Ana Maria Machado
Infamia
Trad. di Giulia Manera
Exòrma, 2014, pp. 336, € 16,00
Quando un lettore arriva all’ultima pagina di Infamia non può fare a meno di porsi domande inquietanti. Che la letteratura sia specchio dei tempi e ne sia la migliore interprete è comunemente riconosciuto, ma viene da riflettere sul ruolo che essa può avere nella nostra vita, ed arriviamo a chiederci se l’intellettuale non sia talvolta troppo isolato dal reale.
Il protagonista del romanzo di Ana Maria Machado, “una delle scrittrici più interessanti del panorama letterario brasiliano contemporaneo”, è l’ambasciatore in pensione Manuel Serafin Soares de Vilhena, che è vissuto di letteratura tanto da sentirsi parte delle storie narrate, tanto da voler essere un intruso alla ricerca di dettagli anche oltre il narrato, per scoprire verità e menzogna. È vissuto tra le parole. Ma ora si rende conto dolorosamente, a proprie spese e troppo tardi, di essersi esiliato dal reale per fare l’intruso nell’immaginario. Troppo concentrato su se stesso, ha sprecato l’intelligenza che gli è stata data senza essere stato capace di ascoltare e vedere le difficoltà e le sofferenze della figlia, vittima di macchinazioni del marito Xavier, stimato e astuto diplomatico, per cui lei è arrivata ad una morte sospetta. Ora nemmeno il ricordo serve a rimediare ad errori, superficialità, cecità.
Un giallo si dipana intorno ad una cartellina di frammenti scritti dalla figlia Cecilia prima di morire ed ora arrivati alla famiglia. Ognuno vi cerca la verità, Manuel de Vilhena e sua moglie Ana Amélia, ma anche il figlio di Cecilia, Luis Felipe, convinto che la madre sia stata uccisa da Xavier.
Insieme a questa ricerca di chiarezza dentro una storia di famiglia, il romanzo della Machado si apre ad un’ampia indagine sulla verità e la bugia nella informazione, sul potere che hanno il giornalismo e i media in generale di costruire il falso, di negare la verità, di incastrare chi abbia il coraggio di denunciare un crimine. In questo caso il malcapitato diventa reo di colpe non commesse, viene ricoperto progressivamente di infamia, finché si trasforma in un essere che gli altri tengono lontano, come un ratto. Così si costruiscono e si distruggono persone, carriere, ma anche governi. L’aspetto più tragico è che i mezzi di informazione danno un enorme rilievo all’accusa, ma se per caso si giunge a dimostrare l’innocenza della vittima designata, nessuno ne parla, o la notizia finisce in un trafiletto di giornale.
Il je t’accuse rivolto dalla Machado alla macchina del potere – Da dove proviene ogni falsa storia? A chi interessa? Chi lo ha ordinato? Chi ha pagato? – nella mente del lettore fuoriesce immediatamente dai confini dello Stato in questione e dalle storie narrate, per abbracciare una sfera ben più vasta, perché è risaputo che non esiste un modo brasiliano di mentire, bensì una menzogna globalizzata, purtroppo insediata più o meno nelle radici della storia di tanti Paesi, usata a tempo e luogo secondo le esigenze e gli obiettivi. La cecità dilaga, l’omertà fa comodo al potere.
Infamia ci dà consapevolezza di un Brasile ancora alle prese con grossi problemi, senza trascurare le sacche di miseria, i senzatetto che a sera stendono i cartoni sul marciapiede all’uscita della metropolitana, la donna che “sistemava una busta di stracci luridi per sedervici sopra”, i gruppi che aspettano la sera per la distribuzione della zuppa dei poveri. Aperture su miserie che nemmeno il samba o il chorinho possono cancellare, né gli splendidi scorci della baia di Botafogo.
L’altra storia che nel romanzo si sviluppa e si intreccia alla precedente – e non è affatto secondaria – è quella personale di Custódio, onesto impiegato di un Ministero, che scopre ammanchi gravi e ruberie, e sente il dovere di denunciare. Scatta subito nei suoi confronti la persecuzione dei mezzi di informazione, subdola, insinuante, crudele, volta a distruggerne la dignità, a fare di Custódio un emarginato sociale, uno scarto umano. Le leggi dove sono? Purtroppo vige la legge del più forte, l’agnello sarà sempre vittima del lupo, anche se non ha colpe e nemmeno le hanno avute i suoi avi!
Intrigante e dolorosa la lettura di Infamia perché scuote, risveglia anche gli assopiti o chi si illude di conoscere la verità. Pirandello ha messo in guardia sulla verità, Kafka ci ha istruito sul funzionamento surreale della giustizia. Nomi autorevoli invitano continuamente a cercarla, la verità, al di là delle parole che si ascoltano.
Ma c’è un ingranaggio più potente, spesso malsano, che fa girare politica, affari, economia, che continua a sfuggire al controllo ed alla conoscenza, autoreferenziale, che riesce sempre a trovare gli strumenti per dimostrare che i colpevoli sono gli altri.
Marisa Cecchetti