Giovedì , 21 Novembre 2024
VIGNETTA della SETTIMANA
Esercente l'attività editoriale
Realizzazione ed housing
BLOG
MACROLIBRARSI.IT
RICERCA
SU TUTTO IL SITO
TellusFolio > Spettacolo > In tutta libertà
 
Share on Facebook Share on Twitter Share on Linkedin Delicious
Matteo Moca. “Shoah”, Lanzmann e la memoria
26 Gennaio 2014
 

All’individuo il grande delitto appare, in larga misura, come una semplice mancanza verso la convenzione, non solo perché le norme che esso viola hanno di per sé qualcosa di convenzionale, di irrigidito, di non imperativo per il soggetto vivente, ma perché la loro oggettivazione come tale, anche quando, alla loro base, c’è qualcosa di sostanziale, le sottrae alla sensibilità morale, al raggio di azione della coscienza.

T. W. Adorno

 

Il 27 gennaio del 1945, i russi entrarono nel campo di sterminio di Auschwitz e lo liberarono definitivamente. Sì, definitivamente perché i tedeschi lo avevano già abbandonato, portando con loro parte degli ebrei internati per un'ultima carneficina. Da quel giorno nulla fu più lo stesso. Si è iniziato a scoprire cose che si fatica tuttora a immaginare vere e non abbiamo ancora la conoscenza assoluta della portata di questo fatto; tuttora escono nuove verità sull'argomento. 40 anni dopo, nel 1985 uscì il film Shoah (chiamarlo documentario è forse un delitto, come ha sempre spiegato anche il regista), opera di Claude Lanzmann. Il regista ha iniziato a lavorare a questo progetto nel 1973 e solo dopo 12 anni è riuscito a consegnare questo documento all'umanità. Nel 1985 anche la storia della Shoah ha subito trasformazioni inimmaginabili grazie a questo film che si erge come documento fondamentale, pietra miliare, per chiunque voglia capire davvero cosa è successo. Simone de Beauvoir scrisse all'uscita del film che, nonostante tutte le testimonianze sui campi di sterminio, prima di questo film nessuno aveva ancora avvertito cosa veramente era successo perché quella esperienza era rimasta, tutto sommato, distante e solo con Shoah era possibile vederla da vicino e ricrearsela nella propria testa.

Tornando all'apertura, dicevamo di come, da quell'aprile del 1945 tutto cambiò. Si trattò di un cambiamento profondo, radicato in un animo umano che non riuscì a darsi una qualsiasi spiegazione. Non è necessario qui snocciolare il numero delle cifre impietose, ma basta, forse, dire come l'intelligenza della razza umana sia stata messa da parte, esclusa dalla vita stessa: solo così è possibile immaginare di capire, solo lontanamente, questo fatto. L'uomo si scontra, usando la dicitura della Arendt, con la “banalità del male”, vedendola nitida nelle gesta di un gerarca come Eichmann, uno dei protagonisti che perpetuarono questa simile carneficina: la grande questione, sollevata dalla Arendt, risiede nel fatto che Eichmann non era una persona anormale. La Arendt insiste molto su questo fatto. Sarebbe stato forse meno temibile un mostro inumano, perché le azioni avrebbero rappresentato la sua essenza. Invece Eichmann si dimostrò sempre, durante il processo, una persona normale, senza nessun tipo di cedimento. Così come Franz Sucholem, ufficiale delle SS a Treblinka, intervistato da Lanzmann nel film. Il regista chiede all'ufficiale qual era il metodo con cui venivano uccisi 18.000 ebrei al giorno; Sucholem, con voce calma, senza tradire un minimo tratto di emotività spiega – come potrebbe rispondere un qualsiasi operaio ad una domanda sul suo lavoro – che 18.000 è una cifra troppo grande, in un giorno ne venivano uccisi tra i 12.000 e i 15.000.

Sarebbe lunghissimo, e probabilmente fuori luogo, tentare di approfondire ulteriormente questo discorso, che porterebbe con sé fiumi di parole e scontri ancora non placati. Basterà solo avere come punto di riferimento, il fatto che tutto questo è accaduto negli anni '40 del '900, più vicino a noi rispetto a quanto tanti vogliono ancora farci credere. E, per essere accaduto, ci dev'essere stato un coinvolgimento pesante e spaventoso nella gente, ma anche qui alziamo le braccia e ci fermiamo per non addentrarci in dispute storiche tuttora attuali. Torniamo invece al film di Lanzmann e a tutto quello che questo film ha portato con sé, non prima però di aver delineato l'importante figura del regista.

