Ricorre oggi, 18 aprile 2014, il terzo anniversario di una strage che si è consumata a Homs per mano dell’esercito di bashar al assad contro i giovani riuniti nella principale piazza della città, ribattezzato come “Massacro dell’orologio”.
Centinaia di persone, soprattutto ragazzi, avevano violato il regime di coprifuoco – in vigore da oltre 40 anni – che vietava ogni assembramento pubblico, dato vita ad un sit in pacifico di protesta, in solidarietà con le vittime cadute in altre città siriane e, in particolare, con le famiglie dei giovani uccisi il giorno prima nel quartiere di Bab Al Siba’a, nella zona antica di Homs.
I manifestanti si erano riuniti intorno al monumento simbolo della città, avevano pregato all’aperto per rendere omaggio alle vittime e poi avevano deciso di restare in quella piazza e parlare, far sentire il loro dissenso e le loro richieste, in modo pacifico. Le guide spirituali della zona avevano cercato di dissuadere i giovani, di invitarli a interrompere il sit e lasciare che fossero solo alcuni rappresentanti a portare le loro richieste alle autorità, temendo che la reazione del regime di fronte a quella numerosa piazza che rivendicava i propri diritti non si sarebbe fatta attendere. Ma tra i giovani non c’era nessuna volontà di chinare nuovamente la testa: stavano manifestando pacificamente e altrettanto pacificamente chiedevano un cambiamento.
Poche ore dopo il tramonto è accaduto quello che alcuni temevano: le forze del regime hanno fatto irruzione nella piazza, aprendo il fuoco sui manifestanti inermi. Ci fu una strage. Oltre alle vittime che caddero sotto il colpo delle armi, decine di giovani vennero uccisi negli ospedali, altrettanti vennero arrestati, torturati e poi condannati a morte.
Il massacro dell’orologio ha segnato un punto di non ritorno nella storia della Siria e della rivolta siriana contro il regime di assad. Homs è una delle città più colpite dai bombardamenti; buona parte della sua popolazione è fuggita, migliaia sono le vittime e chi è ancora in vita subisce un assedio che dura da oltre 670 giorni. A Homs sono state scritte alcune delle pagine più dolorose del genocidio siriano: dal massacro di Baba Amr alla trappola degli accordi di Ginevra2, che di fatto ha consegnato nelle mani del regime centinaia di giovani che si trovavano nella zona assediata. A Homs si sono spenti migliaia di giovani che con i loro nomi, i loro gesti, i loro racconti hanno fatto sapere al mondo cosa accade in Siria. A Homs è nata la prima web community di citizen reporter @LensYoungHomsi, che ha mostrato al mondo le immagini di morte e devastazione che il regime ha volutamente censurato. A Homs sono stati uccisi, tra gli altri, l’imam Safwan Masharqa e il religioso gesuita Padre Francis, due religiosi simbolo della lotta non violenta, che fino all’ultimo hanno deciso di rimanere vicini alla propria comunità di fedeli stremata dall’assedio. A Homs abbiamo assistito a scene di resistenza non violenta che fanno storia e allo stesso tempo abbiamo visto la ferocia inaudita di cui sono capaci un regime sanguinario e i suoi alleati.
Asmae Dachan
(da Diario di Siria – con DUE VIDEO, 17 aprile 2014)