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Flavio Bacchetta. Giamaica, la strage degli innocenti 
Con una intervista a Paula Llewellyn, Director of Public Prosecution
14 Aprile 2014
   

In Giamaica, dalla proclamazione dell’indipendenza, 6 agosto 1962, il conflitto armato tra le forze dell’ordine, opposte alle gang criminali, (la cui manovalanza è sovente sfruttata dai politici) insanguina il territorio, e miete le sue vittime soprattutto tra i giovani e le donne, che sono le più esposte ai due fuochi della contesa.

Le statistiche che si riferiscono all’anno 2013, registrano un incremento degli omicidi ordinari, oltre 1.200 vittime, e di quelli extra giudiziari, perpetrati dalle forze dell’ordine; l’anno scorso i police killings sono stati quasi 300, molti innocenti uccisi per errore o incompetenza, e altri fatti fuori per peccati veniali, come piccoli furti o linguaggio osceno nei confronti delle autorità.

Dal 2000 a oggi, sono circa 5.000 gli omicidi perpetrati dalle forze dell’ordine in Giamaica nell’esercizio delle funzioni; oltre la metà delle vittime sono innocenti, coinvolti in incidenti collaterali, o clamorosi scambi di persona; oppure rei di colpe veniali, come quella di aver risposto male a un agente, o opposto resistenza all’arresto.

L’ONG Jamaicans For Justice, che fornisce assistenza legale gratuita alle famiglie delle vittime, ha chiesto con veemenza le dimissioni del Capo della Polizia, a fronte dell’incapacità di questi d’eliminare dal Corpo le schegge impazzite, e della scarsa professionalità dei suoi subordinati; specie nel caso di tragici equivoci, come quello di Mickey Hill, il capitano del catamarano di Negril, ucciso a freddo davanti ai suoi fratelli e ai turisti, perché scambiato per un trafficante di armi. Oltre alla percentuale dei casi risolti, tristemente irrisoria.

Il numero di giovanissimi, addirittura bambini in età scolare, trucidati dagli agenti, è alto. Alcuni esempi: Michael Scarlett, 18 anni, freddato davanti alla sua fidanzata, incinta di otto mesi, nell’aprile del 2002, perché accusato di nascondere una pistola, mai rinvenuta; Lance Zab, 14 anni, trucidato nell’agosto del 2007; Jevaughn Robinson, 13 anni, ucciso nel settembre del 2008, disarmato e a piedi scalzi, mentre era in attesa di essere perquisito; Winston Malcolm Jr., 17 anni, insieme al padre, nel dicembre del 2008, dopo un irruzione illegale della polizia all’interno della sua abitazione; Nicketa Cameron, 12 anni, uccisa l’8 marzo del 2012, insieme ad altre 5 persone, tra cui due anziani di 75 e 80 anni, nel ghetto di Denham Town a Kingston, durante un’irruzione della polizia; Vanessa Kirkland, 13 anni, falciata alcuni giorni dopo davanti alla scuola con una compagna, mentre era a bordo di un taxi, scambiato per un auto rubata; Kevon Shue, 17 anni, ucciso nell’ottobre 2013 a Mountain View, Kingston. Di tutti questi casi, dopo quasi dodici anni, soltanto nel primo menzionato, Scarlett, gli accusati sono stati arrestati e rimandati a processo, sebbene siano ora liberi su cauzione. Riporto per ultimo l’omicidio di Kayann Lamont, 25 anni, ammazzata a sangue freddo davanti alla sorella a Yallahs nel settembre del 2012, solo perché aveva risposto male a un agente durante la perquisizione del minibus a bordo del quale viaggiava.

Kayann era incinta di otto mesi, per cui il nascituro è la vittima più giovane della serie.

In ampi settori dell’opinione pubblica, permane la sensazione che la polizia debba essere comunque giustificata, anche di fronte ad eccessi del genere. Soprattutto da parte dei ceti abbienti, che temono più di tutti la criminalità, e ritengono che la polizia debba essere autorizzata comunque a usare il pugno di ferro, anche a scapito di vittime innocenti.

 

Indecom alla riscossa

Il 27 novembre 2013, Indecom, la Commissione indipendente che indaga su i crimini della polizia, arresta e incrimina per omicidio volontario, 6 poliziotti, per due episodi differenti; nel primo, il 13 aprile, un cittadino è ucciso sulla porta di casa da gli agenti Victor Mitchell e Andrew Hudson. La motivazione, avallata dai testimoni, quella d’indecent language, ingiurie che la vittima avrebbe rivolto ai due, mentre tentavano di entrare in casa sua senza mandato.

