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Maria Lanciotti. Augusto racconta.../ Natalina
18 Gennaio 2014
 

AUGUSTO RACCONTA

Natalina*

 

Il terreno di oltre tremila metri quadri, perfettamente in piano, confinante con altri due proprietari e con il bosco di Rocca Priora (Roma), veniva ceduto da un signore che per le sue condizioni fisiche ed economiche non era in grado di soddisfare le richieste del consorzio che glielo aveva assegnato.

Mi offrono il terreno, m’innamoro subito del posto e accetto il passaggio. Il regolamento dice e pretende di apportare delle migliorie, altrimenti si può perdere la proprietà.

In tempi brevi piantai ottanta meli, un ciliegio, quattro alberi di noci e quattro pioppi, rientrando nel programma che vuole il terreno lavorato e bello da vedere.

Passarono pochi mesi e quando arrivò l'inverno mi accorsi di non avere un riparo. Inoltre, il terreno non recintato permetteva a tutti di entrare a piacimento. Mi recai in comune per chiedere informazioni e lì mi dissero che avevano controllato il terreno, elogiarono il mio operato, ma mi avvertirono che non potevo assolutamente posizionare un cancello, non potevo costruire un locale di rimessaggio per gli attrezzi, insomma qualsiasi cosa avessi aggiunto sarei stato punibile anche penalmente.

Avevo capito fin da piccolo che le leggi le fanno gli uomini e per quanto intelligenti le possono anche sbagliare.

Andai in una rivendita di materiale da costruzione e scelsi un box in cemento della capacità di un monolocale, acquistai blocchetti e legname e tutto l'occorrente per costruire una rimessa attrezzi e il muro di recinzione, e pur sapendo le possibili conseguenze andai avanti.

Posizionato il locale e costruito il muro di recinzione, la proprietà appariva bella e funzionale, mentre le piante crescevano.

Mi trovavo nel terreno assieme al geometra che aveva curato i lavori e stavamo cercando di capire se tutto era stato eseguito bene, quando arrivò un’auto dei vigili urbani, non si aprì uno sportello ma contemporaneamente se ne aprirono quattro, scesero i vigili come se dovessero arrestare un delinquente. Chiesero chi era il responsabile, io mi presento e dissero che potevo subito avvertire il mio legale perché la situazione era grave. Al mio posto parlò il geometra, che difese la mia posizione. Disse ai vigili: “Voi contestate il box, il cancello e la recinzione, ma lo sapete che all’inizio dei lavori, quando non si potevano mettere al riparo gli attrezzi, questo signore doveva andare la mattina a ricomprare le carriole e tutto il resto per poter proseguire i lavori? Quando verrà qui nel terreno che il comune gli ha assegnato, in caso di pioggia dove si ripara? Deve prendersi una polmonite perché lo dice la legge?”

 

Sono passati più di trent’anni da quando acquistai il terreno, questo posto mi ha aiutato tanto, io vengo qui per ricostruirmi. Posso percorrerlo con passo lento osservando il degrado tutto intorno, fatto salvo questo lotto, vengo qui a piangere, a provare sensazioni del passato, a risolvere questioni importanti delle mie aziende. La cosa meravigliosa è che nella vita non mi sono sentito mai solo, oggi per esempio mi trovo in compagnia di una cornacchia che mi sta rompendo i timpani.

Di questa proprietà tutto è stato risolto, risulta sanata a tutti gli effetti. È stata una bella esperienza su cui poggeranno tanti altri eventi della mia vita.

Santino ogni tanto viene nel terreno, tanti anni fa gli consegnai le chiavi, taglia l'erba, tiene pulito, in cambio di una mia visita come amico e un compenso per il suo operato. Questo terreno non posso venderlo ma soltanto cederlo con una scrittura privata. Sono contento di averlo preso nel 1980, sono contento oggi di gestirlo, lo terrò fino a quando avrò la forza di tenerlo in ordine.

E questa è la premessa per il racconto di Natalina, una cavallina tutta bianca, con una criniera bellissima, con due occhioni neri, intelligente, con cui per sei anni ci siamo incontrati tutti i giorni, anche quando nevicava e nessuno circolava.

