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Gianni Cestari. Antologia
20 Gennaio 2014
 

Gianni Cestari, uno degli artisti ferraresi più ricchi di fantasia e creatività, attento alla sperimentazione e alle tecniche grafiche, presenta, a cura di Graziano Campanini, nella Pinacoteca di Bondeno (Ferrara), fino al 2 Febbraio, il percorso della sua ricerca artistica (Catalogo Bonoia University Press). A volte una versione misticheggiante del segno, che si pone sul foglio come scrittura “Lettere da Stellata” (monotipi su carta) che si evolve come una fitta trama di segni chiari e sottili, che si distendono, s’attorcono, s’avviluppano all’infinito in una molteplicità di cadenze e dalla quale emerge una luce diafana – quasi una misteriosa presenza di un al di là – la quale si affranca sopra un fondo di tonalità solitamente oscure. La calligrafia non fa corpo con quel fondo: essa appare come il solitario cammino di un’anima che, al di sopra delle asperità terrestri, tenta l’evasione verso un mondo trascendentale atto a garantire una pace sicura, una definitiva composizione dei contrasti esistenziali. Nel suo cammino Cestari dipinge e disegna costantemente, con grande energia. Dipinge ciò che vede del suo paesaggio della bassa ferrarese, del suo Po, l’angoscia della piena del fiume, o del terremoto che tanto dolore e squarci violenti ha lasciato sul territorio che Gianni abita. Dipinge il suo dolore, la sua amarezza, la sua angoscia in una chiave di magico lirismo.

Dipinto o disegno che sia, ogni pagina di Cestari è una confessione, è un ricordo, spesso una presa diretta. Egli vi lascia fluire i segni di uno spirito ferito, che s’intrecciano in organismi misteriosi come astri remoti, come insetti fantastici sottoposti a un allucinante processo metamorfico, da cui talora emergono le larve di un volto lunare, di un simbolo di “pace”, di una flora assurda. Nulla è certificato nei termini della conoscenza razionale, tutto è invece evocato dagli sconfinati paesaggi di una memoria dimenticata, dagli enigmatici recessi dell’inconscio.

Nelle opere di grande formato per Cestari lo spazio è la dimora bidimensionale dei suoi programmi segnici. L’automatismo raggiunge in lui il suo pieno compimento.

Ogni opera del pittore ferrarese, si costituisce a guisa di uno schermo in cui si iscrivono gli impulsi di un animo: le violenze, i furori, le pause serene, il ritorno delle inquietudini sono trascritte con immediata certezza nell’intrecciarsi segnico, il quale a sua volta ne soccorre la lettura nitidamente rivelando il proprio farsi temporale.

Le integrazione dei fondi – i toni delle larghe campiture, il loro associarsi – si pongono a un certo momento quali “intonazioni” generali dell’opera in senso spirituale (Pagina di Mare, 2000; Una storia, 2003; Il segno alluso, 2001).

Nelle opere più materiche in cui il reale ormai non è più che il motivo ispiratore di un’architettura in cui gli spazi cromatici reciprocamente si eccitano per il loro stesso splendore, simili a gemme incastonate in un succedersi ritmico dalle pause solenni (Sospiri… il tempo sprecato, 2008; Chi salirà per me?, 2008). L’opera si risolve in tal modo nella decantazione figurale di una pluralità di sensazioni e di emozioni, filtrate dalle lontananze della memoria; diviene l’inesauribile “narrazione” dei misteriosi e affascinanti paesaggi dell’animo, che la forza poetica dell’artista restituisce all’osservatore. Cestari sembra, a volte, compiere una discesa nelle stagioni remote quanto meravigliose dell’infanzia per suscitarne le favole. E meglio sarebbe dire che trascrive, quelle favole, come sotto un influsso mediatico. (Mutante, 2013; Bestiario, 2011; Sono di nuovo contattabile, 2012).

Nell’adattamento teatrale dell’Ulisse joyciano dice a un certo momento Stephen: «Così che il gesto, non la musica, non gli odori, diventi un idioma universale, dono di lingue capaci di rendere visibile non il senso comune ma la prima entelechia, il ritmo strutturale». La “prima entelechia” che proviene dalla tradizione della pittura del gesto, il prorompere dell’action painting, tanto cara ad uno dei principali maestri di Gianni Cestari e cioè don Franco Patruno.

Questa loro ricerca di “perfezione” formale i due artisti la trovarono operando insieme, a volte a quattro mani, per affondare ed evocare “il cosmo misterioso”, in quel luogo straordinario che era l’Istituto di Cultura “Casa Cini” (ormai distrutto per l’insipienza ed aridità umana clericale ferrarese). In quel luogo Gianni Cestari ha esposto le sue prime mostre e si è aperto un dialogo con il mondo culturale ferrarese e della comunicazione artistica internazionale, che ancora continua, nella memoria di quel “laboratorio” straordinario, del suo maestro e di una carica indimenticabile di “amore per la cultura e per la bellezza”.

 

Maria Paola Forlani


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