Nel secondo, altri quattro agenti, due donne e due uomini, sono arrestati e incriminati per l’omicidio di Trevor Edwards, un uomo crivellato di proiettili, passeggero di un taxi abusivo perquisito nel dicembre 2010 a Denham Town. Tutti e sei gli indiziati sono liberi su cauzione, ma i loro passaporti sotto sequestro, per cui non possono espatriare. Altri agenti sono ora sotto inchiesta, per tre omicidi avvenuti lo stesso giorno, il 27 novembre 2013: Miguel Wilson, ucciso a Red Hills Road a Kingston. Dean Nelson e Mark Clarke, sempre a Kingston.

Dal 7 all’8 febbraio 2014, cadono a Kingston 5 persone, quattro uomini e una donna, durante rastrellamenti nei ghetti.

Secondo gli inquirenti, le forze dell’ordine hanno risposto al fuoco, e la donna sarebbe rimasta coinvolta accidentalmente.

Versione contraddetta da Indecom, la quale non ha ritrovato alcuna arma che corrobori il presunto scontro a fuoco; inoltre l’investigatore di servizio, pare abbia accertato che uno dei quattro uomini, ferito, sia stato trasportato nella stazione di polizia invece che all’ospedale, e lasciato morire senza soccorso.

Indecom cita chiaramente, nel rapporto del 10 febbraio 2014, le “death squads”, squadre della morte, responsabili di questi continui massacri, e ricorda che dall’inizio dell’anno sono oltre 90 i nuovi “police killings”.

 

In Tower Street, una traversa a destra di King Street, nella downtown di Kingston, c’è uno splendido monumento che rappresenta una testa di bronzo, incastonata nel legno, con delle lacrime bianche che sgorgano dagli occhi chiusi. Sulla base, scolpiti in una targa di marmo, risaltano i nomi di tante piccole vittime innocenti, uccise dalla violenza delle strade e domestica. Sono tantissime, e si riferiscono solo a due anni, 2004 e 2005.

De pickney dem, i bambini nel dialetto patois, sono la ricchezza più grande, spesso l’unica, delle classi indigenti. Che siano uccisi dalla criminalità comune, dalle rappresaglie della polizia, o dai conflitti interni alle famiglie, non fa alcuna differenza.

Sono comunque il risultato del fallimento di una società adulta, profondamente malata, che, come il Conte Ugolino, divora i propri figli.

 

I gravi fatti giamaicani, hanno portato all’intervento di ICHR, International Clinic for Human Rights, il team in difesa dei diritti umani della Loyola University a Los Angeles, il cui direttore, Prof. Cesare Romano, è venuto a Kingston nel 2012 e 2013. Lo scopo è di raccogliere un numero di casi sufficienti da essere presentato alla IACHR, la Commissione Inter Americana per i Diritti Umani; la Giamaica in passato, ha ratificato la Convenzione degli Stati Americani. Nel corso della nostra intervista, emergerà con più chiarezza la dinamica degli eventi. Cominciando proprio dagli organi inquirenti; Paula Llewellyn rappresenta la più alta carica dello Stato, ai fini di perseguire i crimini dei suoi subordinati.

 

 

Intervista a Paula Llewellyn,

Director of Public Prosecution

(in collaborazione con ICHR, della Loyola University di Los Angeles)

 

D: (ICHR) Cosa impedisce una migliore fluidità dei procedimenti giudiziari nei confronti dei criminali e degli agenti incriminati?

R: È soprattutto un problema di “contenitore” se così si può definire; il numero degli omicidi relativi solo a quest’anno, supera di almeno tre volte la capienza delle Corti disseminate lungo l’isola. Mi riferisco a tutti i casi di omicidio, non solo quelli extra giudiziari.

Solo nella Corte di St.Ann, ci sono allo stato attuale 100 casi di omicidio in sospeso per mancanza di spazio. Riguardo casi dei poliziotti, un altro problema è quello delle continue opposizioni che gli avvocati della Difesa interpongono alle deposizioni dei testimoni.

I giudici nella maggioranza dei casi accettano senza distinzione questi paletti, e i procedimenti giudiziari proseguono con lentezza esasperante.

D: (ICHR) Quali sono i tempi della consegna di prove e indizi ai vostri uffici?

R: Terribilmente lunghi, per noi e Indecom; spesso i corpi del reato arrivano incompleti. Ad esempio, se dal reparto forense della polizia ci giunge l’arma del delitto che appartiene a un agente sotto inchiesta, questa non sempre è corredata da una dichiarazione scritta, per cui il caso rimane incompleto, a volte per mesi, ma anche per anni.

Lo stesso vale per le dichiarazioni dei testimoni sui fatti accaduti; sebbene nei casi di omicidio siano presenti folle di persone che rivendichino di aver assistito al crimine, alla resa dei conti le deposizioni scarseggiano, anche considerando il fatto, che noi le riceviamo di seconda mano, da Indecom così come dai corpi di polizia. La paura svolge in questo caso un ruolo di primo piano: il cittadino non si fida delle istituzioni, e anche se in possesso di elementi importanti, il più delle volte si tira indietro, o rinnegando le deposizioni precedenti, o rifiutandosi di farlo; questo accade sia nel caso dei crimini da parte dei delinquenti abituali, che in quello dei police killings, gli omicidi della polizia. Le possibili rappresaglie sono il deterrente migliore alla trasparenza della giustizia.