Io sono nato in una cittadina di montagna, i miei nonni erano piccoli agricoltori e in parte lo erano anche i miei genitori. Sicuramente ho ereditato qualcosa di questo tipo di vita. Mi piace l'aria aperta, mi piace la natura, amo tutti gli esseri viventi e quando prendo un impegno verso una di queste creature cerco di difenderle all'infinito. Nel caso di Natalina non credo di esserci riuscito ed è per me una sconfitta.

 

Volevo una cavallina o un cavallino perché mio padre, quand’ero piccolo, mi faceva salire sul nostro asino. Papà montava in sella, mio fratello più grande sulla groppa abbracciava papà, io sul collo dell'asino rivolto verso mio padre, partivamo per andare nel nostro terreno in campagna. Un trasferimento che per me era come volare, mi sentivo in paradiso. Ecco la necessità di prendermi cura di una cavallina.

M’informo dove poter trovare una fiera di bestiame, e qualcuno mi dice che ogni prima settimana del mese, in località Osteria Nuova, nei pressi di Rieti, si tiene questa fiera. Partiamo con la mia compagna per andare alla fiera, anche lei – sebbene non quanto me – attratta dai cavalli e dagli animali in genere.

Era il 6 dicembre 1982. Arriviamo alla fiera e per me fu come essere a teatro. Incominciammo il percorso, una strada di terra battuta con il bestiame esposto su entrambi i lati, tutte le specie di animali, tutto un lamento, le pecore che belano per paura di perdere i figli, i figli che rispondono alla mamma e cercano di starle più vicini. Credo che nella mente di questi esseri in vendita ci fosse il terrore.

Noi volevamo un cavallo piccolo, ne avevamo tanto desiderio ma avevamo anche tanta incoscienza, abitavamo in una cittadina e non in un territorio adatto ad un cavallo. Percorrendo la fiera ci fermiamo ad una bancarella dove vendevano accessori per i cavalli, selle, finimenti, briglie e attrezzi per la pulizia. Fui attratto da una spazzola di crino su cui c'era stampata a fuoco la lettera enne, la comprai e dissi alla mia compagna: “Se sarà femmina la chiameremo Natalina, se sarà maschio lo chiameremo Napoleone”. Il primo acquisto era fatto. Proseguimmo il percorso e da lontano vidi qualcosa che mi fece accelerare l'andatura.

Tra i venditori c’era un signore con un carrettino ben costruito, con una cavallina e una puledrina di una bellezza particolare, le zampe con caviglie sottili, due occhi grandi e neri, una perfezione della natura. Pensammo di acquistare la puledrina, chiedo il prezzo e quel signore mi comunica il costo complessivo del carretto e dei due animali, dicendo che non poteva vendere solo la puledrina perché aveva solo quattro mesi e non era consigliabile separarla dalla madre. Continuammo a cercare senza trovare nulla che ci entusiasmasse, e tornavamo sempre a guardare quella che noi già chiamavamo Natalina.

Andammo in una trattoria a mangiare qualcosa, sempre con quel pensiero fisso. Dicevo alla mia compagna: “Immagina Natalina nel nostro terreno, libera, curata e foraggiata, noi a guardarla correre o a camminare assieme a lei tenendola per la cavezza”. Provavo sensazioni piacevoli che mi riportavano all'infanzia, quando dicevo ai miei coetanei che l’asino nostro era il più bello di tutti, mentre i loro avevano le orecchie calate. Il nostro no. Il nostro era resistente, portava una soma più pesante, aveva le orecchie dritte, insomma nessun asino era come il nostro.

Stavamo per ripartire per Roma, ma prima volevamo tornare a rivedere Natalina, e così ci avvicinammo e avvenne il miracolo. Quel signore ci chiama e ci chiede se eravamo ancora interessati all'acquisto ed io subito risposi di sì. Il motivo della sua offerta era semplice: non era riuscito a vendere tutto in blocco.

Sistemato il pagamento, seicentomila lire, cominciai a toccare Natalina. Aveva una cavezza di corda, provai a farle fare alcuni passi, ma lei subito tornava verso la madre, si sfioravano e nitrivano. Chiedo come poter fare per portarla a Rocca Priora e il signore subito mi tranquillizza dicendomi che c'era un trasportatore attrezzato. Lascio il compenso di centocinquantamila lire e fissiamo un appuntamento per la consegna.

