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Daniele Dell'Agnola, Dopo Babel: Leggere i classici e scrivere per pensare
Franz Kafka
Franz Kafka 
15 Ottobre 2006
 
  Inizia da qui la collaborazione di un giovane professore svizzero a Tellusfolio settore scuola, e siccome è anche un autore che scrive di teatro e di letteratura, confermando che spesso nella scuola sia italiana che Svizzera di lingua italiana sono proprio chi è toccato dalle muse a produrre novità didattiche e un modo diverso di fare scuola, non è escluso che possa affacciarsi anche su Telluserra. Intanto pubblichiamo il suo primo intervento legato ad un evento teatrale svoltosi a Bellinzona in Svizzera. Le lettere scambiate fra chi si avvicina al portale e me, come spesso accade, fanno da prefazione ad un nuovo collaboratore. (Claudio Di Scalzo)

 

 

Gentile Di Scalzo,

mi chiamo Daniele, sono nato nel 1976, insegno italiano in una scuola superiore della Svizzera italiana, scrivo, qualche volta pubblico testi narrativi, teatrali, compongo musiche e spesso cerco di mettere in scena i miei materiali con altri attori e musicisti. Nel 2000 ho ottenuto una laurea in lettere e musicologia, così mi sono sempre mosso tra parole e suoni.

Finora ho pubblicato quattro libri: millepiedi (pièce teatrale, 2001), Tentativi ritmici (trilogia teatrale con partiture musicali, 2003), mondo fico (libro e compact disc, 2005), Rocco Pieno di Cuore e Telemaco (progetto didattico, 2006). Mondo fico è diventato anche un compact disc, in cui cercavo aggrapparmi disperatamente al testo con le note, sperimentando in continuazione i legami tra i due mezzi espressivi.

La musica è contaminata dal jazz. Si tratta di mie composizioni, si solito brevi, che sono in seguito sviluppate improvvisando (piano, fisa, batteria, basso).

Recentemente la rivista MIMOS (Società Svizzera Studi teatrali), ha dato spazio ad giovani drammaturghi svizzeri, dedicando una parte dei contributi alla mia opera.

Attualmente sto lavorando su nuovi progetti:

1) “Melinda se ne infischia”, romanzo-testimonianza di una diciassettenne polemica con il lugubre mondo;

2) Pubblicazione del racconto originale "Rocco Pieno di Cuore" (inedito). Sto cercando un editore interessato a stampare e promuovere questi testi, rivolti ad un pubblico piuttosto giovane. Vi può interessare?

 

Cordiali saluti

 

Daniele Dell'Agnola
via Longhena 2
6710 BIASCA
SVIZZERA
0041.787226188

www.daniteatro.ch

http://daniteatro.wordpress.com

 

 

Gentile Daniele Dell'Agnola... dirigo il portale Tellusfolio (centomila visite al mese) e cioè uno dei portali di letteratura arte giornalismo più importanti oggi sul web, espressione della rivista-annuario TELLUS, e sono interessato a conoscere meglio la sua produzione.

Lei navighi nel portale:abbiamo Oblò svizzero, Telluserra, Lo scaffale di tellus, Viaggi e altri viaggi...veda lei se le interessa collaborare spedendomi file.  Abbiamo già collaborazioni con Gilberto Isella e altri autori svizzeri.

Un caro saluto,

Claudio Di Scalzo


ps. Ovviamente, questa rivista-giornale web, al momento, e anche per i costi altissimi, non può retribuire i collaboratori. Ma in ogni caso offre una grande visibilità e rapporti culturali ecc.

 

 

Gentile Claudio Di Scalzo,

stavo proprio navigando nel nostro portale: è molto interessante e ho trovato qualche documento che utilizzerò con i miei studenti.

Ho visto che in "Oblò svizzero" c'è il lancio di Babel, che si è concluso due settimane fa.

Ho scritto un contributo legato a questo evento letterario: parlo del "Processo" di Kafka, tradotto da Primo Levi. Se crede sia il caso, lo può pubblicare.

