Per fortuna esistono i nonni, quelli che insegnano ad un bambino il gioco crudelmente innocente di legare con un filo la zampa di un calabrone trovato in una rosa, ma istillano con saggia concretezza anche il senso del tempo e della vita attraverso i giochi con la terra: «prendi un po’ di terra/ mettila sul selciato a mo’ di ciambella/ versaci dentro l’acqua/ deve avere la forma di un vulcano/ infila alla base una cannuccia/ defluirà piano piano».
La lentezza è lo scorrere del tempo, alle cui regole nessuno sfugge. E della ciambella di terra riempita d’acqua rimarrà solo un piccolo cumulo: così funziona per i ricordi, che si assottigliano insieme con la sofferenza, e il tempo è galantuomo.
Luca Gini sembra non dare spazio alla salvezza fin dalla scelta del titolo, Naufragio. Il vissuto lo schiaccia, lo trafigge, lo definisce solo ed esclusivamente in negativo, la sua nave è arenata, l’unica salvezza potrebbe stare nella pazzia. C’è l’atteggiamento drammatico caratteristico dei giovani che credono finita la vita dopo aver sperimentato i primi fallimenti e le sconfitte, soprattutto quando si sa di essere andati al tavolo “con le carte migliori” e di avere perso comunque ogni mano.
Tuttavia, come “unico attore di questo teatro” che è la vita, deve tornare a salpare, anche se la barca ha il timone rotto e i marinai sono dispersi. E se spunta un tu, radice di sofferenza, è il momento di guardarlo con occhio critico ma soprattutto di fare i conti con se stesso.
Il risultato di questa indagine è un rifiuto totale della piattezza del vivere quotidiano, quello che si accontenta della ripetizione degli stessi gesti, una condanna a vita: “dormi, mangia, lavora, alzati”. Non fa per lui “accettare la mensa parca” e una voce continua a dire: “Parti”.
La normalità lo distrugge, ha bisogno di “isole nuove” da esplorare, deve vedere “il ruscello che gorgoglia”. Ciò che per altri è “stabile” per lui ha “odore e sapore di cenere”. Se si preferisce il buio perché nasconde le brutture della realtà e lascia immaginare la bellezza, c’è comunque un percorso faticoso ma consapevole di avvicinamento alla “luce tra gli alberi”, all’acqua che scorre, con la certezza acquisita di non voler diventare un fiume blando, ma un ruscello irrequieto.
A questo punto viene in mente il concetto di “società liquida” contrapposta a quella “solida”, tanto caro a Zygmunt Bauman, ma non si può prescindere dalla esigenza naturale della giovinezza, la curiosità che vuole superare barriere, convenzioni, limiti, ed afferrare il mondo.
Ciò che nei versi di Luca Gini potrebbe apparire vittimismo o quantomeno il comportamento di chi si toglie ogni valore e merito solo per sentirsi dire dagli altri che non è vero, qui è così ostentato che può essere letto solo in chiave autoironica: «sono scultore/ senza modella/ scialbo cantore/ senza una musa/ cattivo pittore/ senza una posa/ fiacco scrittore/ senza una strofa». Del resto una sottile autoironia è trasversale alla raccolta.
Naufragio è un cammino irto di ostacoli attraverso il quale si cerca di prendere le distanze dal dolore, sia con “l’ebbrezza dell’ubriaco”, sia puntando ad uno stato di atarassia che fa smettere di desiderare per non soffrire: «dell’affanno dell’universo io rido/ dalle umane sofferenze mi allontano».
Su questo cammino, per fortuna, si è affacciata la Poesia, “quella vecchia bagascia”, ma il foglio bianco sta davanti a lui, lucido, freddo e lontano, come una sfida, “sta lì e afferma che la tua mente è scialba”. Poi lentamente le parole prendono forma, se ne tira una dopo l’altra, torna la leggerezza mentre si riscopre l’entusiasmo nel momento stesso in cui si nega: «Questa poesia si intitola “L’entusiasmo”/ L’entusiasmo/ volevo scrivere dell’entusiasmo/ ma è già passato».
Così si torna a scoprire la bellezza della vigna a ottobre, nonostante il trattore che arranca tra i filari: «*Ciak ciak ciak*/ Secchio!/ *Bo-bong* *tac tac*/ “Avaanti!”/ *Brum brum brum*/ “STOP!”/ “Secchio!”/ *poff poff poff*/ *ciak ciak*/ “Avaanti!”/ Questo è il mantra del trattore/ Se sei stato in una vigna ad ottobre/ di sicuro comprendi il mio dolore».
Ma ormai il dolore è sotto controllo e la barca può salpare.
Marisa Cecchetti
Luca Gini è nato nel 1982 a Empoli, e ha vissuto la sua infanzia sulle colline del Chianti, dove ha trascorso il suo tempo con i passatempi tipici dei ragazzi di campagna. In seguito a un'adolescenza abbastanza turbolenta e una prima giovinezza ricca di esperienze, e dopo aver provato vari mezzi di espressione artistica, è tornato a una modalità di espressione che gli era particolarmente congeniale, la scrittura. (nota in Quarta di copertina)
Luca Gini, Il naufragio
EIF Orizzonti, 2014, pp. 120, € 12,00