Contenti ripartiamo per Roma, io dicevo alla mia compagna: “Abbiamo una figlia tutta nostra, le faremo fare una vita bellissima, Natalina non dovrà lavorare, avrà biada e granturco e tutto quello che occorre per farla vivere bene”.

Mancavano poche ore all’appuntamento col trasportatore quando arriviamo a Roma e decidiamo di non andare a casa a Grottaferrata, ma a Rocca Priora bassa, vicino al bar. In effetti, non avevamo dato un indirizzo preciso. Passano diverse ore e non si vede nessuno, cominciamo a temere una grossa fregatura, per quanto io non sia diffidente per natura e penso che tutti siano brave persone.

Non conoscevo il nome del commerciante e neanche quello del trasportatore, avevamo pagato una grossa cifra a persone che potevano benissimo non procedere alla consegna, non avevamo nessun documento che provasse l’acquisto.

Comincia a far buio e sconsolati decidiamo di andare a casa. Partiamo, avevamo fatto poca strada quando la mia compagna gridando mi dice che è passato un camion con Natalina sopra. Gli corriamo dietro, il camion si ferma, il trasportatore si scusa per il ritardo e ci avviamo verso il nostro terreno. Arriviamo a destinazione, dove avevo in anticipo costruito il locale per Natalina. Una cassaforte con la porta blindata, di comode dimensioni, con lo spessore dell’acciaio sufficiente a garantire la sicurezza antisfondamento.

Il trasportatore fa scendere la cavallina e si prepara a partire con il carretto e la madre di Natalina. Io credo che qualsiasi persona si trovi ad assistere ad un simile allontanamento, poi non possa più dimenticarlo.

Il camion si allontana, la madre legata addosso alla sponda saltava e nitriva, Natalina che tenevo per la cavezza corre in tutte le direzioni, come impazzita. Con la mia compagna assistiamo a questo strappo. Mi tornarono in mente le parole di quel signore quando disse che non era consigliabile separare la puledrina dalla madre, perché troppo piccola. Tornammo a casa sconfitti, consapevoli del danno che avevamo procurato a due esseri viventi.

La mattina dopo apro la stalla blindata e trovo Natalina con una tristezza mai vista in nessun altro animale. Uno dei confinanti mi disse che aveva nitrito per tutta la notte. La lasciai libera nel terreno recintato con il cancello chiuso. Lei strappava l'erba rabbiosamente, alzava gli occhi e guardava lontano, nitriva, poi prendeva a correre per tutta la lunghezza del terreno, circa trecento metri.

Io rimasi seduto cercando di capire cosa potessi fare, non sapevo da dove cominciare. Passano i giorni, tutti i pomeriggi, appena libero dai miei impegni di lavoro, andavo da Natalina, aprivo e la facevo uscire.

Lei cominciava a tranquillizzarsi, io la guardavo seduto in silenzio e lei si avvicinava sempre di più fino a toccarmi, poi mi annusava. Il contatto stava avvenendo. Chiamandola con dolcezza gradualmente avvicinavo le mani alle sue narici, lei annusava, ed io prendevo ad accarezzarla. Parlavo con lei, la rassicuravo, e Natalina iniziava a capire che non doveva aver paura.

Passarono i mesi. Natalina mi guardava con due occhioni intelligenti quando le parlavo, e credo che capisse quanto io tenessi a questo nostro rapporto.

Per me Natalina era un recupero sia fisico che mentale, mentre ero con lei elaboravo mentalmente progetti impegnativi e intanto riposavo.

Secondo l’impegno che mi ero preso nei suoi confronti, la curavo e alimentavo nel migliore dei modi. Le portavo biada e grano, sali particolari che acquistavo in un consorzio di bestiame, le facevo mangiare l'erba del prato per lei molto importante e nutritiva.

 

Passano gli anni, Natalina cresce sotto il controllo di un mio amico veterinario, io ero contento, era avvenuta tra me e Natalina una cosa bella, tra noi si era creata una sicurezza, una protezione. Quando arrivavo nitriva senza che la chiamassi, aprivo la porta e lei usciva con passo lento, tranquilla, aspettava le mie carezze e con la testa si strofinava a me, mi spingeva.