La saluto cordialmente,

Daniele

 

 

DOPO BABEL: LEGGERE I CLASSICI E SCRIVERE PER PENSARE

Il processo di Kafka tradotto da Primo Levi

 

 

Grazie a “Babel” (Festival di letteratura e traduzione – Bellinzona 2006), nell’anteprima di giungo 2006, abbiamo avuto il piacere di ascoltare e vedere il premio Nobel Derek Walcott che ha letto, accompagnato dal suo traduttore Matteo Campagnoli e da tre attori nei panni di Odisseo, Polifemo, Penelope, alcune scene tratte da Odissea, una versione teatrale, Crocetti editore, Milano 2006.

Una bellissima serata.

È stata una bella occasione per riprendere un articolo che Italo Calvino pubblicò il 21 ottobre 1981 su La Repubblica, dal titolo Sarà sempre Odissea, che possiamo leggere in Perché leggere i classici, Mondadori, Milano 2006, pp. 14-28 (1ª edizione 1995).

Ed è pure interessante leggere alcune definizioni che Calvino ci lascia a proposito dei classici (pp. 5-13), pubblicate il 28 giugno dello stesso anno su L’Espresso in un contributo dal titolo Italiani, vi esorto ai classici:

 

3. I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.

 

5. D’un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura.

 

13. È un classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.

 

Da queste letture è nato lo stimolo per riprendere un capolavoro della letteratura del Novecento: Il processo di Franz Kafka, nella versione tradotta da Primo Levi.

È un classico da “leggere” – “rileggere”.

Indico tra parentesi le pagine del testo a cui faccio riferimento: Franz Kafka, Il processo, traduzione di Primo Levi, Einaudi, Torino 1995 (prima edizione 1983).

 

 

1. Senza passato e senza futuro

 

Nel Processo, scritto in pochi mesi nel 1914, tutto è predisposto a dovere: c’è il dettaglio di chi batte le mani dopo che Josef K., isolato fra tanti individui, ha inavvertitamente alzato la voce, come se quel gesto facesse parte di un copione. (p.48) In quella domenica misteriosa il signor K., accusato senza saperne il motivo, entra come protagonista sotto i riflettori di un «grande organismo» (come lo chiama Roberto Calasso in K., pubblicato da Adelphi nel 2002), ovvero il tribunale a cui «appartiene tutto». (p. 164) Non si parla di un sistema giudiziario, ma di un’intera società.

Semmai esistano degli eventi passati, Josef K. non sembra averne coscienza, semmai ci sarà un futuro, non se lo chiede. L’incontro con lo zio Karl - che vorrebbe «ben sapere come va a finire» (p. 104) mentre Josef K. è immerso, quasi tranquillo, nel suo ruolo di accusato – dimostra bene l’assenza, nel protagonista, di una preoccupazione per il passato o per il futuro. Malgrado questo, nel marasma altamente espressivo, assurdo delle immagini ridondanti, il Kafka visionario mette in scena il sapore spaventoso di ciò che accadrà vent’anni dopo in Europa, con l’ascesa dei totalitarismi e la perdita della volontà nell’individuo.

Nel romanzo invece, per il protagonista Josef K. esiste un presente da capire e sviscerare, senza causa e senza effetto, il processo, l’accusa. Il processo è grottesco e mostra la mediocrità del popolo, l’immediatezza del populismo, le parti politiche che battono le mani a Josef K. oppure si mostrano serie e impassibili. Sembra il pubblico a teatro; a tratti i personaggi che circondano K. sembrano marionette, come il picchiatore (capitolo cinque), il sostituto (capitolo sei), l’avvocato, l’industriale o, sopra a tutti, il pittore, personaggio simbolo, forse portavoce del «grande organismo», che agisce nel settimo capitolo: un capolavoro. Josef K. trascorre quindi momenti di realtà rappresentata come sul palco. Anche se non volesse far parte del sistema rappresentato, dovrebbe dirlo, farlo dall’interno dello stesso.

 

 

2. Teatrale

 

L’incontro con il pittore che dipinge i giudici, il coretto delle ragazzine, la finestra che è «solo una lastra di vetro murata, non la si può aprire» (p. 169) fanno del Processo una narrazione dal sapore teatrale, con una serie di scenografie (sono sempre piccole stanze) direttamente collegate alle figure che Josef K. incontra. Nel locale dei rifiuti c’è la scena del picchiatore. Deve picchiare due dipendenti. Si conosce il motivo di questa violenza? No. Tu apri la porta del ripostiglio e trovi quella scena. Chiudi la porta, torni nel tuo ufficio, alla fine della giornata riapri la porta del ripostiglio e ritrovi lo stesso picchiatore che colpisce i due dipendenti. Un pena infinita, infernale, dantesca, qui rappresentata (capitolo cinque).

