Quando alcuni anni fa, il fenomeno immigrazione era, almeno nella nostra cittadina, agli inizi, decidemmo di fare una cosa che per noi era normale: cercare di comunicare, capire e farci capire. Avevamo un mezzo vecchio quanto la civiltà, la parola scritta e lo abbiamo usato, forse in un modo insolito, pubblicando una pagina in lingua araba, un po’ come fanno i radiotelescopi che, fra i rumori dell’universo tentano di individuare un codice di comunicazione comune in grado di farci entrare in contatto con gli alieni. Era anche nostra intenzione continuare su questo solco, aprire uno spazio permanente dedicato alla comunicazione e alla conoscenza. Era una bella idea, ma non fu possibile realizzarla. Il nostro contatto, una mediatrice culturale, ebbe problemi; l’essersi prestata a questo “avvicinamento” la rivelò con troppa evidenza in un contesto nel quale, allora come oggi, si viene accettati purché non si pretenda di avere troppa visibilità: un burka culturale che ti consente di esistere fino a quando gli spazi che ritieni di prenderti siano talmente limitati da renderti quasi invisibile. Rammaricata ritirò la sua collaborazione. La reazione di molti lettori non fu molto dissimile. Proteste per l’eccessiva importanza concessa (...ma di questo passo dove andremo a finire, si chiedevano.) al punto che perdemmo qualche lettore e anche alcuni inserzionisti i quali, con lettera ci comunicarono di non essere in linea “con la politica del giornale”.
Non ci siamo mai pentiti di quella scelta, forse abbiamo capito che era prematura, ma cosa non lo è quando si cerca di rompere con i luoghi comuni. Abbiamo continuato a cercare il dialogo e il contatto, a modo nostro, dando rilievo alle iniziative per l’integrazione nella scuola e nella società, anche nella consapevolezza che questa integrazione spesso non è voluta proprio da chi pensiamo invece la stia cercando: ci furono proteste al giornale da parte di immigrati anche per un titolo “Saranno italiani” che parafrasando il famoso serial tv, voleva esprimere l’augurio più alto ai figli di queste persone che, ineluttabilmente, occuperanno un posto stabile nella nostra società.
Abbiamo corretto il tiro, cercando di non forzare i tempi, ma non abbiamo mai pensato che questo ponte dovesse essere distrutto. Continuiamo a comunicare, anche mettendo “gli ultimi” in copertina, raccontando le loro storie e i loro pensieri. Pensieri che probabilmente porteranno indietro nel tempo i ricordi di tante famiglie di tiranesi che ci leggono dalla Spagna, dall’Argentina, dall’Australia, dalla Svizzera e che approfittiamo per salutare con tanto calore.
Fulvio Schiano
(da Tirano & dintorni, ottobre 2006)