Crescendo aveva voglia di giocare e non avendo altri cavalli attorno cercava di farlo con me. Io mi fermavo al centro del prato, lei si allontanava il più possibile poi partiva con una rincorsa assumendo una forma bellissima, alzando la coda e la testa si spostava lentamente pavoneggiandosi, poi aumentava al massimo l'andatura e mi veniva contro come volesse investirmi. Io restavo fermo e lei mi sfiorava con tutto il corpo, si fermava solo quando era stanca.

Un giorno ero voltato di schiena, stavo forse raccogliendo qualcosa, quando Natalina durante il gioco con un calcio mi sfiora un ginocchio. Un po’ preoccupato di questo suo comportamento, andai alle scuderie dei Pratoni del Vivaro. Una persona competente mi disse che potevo rimanere con la gamba colpita tesa, senza più poter articolare il ginocchio. Mi spiegò che Natalina stava giocando come se si trovasse in un branco di cavalli e mi disse che andava corretta.

Mi consigliò di lasciarla libera di ripetere il gioco senza però voltarle le spalle e di colpirla con un frustino, un ramoscello, prima che lei saltasse per calciare. Non fu facile farle capire quel che andava o non andava fatto, ma alla fine ci siamo riusciti.

 

Comincio a pensare alla costruzione di un calesse (come pensare alla costruzione di una piccola Ferrari), il gioiello per l'abbinamento con Natalina. Era il 1990.

La progettazione del calesse era nella mia mente notte e giorno, senza trascurare le aziende per me molto importanti. Quando, mettendo in sequenza tutto il materiale, arrivai a vedere l'opera compiuta, iniziai la realizzazione del progetto. Natalina andava educata all'abbinamento con il calesse, cosa per me molto difficile.

L'abbinamento è fatto di tanti elementi, che andai a scoprire con fatica. Una testiera, una piccola sella, un sottopancia, un pettorale, un sottocoda, due tirelle collegamento di tutta l'imbracatura al calesse, quattro cinghietti che collegano le stanghe all'imbracatura.

Poi viene il lavoro serio. Come mi avvicinavo per tentare d’imbracarla, Natalina s’impennava e scappava. Poi si fermava e mi aspettava e quando stavo per raggiungerla di nuovo scappava. Passammo così il primo giorno.

Chiedo consiglio all’esperto e lui mi dice che in questo modo mi sarei ritrovato io con i finimenti e il calesse da tirare. Mi disse che bisognava fare un poco al giorno in modo che Natalina capisse e memorizzasse il cambiamento.

Incominciai dalla testiera, compresa di paraocchi. Un cambiamento importante per Natalina, cresciuta in libertà. La testiera era l'inizio della sua obbedienza. Ma potevo ottenerla solo facendole capire che io ero suo amico, anche se potevo apparirle nemico.

In seguito Natalina si faceva avvicinare, si faceva mettere la testiera, si faceva guidare. Io le camminavo dietro a distanza di briglie lasciandola libera di andare dove voleva. Ogni tanto si fermava a strappare l'erba con rabbia, faticando a mangiarla per l’impedimento del morso.

Pian piano Natalina si abituava alla nuova condizione, il mio compito era di farle apparire tutto come un gioco e credo di esservi riuscito. La compensavo ogni volta che subiva un’applicazione o una modifica con una zolletta di zucchero, un pugno di biada, un biscotto.

A questo punto inizia la realizzazione pratica del progetto.

Il calesse non doveva essere un carretto con il solo scopo di trasferire persone o carichi, ma un piccolo veicolo con una particolare funzionalità e bellezza. Un lavoro che mi prende molta attenzione e molto tempo.

 

Arriva il giorno dell'abbinamento. Natalina col giusto tempo aveva accettato tutti i finimenti che procuravano sollecitazioni al suo corpo. Portai con me un ragazzo, Fabio, perché pensavo mi potesse aiutare. Fabio tranquillizzava Natalina tenendo una mano infilata nella testiera, mentre io collegavo il calesse, un’operazione che richiede un quarto d’ora. Natalina s’innervosisce, s’impenna e Fabio viene gettato a terra. Natalina corre verso il cancello e lo trova chiuso, perde il controllo. Tentava di liberarsi, il calesse si rovescia, Natalina cade di fianco e rimane immobile. Ci rendemmo subito conto che la cosa era grave. Natalina aveva le briglie avvolte al collo che le impedivano di respirare. Gridai al ragazzo di andare a prendere un coltello, qualsiasi attrezzo tagliente e di fare presto. Intanto cercavo di tenere ferma Natalina e di allentare le briglie, ma non mi riusciva. Natalina stava morendo per soffocamento. Fabio porta correndo un coltello piccolo da cucina, taglio le briglie e intanto parlavo a Natalina che mi guardava con i suoi occhioni neri.