Nel primo episodio, con l’arrivo della commissione d’inchiesta che irrompe nella camera del protagonista, ci troviamo davanti uomini con le battute in gola, inviati dall’alto, inconsapevoli, come se recitassero senza capire le proprie parole, senza capire dove stanno andando. Alla sera stessa K. incontra la signorina Bürstner per spiegarle che gli uomini della commissione d’inchiesta, che lo hanno sorpreso nella mattinata, si sono permessi di entrare proprio nella camera della signorina, benché non fosse presente. Josef K. aspetta la ragazza fino a tardi: è andata a teatro. Quando torna s’intrattiene con lei per spiegarle gli accaduti. E per spiegarsi meglio Josef K. pensa bene di spostare i mobili della ragazza, come stesse preparando una scenografia:

 

Va bene, se il tavolino le è necessario per la sua rappresentazione, lo spinga pure via, – disse la signorina Bürstner […] K. collocò il tavolino al centro della camera e vi si sedette dietro: – È indispensabile che lei si faccia un’idea precisa dei personaggi e delle parti: è molto interessante. Io sarei l’ispettore; là sul baule sono sedute due guardie, davanti alle fotografie ci sono tre giovani in piedi. Non che sia essenziale, ma alla maniglia della finestra è appesa una camicetta bianca. E adesso comincia. Un momento, dimenticavo me stesso. […] K. era entrato così a fondo nella sua parte che gridò solennemente: – Josef K.! (p.32)

 

Josef K. esce da se stesso per interpretare la parte dell’ispettore. Così, la scena che Kafka descrive all’inizio del racconto, viene ripresa con onniscienza dal protagonista, che diviene regista di se stesso. Una situazione psicologica molto tesa, anche perché il lettore aspetta, aspetta forse di capire il motivo per cui K. è processato, così come possiamo aspettare Godot. Gradualmente Josef K. si accorgerà che tutti i personaggi incontrati fanno parte di questo «grande organismo», come una massa di rinoceronti diretti verso il niente.

K. è apparentemente aiutato da un avvocato, che evidentemente non porterà a termine nulla di buono: decide quindi di revocarlo. L’avvocato cerca di convincere K. a non abbandonarlo. Lo fa chiamando a sé due personaggi che “recitano al parte”: il commerciante (signor Block) e Leni (la ragazzina che si prende cura dell’avvocato, ammalato).

 

K. aveva l’impressione di ascoltare un dialogo studiato a memoria, già spesso ripetuto, destinato a ripetersi spesso […] un vecchio commerciante, un uomo dalla lunga barba, implorava da una ragazzina una buona testimonianza! Anche se lo faceva per qualche secondo fine, niente lo poteva giustificare agli occhi del suo prossimo. K. non concepiva come l’avvocato, con quella rappresentazione, avesse potuto pensare di convincerlo. (p. 211)

 

Una truffa, una messinscena di corrotti.

 

 

3. Dialoghi e corruzione

 

A tratti i dialoghi sono palesemente recitati dai personaggi. Josef K. fa parte di questa prigione, desidera farne parte perché vuole capire, non fugge mai, anzi fugge dalla libertà (si veda Fuga dalla libertà di Eric Fromm, dove si spiega anche la fuga dell’uomo dalla libertà, sulla rotta dei totalitarismi). C’è un’ironia gelida e spaventosa, un’angoscia novecentesca che annega e si annida nel ridondante agire degli uomini (consiglio caldamente la visione del film L’uomo senza passato di Aki Kaurismäki, 2002). Kafka ne fa una tragedia, con un capro espiatorio.

Josef K., sacrificatosi davanti alla società, è un individuo solo. La corruzione sta alla base del sistema, il sistema stesso è corruzione.

 

Non si lascerà mai convincere a corrompere chicchessia, a qualunque artifizio essi ricorrano, fra i tanti di cui dispongono (p. 60). […] Lo tormentava il pensiero di non essere riuscito ad impedire la bastonatura, ma non era colpa sua […] K. aveva anche visto benissimo i suoi occhi (quelli del picchiatore) si erano illuminati al vedere la banconota: era chiaro che aveva picchiato sul serio solo allo scopo di alzare un pochino il prezzo della corruzione; e K. non avrebbe fatto economia, gli stava veramente a cuore di mettere in libertà le guardie. (p. 97)

 

Ma l’attualità nei classici è «relegata a rumore di fondo», benché di questo rumore di fondo «non si possa fare a meno» (Calvino…).

