Si è aperta fino al 6 luglio alla Reggia di Venaria (Torino) la mostra “Splendori delle corti italiane: gli Este. Rinascimento e Barocco a Ferrara e Modena”, a cura di Stefano Casciu.
Il territorio del maggio 2012 ha devastato la zona dell’Emilia un tempo degli Este, colpendo in particolare il patrimonio architettonico e storico-artistico. Una delle vittime illustri del sisma è stata la Galleria estense di Modena, il museo che raccoglie l’eredità delle collezioni estensi, delle quali conserva celeberrimi cimeli dal Quattrocento al Settecento. In attesa della riapertura della Galleria, al termine dei lavori tuttora in corso, il “cuore estense” delle sue raccolte forma a Venaria il nucleo della mostra integrato da importanti prestiti da musei italiani e stranieri, per presentare con ampiezza e altezza qualitativa lo sviluppo delle raccolte e degli interessi artistici della casata, e i principali artisti che furono al suo servizio nel periodo che va dal ducato ferrarese di Alfonso I (1505-1534) a quello modenese di Francesco II (1664-1694).
I due secoli presi in esame, il Cinquecento e il Seicento, sono presentati sotto le etichette convenzionali del Rinascimento e del Barocco, che calzano perfettamente con i temi della mostra. Non si può infatti pensare alla Ferrara del Cinquecento se non come a uno dei centri più splendenti e avanzati del Rinascimento italiano dove, grazie ai duchi Alfonso I, Ercole II e Alfonso II operarono artisti come Tiziano, Dosso Dossi, Garofalo, Girolamo da Carpi, Antonio Lombardi e, in campo musicale, Josquin Deprez, Adrien Willaert, Girolamo Frescobaldi, Gesualdo da Venosa, per fare solo alcuni nomi. I camerini della “Via coperta” del castello di Ferrara, quello di alabastro con rilievi all’antica del Lombardo e quello delle pitture con i Baccanali di Tiziano, Giovanni Bellini e Dosso, sono un luogo mitico (anche perché perduto) dell’arte del Rinascimento. Più tardi, nelle “Stanze Nove” di Ercole II si radunò il meglio dell’arte ferrarese del tempo.
In maniera analoga, anche se forse meno ovvia per il pubblico di oggi, Modena è da considerare una delle capitali del Barocco italiano, sotto il segno della magnificenza estense. Con Francesco I (nato nella nuova capitale e duca dal 1629 al 1658) la città diventò una nuova immensa reggia, progettata secondo aggiornati modelli romani, il teatro e la cittadella minore (oggi perduti), la delizia estiva di Sassuolo, decorata da affreschi e stucchi barocchi di stupefacente bellezza (Jean Boulanger, Agostino Mitelli e Michelangelo Colonna ne furono i principali artefici, ma anche Bernini contribuì da Roma con disegni per le fontane). In pochi anni l’aspetto della nuova capitale estense venne rivoluzionato.
Nella costruzione dell’immaginario di Francesco I come principe assoluto ideale ebbero un ruolo fondamentale i suoi strepitosi ritratti, quello dipinto da Velázquez a Madrid nel 1638 e soprattutto quello scolpito dal Bernini a Roma nel 1650-1651. Ma fu anche centrale la formazione di una ricchissima raccolta di pittura, quella Galleria ducale fastosamente allestita nelle camere da parata del nuovo palazzo di Modena che divenne presto sede di una delle maggiori collezioni principesche d’Italia. Nella Galleria modenese (dispersa nel 1746 con la vendita dell’Elettore di Dresda dei cento principali dipinti) erano splendidamente accostati grandi capolavori del Cinquecento (le quattro grandi pale del Correggio, tra le quali la Notte, e opere di Tiziano, Giulio Romano, Veronese, Tintoretto, Andrea del Sarto, Holbein, Parmigianino, Annibale Carracci, Dosso Dossi e degli altri ferrarese) a dipinti moderni e contemporanei, frutto di acquisti o di commissioni (tra i quali opere di Rubens, Guido Reni, Guercino, Albani, Régnier). Dopo il 1664, nel ducato di Francesco II, si rinnoveranno a Modena anche i fasti musicali ferraresi, sotto il segno dell’oratorio, dell’opera e della musica strumentale barocca.
La mostra prende il via con un accenno al glorioso Quattrocento ferrarese di Cosmè Tura e di Ercole de Roberti, per toccare poi tutti i momenti salienti della storia artistica estense tra Cinque e Seicento, grazie all’esposizione di novanta tra dipinti e sculture, volumi a stampa e manoscritti (provenienti in gran parte dalla Biblioteca estense universitaria di Modena, che ha dato un importante contributo alla mostra).
La civiltà musicale estense è poi rievocata grazie a due strumenti di eccezionale importanza, l’arpa estense del 1581 e il violoncello barocco di Domenico Galli del 1691. Nella mostra sono esposti tre dipinti restaurati per l’occasione del Centro di conservazione e restauro di Venaria Reale, l’Adorazione dei pastori di Dosso e Battista Dossi della Galleria estense e due tele di Annibale Castelli e Sante Peranda, provenienti da Mirandola e danneggiati nel sisma del 2012.
Maria Paola Forlani