Poi restammo in silenzio e con il ragazzo, guardandoci, abbiamo pianto. Forse erano lacrime di gioia. Avevamo patito tutti e tre una paura terribile e stava passando, stava tornando la calma.

Il calesse un poco rovinato, i finimenti in parte d’aggiustare, Natalina traumatizzata. Decisi di fermarmi un attimo. Dovevo capire quello che era successo e perché.

Nei giorni successivi andavo da Natalina e la facevo pascolare nel prato, mentre io seduto la osservavo. Natalina si allontanava da me ma non troppo, e anche lei mi osservava.

 

Passano un paio di mesi e mi organizzo per ritentare la prova col calesse. L’esperto mi dette i suoi suggerimenti, e cioè che il cavallo doveva gradualmente capire che il calesse era un corpo aggiunto al suo e doveva tirarlo. Il tempo della preparazione fu lungo e la tecnica delicata. Cavezza corta e passo lento per Natalina.

Arriva il giorno che Natalina, con il mio aiuto, fu pronta per uscire dal terreno e camminare sulla strada asfaltata. Con buona dose d’incoscienza decisi di tentare.

Era di domenica, credo del mese di maggio. Inizia l’operazione d’imbracatura dei finimenti, eseguita con movimenti lenti e sempre parlando con Natalina. Avvicino con prudenza il calesse, le stanghe ai fianchi di Natalina, passo i cinghietti che fissano le stanghe all'imbracatura, inserisco le tirelle che partono dal pettorale e si agganciano sui due moschettoni del calesse. Era tutto pronto, il cancello aperto. In tutta quest’operazione Natalina tremava e voltava la testa per vedere quello che stava accadendo. Salgo sul calesse, piano piano, con le briglie in mano. Riesco appena a sedermi che Natalina parte come un razzo. Tiro le briglie, freno le ruote posteriori fino a bloccarle, riesco a centrare il cancello e usciamo in strada. Percorriamo un breve tratto, Natalina a briglie tirate e ruote bloccate, scarica tutta la sua potenza e si ferma. Il morso doveva procurarle un grosso dolore.

Rimango sul calesse e la faccio riposare. Dopo un quarto d’ora le do l'ordine di avvio e riesco a farla camminare a passo lento. Facciamo una conversione e rientriamo nel terreno.

Capii che non era ancora il caso di uscire sulla strada asfaltata.

 

Dopo una settimana usciamo sulla strada, direzione Centro Ippico dei Pratoni del Vivaro, nel comune di Rocca di Papa (Roma). Percorriamo circa due chilometri, Natalina tutta bianca, perfettamente pulita e strigliata, il calesse rosso con centine di tubo rivestite con una tela verde per riparare dal sole, io sul sedile con le briglie in mano. Mi sentivo come l'ultimo imperatore quando saliva sul trono.

Da quel giorno di uscite ce ne furono tante, portavo con me altre persone, il sedile era di tre posti.

Quando percorrevo la strada, le auto rallentavano e poi si fermavano per assistere a questa visione di altri tempi.

 

Andavamo a passeggiare nei boschi, nel comune di Rocca Priora. Mi arrampicavo all'interno del bosco, Natalina libera camminava al mio fianco, se rimaneva indietro nitriva come per dire “aspettami” e correndo si rimetteva al mio fianco, strusciandosi a me. Natalina mostrava il bisogno del contatto fisico ed era anche capricciosa.