 

 

4. Rumori di fondo tra parentesi

 

Con queste osservazioni, chi scrive non vuole certamente mettere platealmente in relazione questo capolavoro della letteratura con quanto avviene nella nostra odierna società, anche se un certo «rumore di fondo» lo si sente. È lo stesso di cui parla Calvino in Perché leggere i classici.

Non c’è alcuna intenzione di banalizzare l’opera di Kafka. Sarebbe tuttavia interessante rileggere un classico come Il processo, anche per interpretare il presente.

 

 

5. Senza confronto dialettico

 

Josef K., posto di fronte al pubblico e navigando nel sistema, combattendolo sotto processo, cerca di vincere dialetticamente. Il problema è che non c’è nessun tipo di confronto dialettico. Lui è sotto processo e basta. Vincere con spessore, abilità, cultura, non conta.

 

Il tribunale è del tutto inaccessibile agli argomenti giustificativi. (p.164)

 

Meglio, attenti a cosa dice il pittore a Josef K.:

 

il tribunale non cambia convinzione mai. Se dipingessi qui su una tela tutti i giudici uno accanto all’altro, e lei davanti alla tela si difendesse, avrebbe più speranza di successo che davanti al tribunale vero. (p. 165)

 

È un gioco di rappresentazione pittorica dentro alla rappresentazione del il grande organismo (il “tribunale vero”), per dire che non è possibile alcun confronto dialettico! Si determina che Josef K. è accusato, arrestato, non in libertà. Il motivo non si sa. È così. K. è però in grado di osservare ciò che accade con occhio critico, addirittura uscendo dai suoi panni, ragionando sull’accaduto. Combatte nell’assurda trama che il grande occhio narrante gli sta imponendo, vuole confutare, cerca di individuare le contraddizioni dialettiche e di sviscerare, inutilmente, i motivi della trama. Per questo motivo ci pare pienamente presente nei panni dell’imputato.

 

lei ci crede, che io sia imputato? – chiese K. – Ma sì, certamente! – disse l’uomo scostandosi una poco; ma nella sua voce si sentiva solo paura, non convinzione. – Insomma, lei non mi crede? (p. 72)

 

Ma l’uomo non risponde. Non c’è risposta, così come non c’è risposta da parte del già influente studente in giurisprudenza con la gambe storte, di cui tutti hanno paura perché conosce il giudice e «un giorno diventerà un uomo di potere».

Quella che Kafka rappresenta è una società senza maestri che guidano umanamente le giovani leve, una società senza sano confronto dialettico, senza visioni a lungo termine che non siano intimamente legati alla sola utilità e al sentirsi applaudire. C’è un’assenza assoluta di civiltà, un’indifferenza nei confronti delle strutture culturali che caratterizzano il passato e che dovrebbero sostenere il progresso della società umana. Si pensi solo che, cancellate queste strutture, rimane la barbarie, la presunzione, l’arroganza, dai più alti ai più bassi strati sociali: marionette che si muovono qua e là.

Oggi, se dovessimo guardarci attorno, penseremmo ancora a Calvino e ai suoi «rumori di fondo».

 

 

6. Invito al testo

 

La lettura di un testo simile potrebbe stimolare un progetto educativo, in ambito teatrale, nel doposcuola, nei laboratori di scrittura: luoghi dove ci deve essere spazio anche per una sperimentazione, certamente difficile da misurare con le statistiche PISA. Eppure si tratterebbe di investimenti a lungo termine che andrebbero a nutrire una scuola bisognosa di visioni plurime. Temo che tali bisogni vadano a cozzare contro le nuove armonizzazioni, attraverso le quali l’allievo potrebbe diventare un “prodotto”; l’istituto che lo forma un’industria competitiva.

Digerire testi letterari come questo significa diventare più consapevolmente individui che fanno parte di una civiltà,individui che sapranno argomentare, esporre, comunicare dei contenuti. Ma ci vuole tempo. E il tempo è denaro.

 

 

Buon lavoro e buona lettura.

 

Daniele Dell’Agnola


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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