Una mostra a tutto tondo, con lo spazio e con noi terrestri dentro o fuori, a seconda delle prospettive, a seconda di come la vedi anche tu spettatore, e non solo a come l’ha concepita l’autore stesso, Martin Gronau, quello che la sua prima mostra fotografica presenta in VERSCHRÄNKTE BILDER, esposta dal 9 febbraio all’8 marzo 2014 presso L’Osteria Letteraria “Sottovento” in Via Siro Comi 8 a Pavia.
Giovane trentenne della Germania dell’est, si è dedicato fino ad ieri alla musica, suonando il basso in gruppi musicali, fondati nei suoi vari viaggi di lavoro nel mondo, come ricercatore in un programma di dottorato internazionale delle università di Francoforte, Innsbruck, Pavia, Bologna e Trento, e che oggi si presenta con un’altra sua passione: la fotografia.
Mi racconta che l’idea di questa mostra fotografica è nata recentemente, in quello spazio di fermenti che vive sempre al “Sottovento”, stava progettando un lavoro sulle sue fotografie da riscrivere in immagini pittoriche, e che il talent scout del “Sottovento”, LaPia, lo invitava a fare anche una presentazione al pubblico dei suoi fotogrammi, nasceva così ‘VERSCHRÄNKTE BILDER’. «L’aggettivo tedesco Verschränkt è una parola un po' difficile da tradurre», spiega l’artista, «significa che due cose sono in una qualche maniera incrociate, o sovrapposte, o messe insieme; è stata così un modo per inscrivere la tecnica della doppia esposizione nel titolo della mostra».
Le foto presentate sulle pareti del locale raccolgono scatti fatti con la vecchia macchina analogica del Nonno con cui ha iniziato a fotografare ed altre con la macchina digitale, macchina a cui Martin Gronau confessa invece che si è avvicinato tardi e con diffidenza, questo per il terrore di perdere quella magia che è il fotografare con molta attenzione un soggetto, senza quello spreco isterico delle macchine moderne, ma con l’attenzione dell’unica volta, della ricerca della espressione più significativa, che si può anche perdere tra i secondi e i minuti, ma che poi può donare un eterno per sempre. E questo blocco è stato risolto usando la macchina digitale senza usare programmi automatici, con l’uso di obbiettivi fissi, con l’uso del diaframma e del calcolo del tempo di posa a mano, e usando filtri infrarosso ed a densità neutra per le sfumature.
Gli scatti che Gronau ci dona sono in parte nella forma diciamo per me classica e altri invece con un’esposizione più sperimentale, che come ha avuto modo di spiegare a un’osservatrice come me (con la bocca spalancata per il gioco dell’immagine appunto doppia sul pannello dell’opera), consistono in doppi fuochi: «La tecnica che ho utilizzato per la maggior parte delle foto è quella della doppia esposizione, cioè queste foto sono il risultato di due immagini sovrapposte. Questa tecnica mi piace molto, perché in essa si può comprimere il mondo, le direzioni diverse, e gli aspetti diversi delle città mettendoli in un’unica foto. In particolare non le ho messe assieme con programmi di grafica, ma direttamente nella macchina durante l’atto fotografico».
Sono tutte immagini di grande effetto, la mia preferita da subito è stata quella fatta a Berlino, al monumento delle vittime dell’Olocausto dove le persone esposte sulle lapidi commemorative sembrano essere anime risorte, che continuano di vita propria, e che se ben le cerchi le vedi proseguire nella loro vita, tra camminate chiacchiere e letture. Un doppia esposizione emotivamente forte. Molto forte.
Le foto delle città viste dall’alto e in tutte le direzioni su Firenze, Roma, Dresden, Helsinki, Monaco, Tallinn, Innsbruck, Genova e Reykjavík, in questa magica doppia fanno provare le vertigini di chi vorrebbe volarsele dall’alto, di chi vorrebbe abbracciarsele in tutta la loro interezza, vertigini elettrizzanti. Sono le foto delle città europee, che nella loro diversità si uniscono in un corpo solo a fare l’Europa.
Il Colosseo in doppia esposizione preso in tutta la sua circonferenza, nella tonalità dei grigi e nella luce sembra riportare ancora più indietro nel tempo, più di quello che lo stesso ci potrebbe emozionare dal vivo, ora chiuso per un restauro che gli darà altri anni da vivere.
Le suore di Siena, una volta in nero e un’altra in bianco sembrano quasi divertenti, quasi ballare, quasi non appoggiate a terra, con quella spiritualità che arriverebbe veramente dall’alto, e che dovrebbe allora mettere in un buon bilico anche noi, così cementati al terreno. E poi una pausa non meno forte negli scatti della vallata, del faro sullo sfondo delle montagne innevate.
Ritorno al “Sottovento” più volte in questi giorni, per continuare a viaggiare intorno grazie a queste prospettive di Martin.
Barbarah Guglielmana