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La Shoah a Milano. E a scuola. 
di Mauro Raimondi
28 Gennaio 2014
 

Chi lo sa, quanti sono stati veramente gli ebrei partiti dal Binario 21. Si parla di 700 o 800, ma ogni giorno emergono fatti nuovi, e forse hanno superato il migliaio. Questa, una delle tante osservazioni interessanti fatte dal prof. Maurizio Ghiretti, collaboratore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e autore del libro Storia dell’antigiudaismo e dell’antisemitismo, durante l’incontro MILANO, BINARIO 21. I sommersi e i salvati: la Shoah nella nostra città”, organizzato dai Civici Corsi di Idoneità diurni e serali di via Deledda in occasione della Giornata della Memoria.

L’iniziativa, tenutasi presso un’affollata Aula magna del Civico Polo Scolastico “A. Manzoni”, ha analizzato la tragedia della Shoah in una Milano che, secondo il prof. Ghiretti, non si era resa conto di quanto stava accadendo proprio per l’assoluta segretezza con cui gli ebrei, la mattina presto, venivano radunati nel carcere di San Vittore per poi essere trasferiti, all’interno di camion rigorosamente sigillati, direttamente nei sotterranei della Stazione Centrale. Dove, abbandonati i loro bagagli, erano rapidamente costretti a salire su dei vagoni che un montacarichi issava poi in superficie all’altezza degli attuali binari 18 e 19, con destinazione alcuni campi di concentramento nazisti.

Nessuno poteva vedere o immaginare, in pochissimi sapevano (e tacevano). Perciò il dramma rimase sconosciuto a quasi tutti i milanesi fino agli anni ’60, quando finalmente qualche sopravvissuto cominciò a parlare della sua esperienza. L’orrore, per chi l’ha provato, è difficile da raccontare. E i pochi – qualche decina – che erano tornati, all’inizio si dovettero scontrare con l’altrui incredulità: nessuno voleva credere a quello che gli ebrei avevano dovuto patire per opera di altri esseri umani.

Per questo, persone come Liliana Segre (foto) sono così importanti. E davvero emozionante è stato vederla in un breve documentario opportunamente proposto verso la fine dell’incontro, perché la sua terribile testimonianza ha sicuramente toccato i molti studenti presenti alla serata.

In precedenza, oltre alle immagini del Binario 21 e del Museo che speriamo possa presto rimanere aperto tutti i giorni, la prof.ssa Gemma Vitagliano ha narrato il difficile rapporto tra il popolo eletto e Milano a partire addirittura da Ambrogio, soprannominato “colui che ha tolto le case agli ebrei”. Il futuro santo patrono, infatti, si schierò apertamente contro di loro escludendone ogni rappresentante dalle cariche pubbliche e difendendo gli autori della distruzione della sinagoga di Callinico, in Siria. E l’atteggiamento ostile sarebbe durato per tutto il medioevo, quando agli ebrei venne vietato di risiedere a Milano per un periodo superiore ai tre giorni, salvo deroghe. La situazione migliorò con Gian Galeazzo Visconti, che nel 1387 permise a un gruppo di ebrei fuggiti dalla Germania (dove erano stati accusati di avere diffuso la peste) di fermarsi in città. Ma la tolleranza durò poco, e un secolo dopo quaranta di loro furono condannati per aver posseduto testi contrari al cattolicesimo.

Il periodo spagnolo rese le condizioni degli ebrei ancora peggiori, obbligandoli – esattamente come i nazisti – a farsi riconoscere con una O gialla sugli abiti o indossando determinati copricapi (mentre le donne dovevano mostrare una sorta di colletto simile a quello portato dalle prostitute). Espulsi nel 1597, gli ebrei riapparvero solo in epoca napoleonica e molti di loro combatterono nelle guerre risorgimentali, offrendo la loro vita per la nascita dell’Italia.

L’inaugurazione della sinagoga in via della Guastalla nel 1892 fu il segno dell’assestamento di una comunità che, anche per l’arrivo da Mantova di molte persone, a fine secolo raggiunse le 2000 unità. Non più solo commercianti, gli ebrei diedero così il loro prezioso contributo alla Milano dell’epoca attraverso l’opera di persone dal grande spessore come Emilio (fondatore dell’omonima casa editrice) e Claudio Treves, Prospero Moisé Loira (che creò la Società Umanitaria), Anna Kuliscioff.

Con scarsa preveggenza, alcuni ebrei appoggiarono il neonato movimento fascista, (come Margherita Sarfatti, amante e poi grande promotrice del duce), e a partire dagli anni Trenta molti di loro, provenienti dalla Germania, ripararono proprio a Milano, tanto che nel 1938 se ne potevano contare 12.000 (quasi la metà dei quali riuscì a espatriare in Palestina). Dopo di che, l’occupazione nazista del settembre 1943 fece precipitare la situazione, e la “grande tempesta” – la traduzione di Shoah – investì anche Milano.

Città medaglia d’oro della Resistenza, che ha l’obbligo di non dimenticarla.


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