Nato a Parigi nel 1925, Lanzmann si erge come protagonista della resistenza già nel 1943. Dopo la guerra ricopre la carica di lettore all'Università di Berlino, dove conoscerà Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, di cui diventerà grande amico. Da quel momento comincia a scrivere su Les temps modernes di cui oggi è direttore. L'ingresso nel cinema avviene con Pourquoi Israel nel 1970 e, dal 1973, inizia a lavorare a Shoah. Questo 2014 vedrà l'uscita del suo ultimo lavoro, L'ultimo degli ingiusti, dedicato alla figura di Benjamin Murmelstein.

Shoah è, senza ombra di dubbio, la più grande opera cinematografica sull'argomento ma è anche una meravigliosa pellicola, un monolite di oltre 9 ore che mostra ciò che era stato fino a quel momento in parte invisibile. Eppure Lanzmann nella sua ricerca non utilizza quei grandi filmati di repertorio che si vedono di solito nei documentari, né si mette in testa di porre agli intervistati domande sull'etica o la moralità; sembra anzi interessato alle minuzie, alle cose più piccole ed è forse questo, paradossalmente, a consegnarci l'affresco più preciso: è nei particolari che risiede l'essenza delle cose.

Lanzmann ricrea questa livida realtà ricostruendola dal suo interno, visitando superstiti, contadini e ufficiali coinvolti nel massacro, entrando davvero nel cuore dell'inferno e dando delle voci e dei volti a quell'inferno. I volti degli intervistati basterebbero già per una sorta di “scenografia immaginaria”: il volto impassibile di Sucholem, i visi di quei pochi sopravvissuti che sembrano essere riusciti a riconquistare una sorta di serenità dalla natura forse non pura, e i visi di chi, quell'inferno, continua a riviverlo ancora. Le interviste risultano talvolta disturbanti per i loro contenuti e per la forza con cui a tratti sono portate avanti. Così verrebbe quasi da tapparsi le orecchie quando il regista fa recitare a un SS la marcia che cantava con i suoi compagni mentre i cadaveri degli ebrei, appena estratti dalle camere a gas, bruciavano nei crematori, oppure quando fa raccontare ad un parrucchiere ebreo come doveva radere i capelli ai corpi delle donne appena uccise.

Uno dei punti di forza maggiori di quest'opera è il fatto che Lanzmann vada ad intervistare moltissimi ebrei che avevano (e hanno anche nel momento dell'intervista) una situazione particolare in quanto erano appartenuti ai Sonderkommandos, gruppi speciali di ebrei deportati che avevano il compito di collaborare con le SS nel processo di sterminio degli altri ebrei, raccogliendo i corpi nelle camere a gas ed essendo i responsabili della cremazione degli stessi.

Questi vengono considerati da Lanzmann i veri superstiti, coloro che hanno realmente visto come funzionava il campo, coloro che “sono tornati dall'aldilà della soglia del crematorio”. In un'intervista Lanzamann dice che, paradossalmente e provocatoriamente, nessuno è mai stato ad Auschwitz perché chi c'è stato ed è morto subito non c'è in realtà mai stato, non ha conosciuto il campo. Ed anche i sopravvissuti hanno conosciuto vie alternative, un percorso fatto di tappe diverse da quelle che dovevano essere del campo nella sua progettazione tedesca. Ecco perché la grande attenzione alle squadre speciali, perché solo in loro risiede la conoscenza assoluta del campo di concentramento.

Con questa tecnica, a tratti quasi irritante per la sua testardaggine e insistenza, Lanzmann riesce a strappare dalla bocca dei sopravvissuti ciò che più desidera, aprendoci gli occhi sul buco nero della disgrazia, sulla “radicalità della morte” utilizzando le parole di Mereghetti. Un documento imprescindibile per chiunque voglia vedere da dentro il male più assoluto.

 

