Un pugno alla pancia e un pugno al cuore il lavoro presentato ieri sera a Milano, in Monologhi slabbrati, scritti dal poeta Stefano Raimondi, interpretati dalla voce e dal corpo dell’attrice Marta Comerio, presso la sede della neo associazione culturale L@boratorio “Per Aspera ad Astra”, in via Felice Bisleri, 11 a Milano.
Doverose lacrime. Visi solcati da lacrime interne od esteriorizzate per chi non riusciva proprio ad inghiottirsele dentro, all’ascolto della storia delle molte donne vittime di violenza: la signora anziana che una sera si recava a buttare la pattumiera e veniva abusata, la ragazzina straniera nata donna per essere venduta, la bambina violentata a 2 anni eternamente ferma a quell’età, le storie coniugali dentro le mura, tutte esistenze dove l’amore è una continua veglia di paura...
L’ambientazione è stata fatta a tutti gli effetti in una casa: una scrivania, un tavolo di cucina con la sua grande tovaglia bianca dove ognuno di noi ha la sua storia scritta, un bicchiere di acqua ed uno di vino rosso, del pane sulla tavola, la libreria mezza piena e mezza da riempire e le vere protagoniste: quelle storie di donne. Storie dattiloscritte, o forse scritte al computer, o forse scritte a penna o con il lapis, o forse scritte e riscritte nella carta trasparente della propria mente, che vengono lette una dopo l’altra, mischiandosi, mantenendo la loro diversità e il loro essere simili, storie che l’attrice Marta Comerio si è portata addosso, nel suo vestito lungo e nero, con sopra il suo maglione lungo e grigio, con quei colori bui dell’anima... che ha dimenticato il rosso e il bianco... se non lasciandoli al caso di un calice di vino e di una tovaglia usata...
Il lavoro s’apriva con una porta d’ingresso da cui entrava l’attrice, una porta lasciata socchiusa dall’inizio alla fine della storia, a significare che si può uscire da certe situazioni... e che si può anche entrare...
L’attrice si rivolgeva a noi del pubblico, raccogliendo attenzione e creando un silenzio ancor più silenzioso, uno ad una ci ha prese e presi – nel pubblico donne ed uomini, con uno sguardo diretto, mirato ad uno ad uno di noi, in un silenzio di rispetto, di serietà, di quel silenzio che una donna in certi ambienti conosce, e crea per evitare catastrofi, per evitare che l’uomo scoppi per qualcosa di detto e di fatto, per mantenere un assurdo controllo della situazione, temendo un rumore che significa lo scoppio di una guerra.
Marta (vincitrice del premio come miglior attrice al Radiofestival 2001, 2005, 2008 e diplomata alla scuola di teatro diretta da Giorgio Strehler) con i suoi occhi azzurri puliti e quel taglio laterale verso il basso, riuscirà nella serata a trasmettere quell’angoscia, quel dolore e quella disperazione che accomuna tutte queste donne, lei con la sua voce a delle volte rauca, altre ruvida e altre liscia, altre sottovoce altre urlata, altre lirica altre isterica, ci ha rapiti insieme con lei in quella casa, ci ha catturati in quella prigione di mura domestiche e immobilizzati fino alla fine, dove avvertivamo lo stesso terrore della donna, la stessa incapacità di lasciare un amore malato, la stessa lucida pazzia dell’aggressore, e lo stesso bisogno di urlare...
L’idea di questi scritti sulla violenza di genere è nata al poeta Raimondi dopo una richiesta da parte di alcuni poeti di Bologna per scrivere sul tema della violenza, al fine di raccogliere fondi per le associazione dei pentiti uomini maltrattanti, richiesta inizialmente non soddisfatta perché tale tema lo sentiva lontano dalla sua vita, e diciamoci anche fortunatamente.
Ma un giorno, racconta lo stesso poeta, in una situazione di estrema felicità stando nella natura presso la villa Carlotta di Como dove si trovava per il ritiro di un premio, apprendeva di un nuovo fatto di cronaca di femminicidio, sentendosi in quel momento direttamente in ascolto sceglieva di fare la voce a queste donne vittime di soprusi, perché citando il poeta Porta ‘essere poeti significa essere in ascolto’. Ha quindi iniziato a scrivere i primi monologhi, sottoponendoli ad alcune conoscenti per capire la loro reazione e per sentire il loro parere, da subito suscitando sensibilizzazione e comprensione da parte delle stesse, e raccogliendo in cambio altre storie e altre confessioni, altre lacrime.
L’uso della parola di questo poeta (Autore di Invernale e Il mare dietro l’autostrada, ed. LietoColle; Interni con finestre, ed. La vita Felice, 2009) regala mantelli di rispetto ai corpi irrispettati, punge con la parola situazioni evitate da chi non le vuole vedere, spinge alla lettura ignari lettori, usa un inchiostro che pennella vite slabbrate nel corpo e nell’anima. Ho trovato strano che un uomo abbia potuto, e sia riuscito, ad accarezzare queste storie femminili, capendo così che un poeta non appartiene ad un genere sessuale, ma appartiene all’umanità, che trascende la diversità come discriminante, ma che la conosce come completezza del genere umano.
Lavoro, questo di Monologhi slabbrati, dal titolo decisamente forte e amaro, che merita di essere conosciuto. Anche creato in un supporto che può esser quello di un Lavoro che dobbiamo portare nelle nostre case, nei nostri teatri, nei corsi di formazione sulla violenza di genere.
Lavoro che deve farci aprire le finestre... e scappare verso la libertà!
Barbarah Guglielmana