L’esposizione “Klimt. Alle origini di un mito”, realizzata in collaborazione con il Museo Belvedere di Vienna (Österreichische Galleria Belvedere), promossa dal comune di Milano a Palazzo Reale, fino al 13 luglio 2014, a cura di Alfred Weidinger, affermato studioso di Klimt e vice direttore del Belvedere e della studiosa klimtiana Eva di Stefano.
La riproduzione dell’originale del Fregio di Beethoven – esposto nel 1902 a Vienna all’interno del Palazzo della Secessione costruito nel 1897 – occupa un’intera sala in mostra in modo da immergere i visitatori nell’opera d’arte totale, massima aspirazione degli artisti della Secessione Viennese, sulle note della Nona sinfonia di Beethoven.
Particolare attenzione è dedicata all’opera giovanile di Klimt, alla sua formazione presso la Kunstgewerbeschule viennese e ai suoi inizi come decoratore dei monumentali edifici di rappresentanza lungo il Ring, sulla scia di Hans Makart, indispensabili presupposti della sua evoluzione in direzione della modernità perché pochi sanno che la Künstler-Companie, la Compagnia degli Artisti costituita nel 1881 da Gustav Klimt, da Franz Matsch e da Ernest Klimt, fratello minore di Gustav, fu attiva per quasi dodici anni, distinguendosi soprattutto nella decorazione pittorica di edifici pubblici, specialmente teatri. A tali incarichi si dovette, in fondo, anche il successo di questa società di pittori, in particolare di Gustav Klimt, sulla scena viennese.
La mostra si apre con il contesto famigliare: accanto a opere dei fratelli Ernest e Georg, sono esposti anche i ritratti giovanili fatti da Gustav e membri della sua famiglia, nonché fotografie originali.
Nei disegni come nei dipinti nelle sue equivoche composizioni simboliche, Klimt vuole mostrarci la duplicità dell’essere umano. Metterci di fronte, come in un interminabile gioco di specchi da una parte ai nostri desideri che gridano alla felicità, e dall’altra alla costante presenza minacciosa della morte, della nuda realtà, della misera condizione di impotenza e di silenzio che ci avvolge.
Attraverso le figure umane, le allegorie, i paesaggi, Klint indaga sui mutamenti del suo tempo e contemporaneamente sonda i misteri dell’inconscio. Attraverso l’immagine del quadro, la rappresentazione della bellezza e della femme fatale in particolare, dell’enigma che essa impersona, tenta di cogliere il senso di solitudine e insieme di libertà che sprigiona da quella donna nuova che appare al volgere del secolo, che sta mutando e imparando a conoscere i propri diritti così come le proprie reali concrete e sfaccettate possibilità di espressione.
Klimt posa, soprattutto, uno sguardo di uomo in crisi, spaventato e affascinato allo stesso tempo, su questi cambiamenti. Artur Schnitzler, Sigmud Freud (L’interpretazione dei sogni è del 1900), Friedrich Nietzsche, ognuno a modo suo intendono vagliare e scrivere intorno ai principi dell’esistenza e della morale, della psicologia e della storia, della vita e della cultura di un secolo che sta avviandosi, nonostante le resistenze della borghesia più puritana e conservatrice, verso orizzonti avveniristici e ancora insondabili, al di là del bene e del male come sono stati concepiti.
Due sale sono dedicate al ritratto e al Paesaggio, generi prediletti da Klimt dalla fondazione della Secessione. Tre importanti ritratti femminili – Signora davanti al caminetto e i due Ritratto femminile – eseguiti da Gustav Klimt tra il 1894 e il 1898, approfondiscono il primo tema, illustrando, al tempo stesso, il particolare rapporto dell’artista col genere femminile. In esposizione anche alcune lettere d’amore scritte a Emilie Flöge, scoperte in tempi recenti, che gettano luce sull’intimità della sua vita amorosa. Ed è in mezzo a queste spaccature individuali e collettive, a questi sconvolgimenti di equilibri, a queste tensioni, fermenti che Klimt anche attraverso la Secessione prende posizione. Pensa e parla dipingendo.
E tramite la pittura esterna l’irrequietezza e l’inquietudine, l’ambiguità che condivide con gli altri intellettuali, i filosofi e i “dogmatici” del suo tempo che tramuta diversamente da loro, ma con lo stesso sentimento di stupore e con la medesima ansia di scoperta e di analisi, in immagini dorate e chiare, estatiche e interrogative, seducenti e tristi. Metafore viennesi del suo tempo.
Non a caso è sempre lei ad affascinarlo. La sua pittura dorata, secessionista è totale di cui egli è uno dei principali responsabili e protagonisti si muove sì alla ricerca del bello, nella nostalgia e rivalutazione del passato, del mosaico bizantino, ma non solo.
Ha l’esigenza e la presunzione di andare oltre. L’attimo fuggente del prezioso viene superato dalla necessità di indagare nel profondo. Il gioco effimero delle apparenze viene superato ed esaltato dall’analisi del concetto stesso di bellezza, così intimamente legato all’erotismo, alla donna, e al ruolo che ai suoi occhi di uomo di artista essa sta assumendo. Donna verità dell’inconscio dell’uomo. In tutta la sua arte, in quegli intrecci di volti, figure e arabeschi che formano e tessono i suoi quadri, secessionisti e no, in quei corpi di donna abbandonati nella pienezza del desiderio, nelle sue Giuditte e Salomè, negli amori e baci che racconta, sempre si specchia la tentazione di dare volto al piacere del possesso come alla paura e all’orrore dell’abbandono.
Nella sala dei paesaggi, oltre a due importanti dipinti di Klimt – Dopo la pioggia e Mucche nella stalla – scorre una panoramica sul paesaggismo austriaco del tempo, delle prime tendenze impressionistiche di fine Ottocento ai dipinti secessionisti di Carl Moll e di Koloman Moser.
Altri dipinti, Fuochi fatui e La famiglia, illustrano la pittura simbolista di Klimt, sezione che conclude la mostra.
Maria Paola Forlani