Matteo Moca


Articoli correlati

  L’ultima stazione. Per non dimenticare al Teatro Laboratorio
  Ricordando con Primo Levi l'orrore dell'Olocausto nazifascista degli ebrei
  Shoah. Una via o una piazza dedicata a Sylvia Sabbadini
  Sergio Caivano. La giornata della memoria
  Donazione di una foto firmata da Gino Bartali dall'Italia al Museo Yad Vashem
  Il 19 aprile è "Yom HaShoah", il Giorno della Shoah
  Giorno dell’Indipendenza di Israele a Vercelli
  Roberto Malini. Il 20 settembre 1992 è morto Kadish, artista e testimone della tragedia umana
  Vetrina/ Roberto Malini. In morte di Shlomo Venezia, testimone della Shoah
  Biblioteca della Valchiavenna. La Shoah in casa
  Milano. Il radicale Lucio Bertè rende omaggio alle vittime della Shoah nel cimitero “ad Martyres”
  Giornata della Memoria a Vercelli: le donne della Shoah
  “Gli scomparsi” di Daniel Mendelsohn
  EveryOne Group. Donazione di Roberto Malini a favore del Museo della Shoah di Roma
  SHOAH RIFLESSIONI & OMAGGI
  Vetrina/ Paola Mara De Maestri. Poesie per non dimenticare
  Vincenzo Donvito. Reato di negazionismo? Reato di opinione!
  Anne in the Sky: un grande messaggio di pace
  Giorno della Memoria 2016: poeti e musicisti a tavola con Anne Frank
  Shoah: tavole rotonde, commemorazioni, concerti per ricordare
  Enrico Peyretti. Memoria della com-passione
  Erveda Sansi. Ricordare per conoscere
  Pesaro, arte e Shoah: Wanda Coen
  Liceo Ceccano. Giornata della Memoria 2009
  Arvangia. Dare voce alla memoria che tace…
  L’8 giugno alla Rocca di Sassocorvaro inaugurazione della mostra “Artisti dell’Olocausto"
  Vetrina/ Patrick Sammut. Giorno della memoria
  “L’oro di Milcik”. Un concerto per la Giornata della Memoria 2009
  Doriana Goracci: Giornata della Memoria con Gaza e Lucca nel tempo storico presente
  Giornata della Memoria: Le vostre orme leggere
  Morbegno. Giornata della memoria 2020
  Ricordando con Joyce Lussu la Shoah
  I giovani ricordano la Shoah
  Arcigay Arezzo per la Giornata della Memoria ricorda l'Omocausto
  Pietre in cui inciampa la coscienza: i “Stolpersteine”
  Roberto Malini. È morto Wiesel
  Ionne Biffi. Gusen: infanzia negata
  Benedetto Della Vedova. Fame... iraniana
  L’artista santhiatese Ennio Cobelli dona al poeta Roberto Malini la sua opera “Holocaust”
  Gli ebrei sotto il regno sabaudo - incontro a Santhià (Vercelli)
  TEREZIN: frammenti di vite in attesa dello sterminio
  Guido Bedarida. Per il Giorno della Memoria
  In libreria/ Susanne Raweh. La storia della nonna bambina
  La ragazza con la fisarmonica
  Yom HaShoah. Dall'Italia in regalo la App che ricorda Helga Deen e l'Olocausto
  Milano, binario 21
  Una poesia di Roberto Malini dedicata ad Anne Frank
  Festival Fare Memoria 2016
  Eugenio de' Giorgi. “Affittasi monolocale zona Ghetto” con il Teatro Olmetto
  Roberto Malini. Il 18 settembre 1926 è nato Joe Kubert, genio del fumetto
  Federica Bonzi, Enrico Marco Cipollini. Memoria, memorie...
  Giuseppina Rando. I dipinti di David
  Paolo Buconi, violino della Memoria
  Esther Ettinger. Una scala di filo spinato, deserta di ali
  Anna Lanzetta. Per non dimenticare
  Gigi Fioravanti. Giorno della memoria. Domande
  Lidia Menapace. Sull'ignoranza religiosa
 
 
 
Commenti
Lascia un commentoLeggi i commenti [ 1 commento ]
 
Indietro      Home Page
STRUMENTI
Versione stampabile
Gli articoli più letti
Invia questo articolo
INTERVENTI dei LETTORI
Un'area interamente dedicata agli interventi dei lettori
SONDAGGIO
TURCHIA NELL'UNIONE EUROPEA?

 70.7%
NO
 29.3%

  vota
  presentazione
  altri sondaggi
RICERCA nel SITO



Agende e Calendari

Archeologia e Storia

Attualità e temi sociali

Bambini e adolescenti

Bioarchitettura

CD / Musica

Cospirazionismo e misteri

Cucina e alimentazione

Discipline orientali

Esoterismo

Fate, Gnomi, Elfi, Folletti

I nostri Amici Animali

Letture

Maestri spirituali

Massaggi e Trattamenti

Migliorare se stessi

Paranormale

Patologie & Malattie

PNL

Psicologia

Religione

Rimedi Naturali

Scienza

Sessualità

Spiritualità

UFO

Vacanze Alternative

TELLUSfolio - Supplemento telematico quotidiano di Tellus
Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
Sede legale: Via Fontana, 11 - 23017 MORBEGNO - Tel. +39 0342 610861 - C.F./P.IVA 01022920142 - REA SO-77208 privacy policy