Padova riporta al centro di una doverosa attenzione il tema della sua storica cinta muraria – per secoli fortemente identificativa della città – presenta una avvincente mostra aperta fino al 20 luglio 2014 presso i Musei Civici agli Eremitani, per celebrare i 500 anni della loro costruzione. L’esposizione, promossa dall’Assessorato alla Cultura di Padova e dal Comitato Mura di Padova, a cura di Vincenza Cinzia Donvito e Ugo Fadini (catalogo Biblos), mira a ricostruire mezzo millennio di storia delle mura cittadine attraverso reperti archeologici, manufatti, armi e strumenti bellici, disegni, incisioni, preziosi volumi e dipinti antichi, nonché ricostruzioni appositamente realizzate (fotopiani, modellini, video ecc.).
Scopo della esposizione è mostrare e celebrare le mura, ma soprattutto riportarle al centro del dibattito culturale sul futuro della città: non più soltanto come problema urbanistico, ma come nodo identitario e risorsa per la città.
Bruno Zevi, già nel suo fondamentale volume Saper vedere l’urbanistica (Einaudi 1960) scrive «L’integrazione della cosiddetta “architettura militare” nella storia vera e propria dell’architettura costituisce un problema ancora insoluto… Ma la tendenza è stata di sopravvalutare il contenuto del tema, di considerare la “funzionalità” militare così preminente rispetto all’espressione artistica da postulare un “genere” architettonico avulso dal processo metodologico della storiografia moderna…» La storia delle fortificazioni costituisce un argomento che, se non può esaurirsi in una passiva rappresentazione di esigenze tecnico-militari, mal si presta ad essere affrontato da una critica che ha forgiato i suoi strumenti nell’analisi di opere architettoniche singole, accentuate dal tessuto urbano.
Una cinta muraria è la cornice di un piano regolatore: può determinare l’organismo urbano, può essergli sovrapposto e soffocarne lo sviluppo, può rimanergli estranea; comunque, va giudicata anzitutto in funzione del piano, sulla scala della città. Poiché essa fissa il perimetro del territorio urbano, il circuito delle fortificazioni discende da una scelta politica e amministrativa che investe il fattore iniziale e più importante del destino di un aggregato urbano: la sua misura.
Scrive Bruno Zevi riguardo all’operato di Biagio Rossetti a Ferrara: «Nei suoi continui viaggi fuori dello stato estense, egli aveva avuto agio di studiare le fortificazioni che si venivano costruendo… Fatto è che egli per la difesa dell’Addizione apprestò il sistema più moderno e spregiudicato dei suoi tempi».
A Padova non è ancora certo che già in epoca romana la città avesse una cinta muraria, come i ritrovamenti lungo l’insula fluviale formata da Tronco maestro e Naviglio interno fanno ritenere; in ogni caso essa sarebbe coincisa in parte con la prima cinta comunale duecentesca, a testimonianza di una continuità nell’insediamento e nello sviluppo del centro urbano fin dall’antichità. La stessa forma urbis a triangolo irregolare della città moderna si spiega del resto tenendo presente gli assi viari antichi, rimasti in gran parte costantemente attivi.
È per questo che la mostra dà conto anche delle origini antiche del sito con una serie di rinvenimenti – alcuni inediti – effettuati in epoche diverse lungo il percorso delle mura. Ma ad accogliere i visitatori sono gli antefatti della costruzione cinquecentesca: uno dei pochi leoni di San Marco sopravvissuti alla furia iconoclasta dei giacobini, mai esposto prima d’ora, un plastico con un migliaio di soldatini a rievocare la battaglia di Agnadello e un altro a ricordare l’assedio di Padova e poi le armi usate in quell’occasione dai veneziani e dai loro nemici.
Allo scoppio della guerra con la Lega di Cambrai, Padova era ancora la grande città tardo-medioevale orgogliosamente circondata dalle tre cinte di muraglie vecchie, comunali e carraresi, che la disegnano e la rappresentano; mura inadeguate a difenderla nel caso di attacco condotto con l’artiglieria, come segnalato in ripetute ispezioni dai provveditori della Serenissima e capi militari.
L’emergenza dell’assedio costringe dunque a manometterle per adattarle per quanto possibile alle nuove esigenze belliche ma è solo con la cessazione delle ostilità con la Francia e con il ritorno dalla prigionia di Bartolomeo d’Alviano, nominato capitano generale, che si può avviare una sistemazione definitiva.
Grazie anche ai prestiti dell’archivio di Stato di Padova e dell’Archivio Comunale, oltre alle opere conservate presso i Musei Civici agli Eremitani e la Biblioteca Civica, antiche piante, rilievi, modelli, illustrazioni, medaglie, sigilli ed elementi lapidei – come un cippo esposto per la prima volta, che segnava il termine del guasto.
Le mura veneziane, che presto sostituiranno quelle medioevali anche nell’iconografia di San Daniele che regge in mano il modello della città, costituiscono il monumento che più di ogni altro simboleggia e “descrive” Padova.
Un monumento che include veri gioielli architettonici, come le due porte del Falconetto, e strutture militari imponenti, che per la varietà delle soluzioni adottate nel corso del tempo a seguito dell’evolvere delle tecniche di difesa dal fuoco delle artiglierie (torrioni circolari a uno o due piani, baluardi poligonali di forma e dimensioni ogni volta diverse, ecc.), offrono un’opportunità unica per poter seguire lo sviluppo dell’architettura militare in unico luogo. Senza contare la complessa relazione del sistema bastionato con le acque, intese a un tempo come ulteriore fattore di difesa, integrato, e via maestra di comunicazione e vita.
Maria Paola Forlani