Non si conoscono ancora le liste dei candidati, sia dei soggetti già presenti, che di quelli nuovi sulla scena europea, come Altra Europa per Tsipras. Non si sa neppure se l’entrata del PD nel PSE avrà come risultato la presentazione di una lista comune ed unitaria dei partiti italiani affiliati al PSE, come richiederebbero una raccomandazione della Commissione Europea e una risoluzione del Parlamento Europeo del 2013. Recepire quella raccomandazione/risoluzione significava mettere mano alla legge n. 18/1979, come modificata dalla legge n. 10/2009, per adeguarla alla Costituzione, nonché al Trattato di Lisbona e alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE entrati in vigore il 1° dicembre 2009. Si chiedeva troppo ad un Parlamento politicamente delegittimato dalla sentenza n. 1/2014 della Corte Costituzionale e troppo impegnato a metterla da parte con l’Italicum. Un Parlamento talmente distratto da non essersi accorto che nella legge elettorale europea non ci sono norme sul riequilibrio della rappresentanza di genere, in violazione dell’art. 51 Cost. e dell’art. 23 Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, e da dimenticarsi di modificare le norme sulla trasmigrazione dei seggi da una circoscrizione ad altra, censurata dal Consiglio di Stato con sentenza passata in giudicato (caso Gargani/Collino). Un Parlamento tuttavia attento a conservare i privilegi delle liste collegate a gruppi già presenti nel Parlamento nazionale e/o europeo e delle minoranze linguistiche francese della Val d’Aosta, tedesca della Provincia di Bolzano e slovena del Friuli V.G., dimenticandosi di altre riconosciute con la legge n. 482/1999 e altrettanto consistenti, se non di più, come la sarda e la friulana.
In questo quadro generale, che non lascia ben presagire sulla regolarità delle prossime elezioni, la sinistra si presenta divisa: un fatto normale e forse inevitabile come constatazione di una differenza su condotte politiche nei singoli paesi nazionali. Non è questo che preoccupa, ma la direzione di marcia di contrapposizione, come se il nemico principale fosse per gli uni la socialdemocrazia e per gli altri l’estremismo di sinistra. In realtà né il PSE, né la Sinistra Unita Europea sono blocchi omogenei; all’interno di quest’ultima coabitano partiti nostalgici del comunismo sovietico ed anti europei con Syriza, critica sulle politiche economiche europee, ma contraria a sciogliere la UE e a rinunciare all’Euro. Nel PSE la critica crescente all’austerità e alla riduzione della protezione sociale si accompagna a rigorosi custodi dell’equilibrio di bilancio, come i laburisti olandesi e i socialdemocratici finlandesi e le critiche dei socialdemocratici tedeschi hanno un forte limite nell’accordo di Grande Coalizione a guida Merkel. Se non cambiano i rapporti di forza complessivi tra destra e sinistra, i vincitori saranno ancora una volta le lobby finanziar-bancarie, che stanno preparando una crisi come quella del 2007-2008 dalla quale non siamo ancora usciti. Per essere precisi i disoccupati e i precari sono cresciuti, i ceti popolari e la classe media si sono impoveriti: solo l’1% dei super-ricchi è ancora più ricco e festeggia i favolosi guadagni in Borsa, provocati da bolle speculative e titoli tossici, che hanno assorbito la liquidità creata dalla FED senza una significativa ricaduta nell’economia reale, nella ricerca/innovazione, nella prevenzione dei disastri ambientali e nella riduzione degli squilibri planetari, che producono guerre e migrazioni di massa.
Una sinistra che accetta la sfida deve contestare i meccanismi economici e finanziari che subordinano la politica e i diritti al guadagno speculativo, tanto non pagano per i loro errori, come questa crisi ha reso palese. I costi della crisi sono scaricati sulle spalle delle prime principali vittime: pensionati, lavoratori, donne e giovani. A milioni hanno perso il lavoro o hanno visto bruciati i risparmi di una vita e la speranza in un futuro migliore. Senza una contestazione radicale dell’ordinamento economico e sociale esistente non si esce dalla crisi. Ora si vede se c’è una risposta socialista concreta e praticabile, che salvaguardi le condizioni de vita della maggioranza della popolazione difendendo ed estendendo la democrazia sia negli Stati nazionali che nelle istituzioni europee. Ovvero è una parola nostalgica rivolta al passato. La contraddizione è accentuata se la scelta alla fine sarà per uno Schulz accaparrato dal PD, che nel suo complesso non è un partito di sinistra (il suo leader ha detto con chiarezza che la distinzione destra/sinistra non ha più senso) e uno Tsipras, espressione di una nicchia minoritaria della sinistra sulle orme della Rivoluzione Civile e della Sinistra Arcobaleno e non di un nuovo civismo europeo, capace di ripetere gli exploit dei referendum sull’acqua. Se la dialettica è questa, né SEL né i socialisti di sinistra hanno un ruolo attivo e positivo da giocare, ma neppure i federalisti europei, cioè le uniche forze che avevano la possibilità di costruire un clima unitario a sinistra con proposte istituzionali e di politiche economiche alternative alla destra e ai populismi anti-europei, cui si vuol delegare la difesa egoista e nazionalista dei ceti popolari più colpiti dalla crisi.
Felice Besostri
Presidente di Rete Socialista-Socialismo Europeo
(per 'l Gazetin, marzo 2014)