, la totalità dell'incontro, dell'amore e della passione, lo struggimento, la memoria e caratterizzano nella nostalgia il verso del poeta, «le mani strette, intanto e le labbra unite/... E continuavano a discutere di merce,/ ma solo per sfiorarsi con le mani/ sopra i fazzoletti o per toccarsi/ coi visi e con le labbra, come fosse il caso,/ nel fulmineo contatto dei due corpi». Nostalgia che il poeta declina in prima e in terza persona come a voler prendere fiato e assopire in altri il suo sentire. E allora incontriamo il vecchio al tavolo del bar, il bottegaio che nasconde ai clienti le cose più belle da lui create e le chiude in cassaforte, gli sguardi d'amore in coppie appassionate fino allo straripare di un altro argine ed è amore, sentito, vissuto, rivissuto ed eternato proprio nella fisicità dei versi, nei cinque sensi che li/ci attraversano e lasciano senza respiro.
E di un altro senso-sentimento vorrei dire, quello della grecità, che il poeta offre nell'equilibrata musicalità del verso; l'uso ripetuto dell'enjambement respira delicato nel verso lungo che prosegue nel rigo successivo come ad abbracciare nostalgia e ricordo e corpo in assoluta libertà pagana.
«È lì, sul miserabile giaciglio, che/ ho avuto il corpo, e la sua bocca,/ la rossa sua bocca voluttuosa/ di tanta ebbrezza che ancora, mentre/ scrivo (così tanto dopo!) mi sento/ nella casa solitaria inebriare».
Ad Endemione fu concesso di dormire per sempre rimanendo giovane e bello, baciato ogni notte da Selene. A Costantino Kavafis resterà un miglior destino un “per sempre”: quello dell'amore per la parola che una volta scritta non potrà mai andare persa.
Sforzati di custodirle, da poeta,
anche se è sempre poco quanto si può salvare.
Le tue visioni del fuoco dell'amore.
Ficcale, seminascoste nei tuoi versi.
Sforzati di trattenerle, da poeta,
quando si destano nella tua mente
la notte o nell'abbaglio del pomeriggio.
Patrizia Garofalo
Costantino Kavafis, Il sole del pomeriggio
Traduzione di Tino Sangiglio e Paolo Ruffilli
Introduzione di Paolo Ruffilli
Biblioteca dei Leoni, 2014, pp. 80, € 12,00