A mia madre
Conservo nitido il ricordo di mia madre che discute afflitta nei corridoi di Radio Ciudad del Mar a Cienfuegos, il suo affanno era dovuto al fatto che le permettessero di NON trasmettere quel terribile comunicato stampa che, senza alcun fondamento, descriveva questa epica e drammatica sequenza: tutti i cubani che si trovavano a Grenada durante i fatti del 1983 erano stati avvolti dalla bandiera cubana a immolarsi per la patria.
Quanti cubani c’entrano in una bandiera, quanto grande doveva essere questa bandiera e chi aveva visto e permesso che ciò avvenisse senza fare nulla, senza allertare nessuno, ma con il tempo di telescrivere intanto un testo e inviarlo all’Avana, nella costruzione drammaturgica stilata per informare il popolo era realmente credibile che tutte quelle persone fossero morte in quel modo degno di un’opera? Ricordiamo che si trattava di 784 cubani impegnati in un contingente operaio (insieme a un gruppo di militari) a costruire il nuovo aeroporto, quando gli americani avevano annunciato la presa dell’aeroporto di Saint Georges nell’ambito dell’Operazione Urgent Fury. Questo era il contesto creatosi a Grenada alla destituzione di Maurice Bishop il 12 ottobre del 1983 e il giorno 26 di quello stesso mese la 82° Divisione Aviotrasportata degli Stati Uniti occupava l’isola.
Mia madre continuava a rifiutarsi di trasmettere qualcosa che nessuna agenzia di stampa aveva firmato. Il comunicato semplicemente “veniva dall’alto” e lei aveva l’obbligo di trasmetterlo così com’era, punto. Invece no, non era un comportamento professionale e lei pensava a tutti quei nomi e cognomi sulla lista, a ciò che avrebbero provato le loro famiglie a Cuba al sentire della presunta immolazione, avrebbero pianto una morte che, forse, non era avvenuta.
Mia madre non volle cedere e venne allontanata dal suo posto di lavoro. Mesi dopo vedemmo rientrare molti di quelli che erano apparsi sulla lista, in particolare non riesco a dimenticare l’immagine del colonnello Tortoló al momento del suo ingresso “trionfale”. La cifra reale della resistenza cubana a Granada fu la seguente: 24 cubani morti e 59 feriti. Ma tutto questo si seppe in seguito e la notizia “apocrifa” venne trasmessa.
A partire dal quel momento nell’ambiente divennero celebri gli stigmi “ideologici” di mia madre, una giornalista di provincia che non poté più tornare nel mondo dell’informazione, nonostante le fosse permesso di continuare a guidare i programmi musicali mentre cercava lavoro e casa all’Avana.
Quando ebbe inizio quest’ultima fase di acutizzazione del processo venezuelano io mi trovavo nella città di Barranquilla. Da lì, a seconda delle emittenti cui accedevo, mi fu possibile conoscere punti di vista diversi su questa crisi. Al mio arrivo a Cuba ne ebbi uno solo, quello secondo cui (diversamente) i “fascisti, anti-Chavez e oligarchi” volevano cambiare le cose in Venezuela. Senza alcuna sfumatura possibile. Scoprii che la CNN aveva perso e riacquistato l’autorizzazione per trasmettere dal Venezuela i fatti in tempo reale.
All’Avana, parlando con alcuni colleghi di mia madre, compagni giornalisti della vecchia guardia alcuni già in pensione, altri no, compresi che loro non avevano dubbi sul fatto che ciò che stava accadendo fosse un tiro mancino a Maduro, alla sinistra venezuelana, al popolo bolivariano, e mi fu chiaro che nemmeno per sogno avrebbero preso in considerazione un’eventualità opposta o con sfumature differenti rispetto alla storia che qui ci viene ufficialmente annunciata da TeleSUR o nei canali della Televisione Cubana.
In Venezuela tra i manifestanti esistono diverse versioni della questione globale, punti molto complessi che danneggiano un paese oggi frammentato da questo duro scontro; ma a Cuba, ora, esiste una sola interpretazione: quella ufficiale.
Mi chiedo se dopo 50 anni gli impiegati della stampa cubana siano realmente convinti di non possedere altro mezzo di informazione, loro sono stati collocati in questa zona di comfort senza comfort e da lì non c’è chi li smuova. Perché cercare altrove se si ritiene di avere sempre la notizia?
Mesi senza stipendio, allontanamento dal posto di lavoro, macchie sul curriculum lavorativo e nessuna possibilità di trasferimento a un luogo più confortevole è ciò che ci si deve aspettare se, lavorando in un mezzo di diffusione di massa nazionale, ci si azzarda ad andare contro la storia ufficiale.
Nessuno a questo mondo ha in mano la verità, questo è certo, ogni rete, canale, stazione radiofonica o testata giornalistica risponde agli interessi di un partito, di uno sponsor, di un detentore; ma tutti a questo mondo dobbiamo aspirare alla possibilità di pensare autonomamente percorrendo la verità da un lato all’altro, anche per difendere una prospettiva che può inizialmente apparire confusa, contraria alle nostre convinzioni o alla nostra formazione.
La realtà non dipende da noi, si scopre da sé a partire da referenti storici indipendenti e insperati.
Quale canale non ci manipola? Quale servizio di informazione non risponde a interessi privati che influiscono sul rating e sulle sovvenzioni? Il problema è che nei nostri canali non c’è spazio per la pluralità di criteri. Un giornalista che a Cuba non si trovi d’accordo con l’approccio alle notizie non ha dove andare per poter sostenere il contrario.
Un paese in cui non esistono posizioni diverse, informazioni diverse, punti democratici divergenti riguardo agli avvenimenti internazionali, e soprattutto riguardo ai propri stessi avvenimenti, riguardo le proprie idee non può disporre di una stampa sana, feconda, verosimile.
Possiamo o dobbiamo, siamo obbligati a credere a una sola versione della storia?
Il resto del mondo crede alla televisione cubana? Perché molti cubani hanno smesso l’abitudine di sedersi a leggere o guardare le notizie in famiglia? Come si fa a spiegare ai figli o ai nipoti la differenza che c’è tra realtà e notizia?
Sarà questa una delle tante ragioni che spingono molti giovani oggi a scendere in strada per reclamare un protagonismo che va oltre la storia ufficiale venezuelana?
Se mi sbaglio deve essere perché qui non dispongo di tutte le informazioni, e questo è un buon esempio di ciò che ci accade in questo lato del mondo.
A marzo ricorreranno i 10 anni della morte di mia madre, il tempo scorre velocemente, ma la stampa cubana è ancora avvolta in quella bandiera immaginaria di immolazione perpetua.
Wendy Guerra
(Habáname, 23 febbraio 2014)
Traduzione di Silvia Bertoli