| Jacopo Zucchi, 'Amore e Psiche', 1589 |
26 Aprile 2014
Tra i vari temi legati alla poetica di Montale, il dominante ci appare quello della mancata Figura, infatti quest'ultima deriva dal verbo fingere che significa modellare e, come dice il Poeta, essa concilia il concreto con l'astratto: «come figura in cera si suggella» (Purgatorio, X, v. 4). In Cigola l'importante passaggio dall'originale alla copia, plasmato dall’autore, coglie evidente la somiglianza che congiunge la spiritualità col realismo stabilendo così quel nesso dialettico inscindibile tra l’idea e il fenomeno. Proprio in codesto dualistico iato, tra simbolico e immaginario congenito al sentimento amoroso, si stabilisce l’esotico regno di Dora Markus: lì nella presa di coscienza del soggetto non ancora in essere ma in lucente e vibratile divenire, cioè nello stupore erotico insito all'oltranza. L'identico/somigliante che unendo separa, percepito nel riflesso dell'androgino e reminiscente sulla soglia di psiche, manifesta quindi l'assenza di una ascesi cognitiva costellata al modello platonico che, nel Fedro, diviene fallace simulacro teso sul conflitto interiore del dissimile diretto sì verso il sublime modello originario del noumeno:
Restano poche anime nelle quali è presente il ricordo in maniera sufficiente. Queste quando vedono qualcosa che sia un'immagine di lassù, restano colpite e non rimangono più in sé. Però non sanno che cosa sia quello che provano, perché non lo percepiscono perfettamente. (Platone, Fedro, 250 A)
ma tuttora caduco alla consistenza del contorno, alla parusia che, seppur liturgica nel flash intellettivo del rituale amoroso, possa tangere il divino. In questo testo, infatti, è in anamnesi itinerante all’ideale poietico che l’io compone l’oggetto in presente visiting angel ormai accessibile solamente all’onirico e, egli, affine al sostrato compositivo calibrato all'imago ieratica ascendente/discendente tra l’anima e le forme, in sequenza lo correla dipanato alla scrittura, speculum segnico al desiderio. Insomma gli strumenti retorici, transazionali alla carrucola del pozzo, esprimono, nello stile cristallino di Montale, la ciclica lacerazione della Figura strutturata in visione o in forma bilanciata tra l’opaco significante, atro fondo, e l’epifanica inderogabile parola:
Cigola la carrucola del pozzo,
l’acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un’immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro…
Ah che già stride
la ruota, ti ridona all’atro fondo,
visione una distanza ci divide.
Giovanni de Girolamo |