Si potevano fare tante cose, ieri pomeriggio, sabato, Ferruccio Maruffi, per esempio, è rimasto a Torino, nel suo letto all'ospedale, ad aspettare la riduzione chirurgica della frattura al femore...
Chi come lui non è venuto con noi a Vinchio, magari per motivi meno “cogenti”, si è perso lo spettacolo dell'addensarsi dei nuvoloni sul bricco dei cinquantanni, e il vento incontenibile che ha spazzato, prima della pioggia, il terrazzo della grande villa bianca di severo, della moglie di severo, del figlio di severo, della moglie del figlio di severo, dei nipotini di severo... generosità contadina di vino e friciulen offerti col sorriso…
E i lampi e i tuoni delle grandi occasioni, la pioggia per una volta finalmente generosa sulle vigne e sui frutteti assetati... e la voce di Luciano Nattino che legge le parole di Davide Lajolo che a cinquantanni, su quel bricco della sua infanzia, si è guardato i palmi delle mani accostati a specchio e ha tracciato il bilancio della sua vita...
E l'amore di Laurana per il babbo e per quella terra, raccontata dai racconti delle conte, quelle che qualcuno chiama oggi leggende metropolitane e che nessuno ha più tempo di ascoltare, insieme ai racconti veri e reali di due deportati veri e reali, troppo stanchi per raccontare ancora per molto i loro ricordi veri e reali...
E lo scenario dei 37 paesi che circondano quel terrazzo a poco a poco si disvela, l'orizzonte ritorna a farsi lontano, fino al mare, e noi ci spostiamo a casa di Ulisse, tra i suoi libri, i suoi ricordi, per scoprire che a Vinchio vivono le palme, sfidando l'inverno piemontese.
E gli agnolotti serviti sotto il riparo improvvisato a Noche, ottimi, e come sempre ottimo il vino, e il sorriso timido e discreto del sindaco.
Finalmente arriva un po' di gente, per ascoltare le note della musica jazz scontrarsi con il trillo dei grilli, nipoti dei nipoti dei grilli che hanno visto lì, stranieri come le palme, i saraceni.
Si potevano fare molte cose ieri pomeriggio, sabato, in molti lo hanno fatto.
C’era anche Angelina su quel terrazzo, a Vinchio, quel giorno, ad ascoltare Carlo Laiolo e Natalino Pia, Tarzan e il Biondino: ascoltava seduta sulla panca addossata al muro, le esili spalle strette nel leggero golfino e i vivaci occhi scuri lucidi. Lucidi di ricordi, lucidi di mancanze sempre più pesanti. Pensava alla sua amica Margherita, la mia mamma, che se ne era andata in gennaio, ma soprattutto a Vittorio, che come regalo per i diciottanni ha trovato un forno crematorio. L’ho abbracciata, le ho chiesto di raccontarmi qualcosa di lui, ha sorriso: «eravamo compagni di scuola, di giochi, di marachelle… era un ragazzo bellissimo, biondo con gli occhi verdi, vivace, sempre allegro, incontenibile, bravissimo nel passatempo più caro ai giovani di paese, a quel tempo: imitare i rari artisti di strada che salivano fin quassù o i più comuni portatori di difetti fisici. Zoppicava, tartagliava, camminava a tentoni, ma la sua vera passione erano le motociclette, certamente più immaginate che viste e toccate...
E un giorno aveva avuto la sua moto: era andato sulla costa della vigna di “montedelmare”, si era preso una lunga canna, l’aveva pelata, ne aveva sfrangiata un’estremità per una trentina di centimetri, e a cavallo di quella canna, strusciando sul selciato la parte sfrangiata, scorrazzava per il paese, imitando a squarciagola accelerate, frenate e curve a gomito, sollevando un polverone tale da scatenare l’ira del macellaio, che usciva dal negozio per minacciarlo col suo lungo coltello da lavoro»…
...già, l’incontenibile Toju, al quale non sarà parsa vera l’occasione di unirsi ai “grandi” per combattere i tedeschi, e che forse era il meno spaventato quel giorno, quando con enorme strepito i fascisti erano scesi a prenderli nel loro rifugio per portali via… un rastrellamento vero, di cui ho letto il terrore nei racconti della mamma, nel suo ricordo del padre, Camillo, sopravvissuto solo pochi mesi a quello spavento e a quel dolore…
Ben altro che l’ira divertita del macellaio del paese aspettava Vittorio alla fine di quel viaggio, là lo aspettavano umiliazioni, lavoro, freddo e fame, tanta fame, poi l’ultimo compleanno della sua giovanissima vita, e un orribile forno in cui sarebbe diventato vento, nel mattatoio degli uomini: ora io, quando ripenso alle coccole ricevute da nonna Majulen, da zia Tina, da zio Giuan scampato a Bolzano-Gries, da zio Bagino scampato a Flossembürg, da zio Piero graziato da Mussolini in persona, da zia Albertina, sento che mi mancano le sue, di coccole, quelle dello zio giocherellone, che certamente avrebbe portato la sua nipotina, bionda come lui, in giro per le colline in sella ad una moto vera.
E capisco, un po’ capisco, il senso di vuoto incolmabile che devono sentire Carlenrico, Nina, Dario, Ionne, Peppino, Marcella, Sergio e tutti coloro per i quali le coccole mancanti sono quelle del loro papà.
Primarosa Pia
Vinchio d’Asti, 2006