D: (FB) Allo stato attuale, come la situazione del Programma Protezione Testimoni?

R: Innanzi tutto questo non è pertinenza né nostra né di Indecom, bensì della National Security (il Ministero della Sicurezza Nazionale). Oltre alla perenne scarsità di fondi, che crea un ostacolo pratico al mantenimento dei testimoni sotto protezione, ci sono anche le difficoltà logistiche, legate agli spostamenti delle persone, su un territorio così piccolo come quello della Giamaica.

D: (ICHR) Com’è il comportamento dei gradi superiori della polizia, nei confronti dei dipendenti sotto inchiesta? Esiste una collaborazione con gli organi inquirenti?

R: Questo è un altro grave problema: sovente non possiamo considerare i poliziotti incriminati come dei sospetti veri e propri, per il ritardo o addirittura l’occultamento degli elementi probatori, avallati dai loro superiori, che influenzano anche le deposizioni scritte; in questi casi, i fatti sono trasformati in ordinari episodi di legittima difesa, a volte riportando conflitti a fuoco inesistenti, oppure planted weapons (armi non appartenenti alle vittime) fatte ritrovare accanto ai cadaveri degli uccisi. Se l’indagato non passa allo stadio di sospetto ufficiale, non possiamo ritirar loro i passaporti, e questi sono liberi di espatriare.

D: (FB) Allo stato attuale, quali sono i casi di police killings, passati a sentenza definitiva di giudizio?

R: Abbiamo ottenuto una sentenza di ergastolo, nei confronti dell’agente Lascene Edwards, riconosciuto colpevole dell’omicidio premeditato della fidanzata, madre dei suoi due figli; con l’aggravante di aver scritto una lettera, che simulava il suicidio della donna. (Fine)

(Il caso menzionato, riguarda però il crimine privato di un agente fuori servizio, nda)

 

I Quattro dell’Ave Maria:

squadre della morte in Giamaica

La provincia di Clarendon in Giamaica, grande produttrice di peanuts (noccioline), era un tempo una delle più sonnacchiose dell’entroterra.

A risvegliarla dalla sua quiete agreste, ci hanno pensato quattro tutori dell’ordine, gli agenti Chuckie Brown, Carl Bucknor, Jerome Whyte, i quali, sotto le direttive del detective Kevin Adams, animano da circa tre anni le notti quaggiù, con esecuzione sommarie, che uccidono vagabondi e autori di piccoli reati.

Sono nove finora, le vittime accertate e comprovate del quartetto, tra le quali spicca in modo particolare il caso di Adif Washington; recatosi alla stazione di polizia di Milk River, per fare una deposizione, il 13 gennaio del 2103, l’uomo fu ferito gravemente da un sicario anonimo. Trasportato all’ospedale di May Pen, il capoluogo di provincia, mentre era in prognosi riservata nel reparto di terapia intensiva, venne avvicinato da un uomo mascherato, e finito con un colpo in testa. Indecom, la Commissione indipendente che persegue i crimini della polizia, dopo oltre un anno d’indagini, ha accertato, con prove balistiche e intercettazioni, la colpevolezza dei quattro agenti, e avviato un’inchiesta, che ha condotto al loro arresto, il 12 marzo 2014.

Adif quel giorno, aveva riconosciuto il suo aggressore, l’agente Bucknor, per cui doveva morire. E il sicario mandato all’ospedale per finire “il lavoro” fu identificato in seguito nel detective Adams, che, apparentemente, temeva le rivelazioni del ferito. Lunedì 31 marzo, Indecom convoca una conferenza stampa, alla quale partecipa un rappresentante del governo inglese, che ora affianca l’agenzia nelle indagini. Mr. Terrence Williams, il direttore, annuncia alla stampa l’arresto dei 4 poliziotti, per pluri omicidio volontario.

Sotto la raffica di domande dei giornalisti, emerge quella che è la triste realtà degli omicidi extragiudiziari in Giamaica: i lodevoli sforzi dell’agenzia, che culminano sovente in arresti e prove schiaccianti nei confronti degli agenti incriminati, s’infrangono su gli scogli del sistema giudiziario locale, che insabbia i procedimenti, tollerando la continua intimidazione dei testimoni da parte della polizia. A fronte di una media annua di 300/350 police killings, non esiste allo stato attuale una sola sentenza definitiva di condanna per omicidio, nei confronti di un agente in servizio.

E quando si arriva al punto di giustiziare a freddo un ferito all’interno di un ospedale, che dovrebbe tutelare la vita dei suoi ricoverati, la memoria va a similari atrocità di guerra.

 

©Flavio Bacchetta, Kingston - Jamaica W.I.

(da il manifesto, 5 aprile 2014)


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