Casa Obici, Riva Schiavoni
Venezia, 11.IV.1929
Cara signorina Mary, non potevo rispondere alla sua lettera, che mi ha fatto molto piacere ricevere, dal momento che lei si è dimenticata di darmi il suo indirizzo. Fatto sta che io l’avevo questo indirizzo ma non sapevo più dove fosse e soltanto ieri sera, frugando per caso nel mio portafoglio, invece di trovarci una carta da cento lire, ci ho trovato per l’appunto quello che da più giorni stavo cercando. Eccomi dunque a risponderle. Non si aspetti una gran lettera perché non ho voglia di scrivere, come sempre, e, inoltre, sono un po’ stanco. Molto mi piacerebbe rivederla e dirle quattro stupidaggini, ma pare che sia destino ch’io non mi debba più incontrare con lei. Quando lei era a Venezia, l’estate scorsa, io ero in Russia e le sue cartoline le ricevetti a Mosca. Qui vedo continuamente delle ragazze che le somigliano ma non vedo lei, non vedo il lauro e il ferro, ma la signorina Mary non vedo. Chissà com’è cresciuta e come sarà diventata, non so se più bella o più brutta, certamente diversa. So che non lascia stare in pace la letteratura e che ha tradotto persino dei romanzi. Me la figuravo già maritata, sposa felice, madre, e invece a che gioco giochiamo? È probabile che la mia fortuna mi conduca un giorno o l’altro a Milano. In tal caso verrò a trovarla e spero di non sembrarle un fantasma. Il tempo mi ha abbastanza risparmiato, come lei può facilmente immaginare. Io non sono un dilapidatore del mio tempo.
E la signorina Bice? E sua madre? Io non ho mai dimenticato San Remo e il fatto che non ci sono più tornato è una prova del mio ricordo. Ormai son diventato veneziano, come vede. Tuttavia non creda ch’io mi diverta a Venezia, anzi mi ci annoio profondamente. Due inverni qui, si figuri un po’! Temo che, una volta presa la decisione di andarmene, non ci tornerò mai più.
In questa tela di ragno che è la sua cara città io ho succhiato gli ultimi residui del mio poco brillante passato letterario. In termini più poveri, ho cercato di dar forma definitiva a due volumi, uno lirico e l’altro critico, che vedranno la luce entro quest’anno e che mi farò un dovere di mandarle a suo tempo. Lei vedrà allora che non è il caso di disperare di nulla. Come io non dispero che un giorno o l’altro lei mi mandi una partecipazione nuziale (non dimentichiamo il problema demografico), così lei non deve perdere ogni speranza che un giorno o l’altro io mi sposi colla Gloria, malgrado la mia persistente riluttanza e la malignità dei tempi. Come uomo sono più vecchio di matusalemme, “j’ai plus de souvenirs que sì j’avais mille ans!”, ma come scrittore sono ancora giovane, ho soltanto bisogno d’un sussidio governativo, che spero di procurarmi.
Mi pare di averle detto parecchie cose, senz’averne l’aria.
Ho visto che Achille è sulla buona strada e che s’avvia a far quattrini e a diventare quel che si dice un brillante professionista. Spero si ricorderà di me quando sarà ricco. Io non ho altra ricchezza che la polizza d’assicurazione giornalistica. Nel caso tiri le cuoia questa passerebbe ai miei eredi. È una bella soddisfazione aver qualcosa da lasciare ai propri discendenti, ma bisognerebbe averli. Così la vita passa come uno scherzo.
A rivederla signorina Mary. Accetti i miei più cari saluti che la prego di estendere a tutta la famiglia e mi creda suo eccetera eccetera
Vincenzo Cardarelli
L’indirizzo di cui parlo in questa lettera era sbagliato. Tanto è vero che la lettera stessa, spedita alcuni giorni fa, mi è stata respinta dal postino.
Spero di essere più fortunato questa volta.
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