Parlare di Lev Tolstoj (come d'altronde lo è parlare di Proust) è parlare della letteratura, della sua essenza e della maniera in cui essa si presenta nella maniera più grandiosa all'uomo. Un uomo, Tolstoj, la cui grandezza già era avvertita chiaramente quando era ancora in vita, basti pensare all'episodio della sua morte. In fuga dal mondo, via treno, per dedicare il resto della sua vita a Cristo, a causa del freddo si avvicina alla morte e si trova a superare lentamente quella soglia che divide la vita dalla morte, in una zona ferroviaria. Tanto è il rispetto per l'uomo che i binari della ferrovia saranno ricoperti di paglia, per fare in modo che la sua agonia non sia disturbata da alcun fattore esterno. È stato un uomo capace di consegnare all'umanità un'opera che non riusciremo mai a concepire partorita da una mente appartenente alla nostra stessa specie (ancora, così come Proust). Qua non ci occuperemo però di “Guerra e pace” ma del romanzo breve “Sonata a Kreutzer”.
Lasciando da parte la complessa gestazione dell'opera, che fu più e più volte rivista e le critiche che essa ha ricevuto (in particolar modo dalla moglie che la definiva scritta da un uomo cattivo), concentriamoci sul ruolo che la musica riveste all'interno dell'opera, concetto che si realizza in una piena e completa estetica della musica espressa in queste pagine dall'autore russo.
La storia viene narrata da uno sconosciuto di cui nessuno conosce il nome, durante un viaggio in treno. Una volta che questo narratore misterioso e il nostro protagonista Vasja Pozdnysev si ritrovano soli nello scompartimento, il secondo comincia a raccontare al primo la sua storia, concentrandosi sulle tappe che il suo amore coniugale ha compiuto. Dietro una felicità si cela in realtà una terribile preoccupazione; Vasja crede infatti in una relazione tra la moglie e un musicista che lui stesso le ha presentato. Questo dubbio nasce da quando ha visto i due eseguire al violino e al pianoforte la Sonata a Kreutzer di Ludwig Van Beethoven. Convinto però che il musicista sia pronto a lasciare la casa, decide di assentarsi per alcuni suoi affari personali ma, appena scopre da una lettera della moglie che il musicista si trova ancora nella sua dimora, torna immediatamente indietro e, trovando la moglie con il musicista, la pugnala. Un uxoricidio su cui Tolstoj non apre il suo occhio investigativo, con il dubbio che rimane al lettore sul compimento o meno del tradimento.
La musica viene rappresentata qui come fonte di turbamento dell'amore coniugale, una sorta di veleno che si insinua nei rapporti tra marito e moglie e che possiede la forza di far sorgere dubbi e preoccupazioni in questo rapporto; questo è quello che si legge tra le righe del lungo monologo pronunciato da Pozdnysev.
La musica in questione è una tra le più complesse sonate di Beethoven, composta in onore del musicista francese Rodolphe Kreutzer e che si presenta composta di tre movimenti, di cui il primo, “Adagio sostenuto – Presto – Adagio - Tempo I”, è quello a cui fa esplicitamente riferimento il marito. Infatti situa proprio in una zona circoscritta dell'opera la nascita del suo sentimento di titubanza verso la fedeltà della moglie, «Conoscete il primo “presto”? Lo conoscete? Uh! Uh! È una cosa terribile quella sonata. E appunto quella parte. E la musica in genere è una cosa terribile! Che cosa fa? E come mai fa quello che fa? Dicono che la musica agisca in modo da elevare l'anima: sono sciocchezze, non è vero [...] non agisce in modo né da elevare né da abbassare l'anima, ma in modo da eccitare l'anima. Come dirvi? La musica mi costringe a dimenticarmi di me, della mia vera situazione, mi trasporta in una situazione nuova e che non è la mia; sotto l'influsso della musica mi pare di sentire quello che in realtà non provo, di capire quello che non capisco, di potere quello che non posso». Nasce chiara qui la funzione metonimica della Sonata a Kreutzer riguardo la concezione che riveste la musica in questa opera, il suo compito di esprimere una parte per il tutto: la musica tutta è una cosa terribile perché porta l'uomo ad uno stato che non si avvicina affatto a quello che lo dovrebbe contraddistinguere ma lo avvicina piuttosto ad uno stato più basso, infimo, non gli permette più di vedere con occhi coscienti la realtà ma lo spinge a fare cose che rientrano nell'eccitazione provocata dalla musica in quel dato momento. Ecco perché la musica non si addice alla natura dell'uomo e e perché debba essere rigettata secondo una teoria che trae ispirazione dalla visione platonica dell'arte come allontanamento dalla sfera dei sentimenti più normali.
Certo, una considerazione non facilmente condivisibile, soprattutto per la nettezza con cui è presentata, ma che costituisce, ricordiamolo sempre, lo spunto per una storia narrativa, un dato da cui partire per sviluppare la storia; ecco perché allora questa opera non deve essere assolutamente fraintesa, perché, nella stessa opera, Tolstoj riesce a dare una descrizione della gelosia giustamente celeberrima che, come dicevo all'inizio, lo eleva dall'umanità verso il cielo dell'immortalità:
«Una delle più penose condizioni per i gelosi (e gelosi sono tutti nella nostra vita di società) è trovarsi costretti a quelle relazioni mondane che mettono in una grande e pericolosa intimità gli uomini e le donne. Bisogna diventar ridicoli oppure permettere l'intimità nei balli, l'intimità tra i medici e le loro clienti, l'intimità con gli artisti, i pittori e specialmente i musicisti. Le persone si occupano insieme della più nobile tra le arti, la musica: perciò è necessaria quella tale intimità, e quell'intimità non ha nulla di biasimevole: soltanto un marito scioccamente geloso può vedervi qualcosa di male. E intanto tutti sanno che proprio a mezzo di occupazioni, e specialmente della musica, avviene la maggior parte degli adulteri nel nostro mondo. Evidentemente li avevo messi nella medesima situazione penosa nella quale mi trovavo io: per un pezzo non mi riuscì di dir nulla. Ero come una bottiglia capovolta dalla quale l'acqua non esce perché è troppo piena. Volevo ingiuriarlo, scacciarlo, ma invece sentivo che dovevo invece mostrarmi amabile e affettuoso con lui. E così feci. Finsi di approvare tutto, per quello stesso strano sentimento che mi obbligava a rivolgermi a lui con tanta maggiore gentilezza quanto più la sua presenza mi era penosa. Gli dissi che mi affidavo al suo gusto e consigliai lo stesso a mia moglie. Egli rimase ancora un poco, quanto bastava per cancellare la sgradevole impressione che aveva prodotto la mia subitanea entrata nella stanza, con quel viso stravolto e quel mio silenzio, e poi se ne andò, figurando di aver finalmente deciso quel che si dovesse suonare».
Matteo Moca