Donne che tacete/ Urlate!/ Uomini che temete/Urlate! (Livia Bazu). Ed è proprio il celeberrimo Urlo di Edvard Munch l'immagine scelta per la copertina della silloge La Giusta Collera, curata da Gianmario Lucini per CFR Edizioni e percorsa da oltre un centinaio di scritti in poesia e prosa, anche in dialetto, che documentano senza mezzi termini la temperie politica, sociale, economica, culturale ed ambientale che stiamo vivendo. È l'urlo provocato dallo stesso smarrimento personale e collettivo del grande pittore norvegese a fine Ottocento, ma è anche e soprattutto la collera dei nostri giorni nei confronti di una politica interna italiana inconcludente e ben attenta a mantenere consolidati privilegi, l'indignazione suscitata dai genocidi di ieri e di oggi (Shoah e conflitto in Afghanistan), lo sdegno per una umanità alienata e anestetizzata con il contributo determinante della televisione o per la sistematica violenza ai danni dell'ambiente e quindi di noi stessi... È da questo quadro che si levano dunque, coscienti e multiformi, le scritture della raccolta: c'è la preziosa testimonianza di Franco Toscani, che fissa la propria attenzione sulla società italiana, dotata di scarso senso dell'altro e attenta al proprio utile al pari dei politici da cui è governata, e sapientemente ci ricorda che Leopardi per primo annotava queste caratteristiche nel suo Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli Italiani. Correva l'anno 1824. In mezzo ci sono l'unificazione di un Paese che conosce ancora troppe barriere per dirsi 'Uno', due guerre mondiali, un boom economico debitore e soggiacente al capitalismo dei 'liberatori' americani, la mercificazione dell'essere umano tenuta a battesimo dalle televisioni commerciali e sancita nel corso degli anni dal progresso incessante e dalla costante perdita d'importanza della scuola e dell'educazione, l'era Berlusconi, l'11 settembre, le catastrofi ambientali... Da qui, un numero cospicuo di scritti analizza – talvolta con rabbia e partecipazione talaltra con ironia e distacco – il progressivo degenerare del nostro Paese, colto da qualsiasi angolazione: Clemente Condello e Sergio Pasquandrea avvertono dolorosamente lo scarto tra un passato (quello del secondo dopoguerra) carico di aspettative e un presente piatto e deludente (...E poi voleva dire avere vent'anni/ Sentirsi il petto pieno di muscoli/ E non riuscire a credere che in così /Poco tempo/Così tanta bellezza potesse morire); Celestino Casalini critica il ruolo della televisione, che sforna di continuo programmi nonsense e volgari (Hanno lavorato a lungo nei palinsesti/ Per anestetizzare le coscienze); c'è chi, sdegnato, non dimentica i giovani di oggi, dal futuro umano e lavorativo quanto mai ipotecato: Hanno sognato il vertice del pane/ E abitano su scorze di fragilità,/ Quando il lavoro balla su palafitte... (Maurizio Soldini); grazie a Francesco Sassetto invece ci caliamo direttamente in un convoglio di pendolari che lavorano come insegnanti precari (Noi siamo [...] i tappabuchi della scuola, quelli/ Che possono aspettare, che non lasciano/ Memoria... [...] A settembre in classe/ A giugno fuori dal portone.../ [...] abbiamo dignità ferita e figli e affitti/ Da pagare...., senza tralasciare i collerici e doverosi strali ai danni di chi nell'ultimo ventennio ha gestito la Cosa pubblica: vedi l'ironico e breve Berlusconeide di Letizia Lanza, tanto quanto il dettagliato j'accuse ai ministri Scajola e Tremonti nell'epistola immaginaria di Primarosa Pia o il caustico Con la bocca piena, critico sulla riforma Gelmini, di Thomas Pistoia. Fino ad arrivare alla rivisitazione – amara e goliardica al tempo stesso – dell'Inno mameliano in Frattaglia d'Italia (...Dura è la lotta rottaglia d'Italia/ Il filo s'è rotto l'Italia s'è scotta....) di Antonino Contiliano, alla non meno incisiva Versicoli della peggiore itaglia di Manuel Cohen (...il look è molto è tutto è un'elezione/ non esco prima dell'epilazione) o al vagheggiare una sana liberazione dal parassitismo della Casta così come fece Ulisse al suo ritorno con gli avidi Proci nel creativo e convincente Ritorno d'Ulisse di Paolo Stefanini.
Altrove, la silloge è innervata invece da contributi che volgono i loro pensieri al filo spinato di Birkenau (Manuel Comazzi) o agli ininterrotti sbarchi di clandestini sulle coste italiane: Mese di marzo, tragedie ed equinozio/ In un mare affollato di esiliati/ Cercatori stanchi di felicità...(Patrizia Villani), o ancora alla subalterna condizione della donna nel mondo e ai nuovi fermenti politici che percorrono il Maghreb: La Libia e L'Egitto hanno la febbre è il titolo di uno scritto di Barbarah Guglielmana.
Fin qui lo sdegno, la collera, a tratti il sarcasmo, dicevamo. È possibile però rintracciare anche qualcosa di fattivo, propositivo, più che un semplice anelito. Non una ricetta, o una speranza. Ma dapprima l'auspicio di Giovanna Giordani (Ah, se potessi con la poesia/ L'orrore del mondo spazzar via/ Tutte le ingiustizie cancellare/ La guerra ed il male far cessare), poi la fiera e necessaria ri-affermazione di r-esistenza nel Manifesto esistenziale di Adele Desideri (...Credo/ Nella veemenza dell'onestà/ Nella verità desiderata, impellente/ Nella vita trafitta dagli ideali/ Nella virtù che crea deserto/ Nella rigorosa critica di ogni ipocrisia..., ci conducono al vibrante invito di Tomaso Kemeny, Verso la Bellezza, oltre gli ostacoli del mondo contemporaneo: ...L'attacco all'Impero del Brutto in nome della Bellezza, se pare impossibile agli Ignavi, si rivela necessario per tutti coloro in cui vive il Demone della Poesia. Un Demone che non ha mai smesso di esercitare il suo fascino. Anche ne La Giusta Collera.
Giuseppe Marco d'Agostino
Autori Vari, La giusta collera
Scritti e poesie del disincanto
Edizioni CFR, 2011, pp. 256, € 18,00