Caro Mohamed,
sono passati tre anni dalla tua scomparsa. Forse tu non potevi nemmeno immaginarlo, ma quella mattina del 17 dicembre, quando la disperazione ha avuto il sopravvento su di te, portandoti ad immolarti in nome della dignità e del rispetto dei diritti umani, hai acceso una fiamma che si è propagata in tutto il mondo arabo e non solo. Dopo il tuo gesto, infatti, milioni di giovani in diversi paesi arabi hanno preso coraggio e sono scesi nelle strade a manifestare per chiedere il riconoscimento dei propri diritti e la fine dei regimi totalitari che hanno gambizzato per decenni i loro paesi. Una fiamma che si è accesa in Tunisia con il tuo gesto e che, come la torcia olimpica, è passata di mano in mano… La storia ci insegna quanto sia difficile e lungo cambiare la mentalità del popolo, cambiare costumi, sradicare la corruzione, eliminare privilegi, contrastare gli estremismi, ma con la consapevolezza la strada, anche se in salita, si affronta con maggior coraggio.
Oggi ti scrivo per felicitarmi con te e con tutto il popolo tunisino. La rivolta contro il tiranno che vi opprimeva, il percorso lungo e difficile che avete intrapreso, i sacrifici, il dialogo, la moderazione, vi hanno portato alla storica firma di una nuova Costituzione. È un momento bellissimo e le immagini che giungono dalla tua Tunisia ci riempiono di speranza ed emozione.
Caro Mohamed,
tu non mi conosci, né io conoscevo te. Ho letto il tuo nome quando ormai avevi smesso di soffrire, il 4 gennaio del 2011; sapevo dai racconti sottovoce, soffocati, fatti di nascosto, delle sofferenze che pativa il popolo tunisino. Ma allora nessuno avrebbe parlato apertamente, nessuno avrebbe osato rompere il muro del silenzio. Come nel mio Paese d’origine, la Siria. Chi ti scrive, infatti, è un’attivista siriana, in pena per il suo popolo, per la sua terra. Il nostro Bouazizi (il tuo nome è diventato sinonimo di rivolta contro l’oppressione), anzi, i nostri Bouazizi, sono stati alcuni bambini di una scuola di Dar’à, nel sud della Siria. Hanno scritto sul muro della loro scuola: “Il popolo vuole la caduta del regime” e hanno pagato con la vita per il loro gesto. È stato allora che il popolo siriano ha rotto il coprifuoco che durava da oltre quarant’anni e ha chiesto riforme, libertà e la caduta del regime. Da noi le cose non sono andate come in Tunisia. Le manifestazioni, iniziate nel marzo 2011, sono state represse nel sangue: ci sono state oltre 150 mila vittime accertate, oltre 200 mila prigionieri per reati d’opinione, oltre 2 milioni di profughi, oltre 10 milioni di sfollati, oltre 2 milioni di persone sotto assedio. Interi quartieri, villaggi, città sono stati rasi al suolo. Sono spariti nel nulla attivisti, uomini e donne, musulmani e cristiani, giornalisti, intellettuali, artisti che hanno avuto il coraggio di dire basta al regime, basta alle violenze.
Caro Mohamed,
migliaia di giovani siriani non ci sono più. Anche loro, come te, avevano un sogno: la libertà. Le loro canzoni, le immagini delle loro manifestazioni, le loro parole riecheggiano nel mio cuore e in quello di tutti quelli che amano la Siria provocando una malinconia mortale. Oggi ti scrivo e quasi mi aspetto una risposta, come se tu mi possa rassicurare che anche da noi l’incubo finirà. In queste ore a Ginevra sono riuniti i potenti del mondo… ti risparmio i dettagli; ti dico solo che si prospetta una seconda Srebrenica. La storia non ci ha insegnato nulla.
Caro Mohamed,
avrei preferito sedermi con te, faccia a faccia, parlare da persone libere. Così non è stato.
Possa l’anima tua e quella di ogni oppresso nel mondo riposare in pace nell’Altra vita.
Asmae Dachan, 27 gennaio 2014
(in Diario di Siria)