Col nome di Liberty si designa, in Italia, un indirizzo di gusto relativo all’architettura e alle arti figurative e applicate che può essere situato cronologicamente tra l’ultimo decennio dell’ottocento e il primo Novecento, naturalmente con un lungo periodo di gestazione precedente, e con una serie di manifestazioni ritardatarie che giungono fino alla prima guerra mondiale. Si tratta di uno di quei vasti fenomeni di gusto che coinvolgono contemporaneamente tutti i paesi dell’area occidentale; un fenomeno dunque che, al pari di molti altri più famosi come Gotico, il Barocco, il Rococò, attesta la fondamentale unità di una cultura e, in seno ad essa, la presenza di un fitto scambio di iniziative e di idee. Come appunto molti altri movimenti storici precedenti anche il Liberty presenta la caratteristica di essere stato designato con una grande varietà di termini, varietà terminologica che però non inficia l’unità di base dei fatti stilistici cui si rivolge. Se gli italiani ricorrono per lo più al termine di Liberty, per individuare quel periodo, all’estero è un termine quasi sconosciuto, o per lo meno disusato, infatti circolano prevalentemente altre etichette: Art Nouveaau, modern style, stile secessione, Jugendstil. E non è tutto, perché esistono anche definizioni più pittoresche e contingenti, come style metro, style nouiile, yachting style, stile modernista ecc.; sempre in Italia, oltre che Liberty, si parla anche diffusamente di floreale. Quella di Liberty circolante in Italia viene dal nome di una ditta inglese, fondata da Arthur Lasenby Liberty nel 1875, che verso la fine del secolo diffuse prodotti particolarmente conformi al nuovo indirizzo (spille, anelli e altri articoli del genere). «Art Nouveau» fu il titolo che un mercante Bing diede a un negozio dedicato al lancio di mobili, arazzi e altri oggetti dedicati a quello stile d’avanguardia. Ma i francesi parlarono anche diffusamente di un modern style, riconoscendo con ciò che esso aveva un’origine prevalentemente inglese; oppure, considerando che una delle più cospicue realizzazioni in quel senso fu tutta una serie di ingressi, edicole, balaustre eretti dall’architetto Guimard per la metropolitana parigina.
Ma il Liberty trova stretta corrispondenza con un movimento che, nel romanzo, nella poesia, nel teatro, nella musica e in genere in tutta una concezione di vita e di pensiero si disse simbolismo, o anche, meno frequentemente e con termini più ambigui e suscettibili di fraintendimenti, decadentismo o neomisticismo. A un livello profondo di grandi direzioni culturali, si può affermare la convergenza di tutti questi movimenti, e il loro comporsi.
La mostra Liberty. Uno stile per l’Italia moderna, organizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì, a cura di Fernando Mazzocca, Maria Flora Giubilei, Alessandra Tiddia, ai Musei San Domenico di Forlì (fino al 15 giugno) ripercorre in lungo e largo questa diramata e complessa vicenda (catalogo Silvana): da D’Aronco a Basile, dal torinese Pietro Fenoglio così sensibile a Victor Horta e a Héctor Guimard nelle prove più felici, al milanese Giuseppe Sommaruga con palazzo Castiglioni a Milano; da Galileo Chini (con il décor nella cupola alla Biennale di Venezia del 1907) ai ferri battuti di Alessandro Mazzucotelli, alla preziosa mobilia di Carlo Bugatti fino a Gaetano Previati, Giulio Aristide Sartorio così attento a Max Klinger, a De Carolis nel tempo sempre più dannunziano e michelangiolesco.
A questo proposito in mostra una maiolica con teoria di rose bianche, attribuita ad Adolfo de Carolis (1900), apre il confronto con la letteratura.
Risveglia nostalgie preraffaellite quel fitto roseto di un maggio odoroso. Al centro, un verso dalle Rime di Francesco Petrarca: «Così partia le rose e le parole». Amore dona agli amanti in parti eguali le proprie grazie. Un omaggio dichiarato di De Carolis a Petrarca e a D’Annunzio. Negli echeggiamenti poetici dannunziani è proprio quel verso che accende l’ispirazione di Andrea Spinelli, il protagonista de Il Piacere (1889), inebriato dal profumo delle rose di Francesca. In catalogo Marco Antonio Bazzocchi ricorda come sia proprio Gabriele D’Annunzio lo scrittore italiano che con più determinazione si affida alla grafica e all’illustrazione per diffondere le sue opere.
Egli è tra i primi fin dall’esperienza romana di “cronache bizantine”, a intuire l’importanza della nuova collaborazione tra arte e letteratura e a fissare il punto di dialogo nel rinnovamento grafico e nelle applicazioni illustrative.
L’originalità della mostra sta nel mettere a diretto confronto le figure più rappresentative della temperie Liberty con alcuni dei momenti più alti del modernismo europeo: dunque Aubry B. Breadsley, Egon Schiele e Gustav Klimt, Koloman Moser, Carl Moser, e Ver Sacrum, la preziosa rivista della Secessione, che ebbe un più modesto equivalente in Novissimae e in Emporium.
Gli splendidi disegni di D’Aronco e Basile hanno un posto centrale perché è grazie alle loro architetture che trovano posto i pezzi che si producevano.
Ma anche Antonio Sant’Elia è parte di questa compagine con disegni ispirati a Otto Wagner e al più giovane Olbrich. Continua, questa ondata con influssi europei con Carlo Stratta – assai bella la sua Aracne (1895) – Vittorio Conca con Sogni (1900), Mentre Mariano Fortuny Mandrazo rivoluziona la moda con sofisticati abiti e apre la via all’influenza del modernismo catalano che fu un momento felice della Barcellona di quegli anni con un maestro come Antonio Gaudí.
I mobili di Luigi Fontana sono Art Nouveau, come le vetrate e gli affiches di Cambellotti e Dudovich che guardano in tante direzioni tra cui Alfonso M. Mucha.
Nascono in ambiente verista, simbolista e divisionista: Giovanni Segantini, Gaetano Previati e Giuseppe Pelizza da Volpedo, in cui agirà prepotente un influsso preraffaellita per suggerire loro bellezza ed eleganza di linee come “La danza (pastorale) Notturno, il Vento (Fantasia)” (1908) di Previati, proveniente dal Vittoriale degli italiani.
Bisogna ricordare che tutti i maggiori protagonisti della stagione successiva, i futuristi Balla, Boccioni, Romani, Russolo, o una figura diversamente orientata come Felice Casorati, fecero frequente ricorso, nel primo tempo, a elementi chiaramente tratti dal clima delle Secessioni.
Maria Paola Forlani