Un giorno ci allontaniamo di poco dal nostro terreno, camminando piano, e lei ogni tanto si fermava a brucare. Stava calando il buio ed io come al solito le dicevo “andiamo”. Natalina mi guarda e si rimette a mangiare, io continuo a camminare e lei non si muove. Non era interessata a rientrare. Vado nella stalla e prendo la testiera per poterla portare dentro, mi avvicino ma Natalina piena di energie s’impenna, si pavoneggia e si allontanava da me. Riprovo più volte, inutilmente. Mi fa arrabbiare e le dico “vado via, questa notte verranno i ladri di bestiame e ti porteranno al macello”. E andai via. Con me c’era la mia compagna. Mi disse: “Voltati”. E vidi Natalina. Aveva camminato dietro di noi alla mia stessa andatura. Non le dissi niente, non la rimproverai, tornammo indietro e lei entrò nella sua stalla.

 

Ai Castelli Romani ci sono da sempre i ladri di bestiame, ogni banda specializzata per un tipo di furto. Galline, conigli e altri animali da cortile, poi ci sono quelli che rubano bestiame in genere, ladri di mucche e ladri di cavalli lavorano di comune accordo, non si fanno la concorrenza, si comunicano anche il lavoro da eseguire.

A me avevano già rubato galline, oche e conigli, poi una pecora e due caprette.

Arriva il turno di Natalina. Prima di pensare al cavallo avevo pensato a come proteggerlo dai ladri. Per portare via Natalina ci sarebbero voluti degli specialisti, quelli che riescono a entrare nelle banche e a portarsi via la cassaforte.

Avevano già provato a fare il lavoro con una mazza, rompevano un pannello di cemento del box, entravano, controllavano e si rendevano conto che il lavoro da fare richiedeva un’attrezzatura specifica. Ogni volta con l'impresa edile rimettevo il pannello senza mai innervosirmi. Per natura amo la sfida e per me c’è sempre uno che vince e l'altro che perde.

Era inverno. Arrivo nel pomeriggio e vedo non un pannello rotto ma quasi l’intera parete. Il loro obiettivo era sicuramente quello di imbracare la cassaforte con un camion con la gru e portare via tutto. La prima cosa che avevo pensato a fare, nella costruzione della stalla blindata, era l'ancoraggio sul pavimento con quattro tiranti annegati nel cemento. Il risultato fu che ‘loro’ avevano perso. La stalla presa a mazzate da tutte le parti, totalmente deformata, ma Natalina stava li ad aspettarmi.

 

Ci sono tante cose da raccontare sul rapporto tra me e Natalina. Un lungo periodo di vita insieme anche se per poche ore al giorno.

Per motivi personali rimango da solo nella casa di Grottaferrata, pertanto mi viene a mancare il tempo da dedicare a Natalina. Decido di portarla a Ciampino nel terreno del mio amico Carlo, che se ne sarebbe occupato curandone l’alimentazione, mentre io avrei provveduto alla parte economica. Per parecchio tempo andai a vedere Natalina dall'esterno, senza poter giocare con lei come avevamo fatto per tanto tempo.

Col passare dei mesi mi accorsi che Natalina non era più bella, pulita, non era più gioiosa. Era triste, viveva da sola. Decisi di portarla in un centro ippico ma chiedevano un milione al mese e non potevo permettermelo. Per un certo periodo la portai in via Pirzio Biroli a Ciampino, in un capannone di mia proprietà, ma anche lì stava sempre sola, in un piccolo recinto all'interno del locale.

Le mie giornate erano faticose, sovraccariche di lavoro. Si aggiunse un mal di schiena che richiese terapie e riabilitazione in palestra. In sostanza, mi trovai nell’impossibilità di tenere e curare Natalina.

Un giorno percorrendo la strada che collega l’Appia Nuova all’Appia Antica, vedo in un terreno tanti cavalli. Chiedo di parlare con un responsabile. Gli spiegai tutto e lui disse che era interessato a vedere la cavallina e dopo averla vista disse che era interessato all'acquisto. Chiesi qualche giorno per pensarci e lui acconsentì. Dopo poche ore decisi di dargliela, ma con l’accordo che volevo vederla.

Il compenso non m’interessava, volevo e chiedevo di tenerla bene, e dissi chiaramente al responsabile che volevo vederla spesso. Lui acconsentì a tutte le mie richieste. Il compenso fu di settecentomila lire. Pari importo l’avevo speso in un centro ippico ad Ardea, che aveva tenuto Natalina per una quindicina di giorni.

Partiamo un giorno io e l’interessato con un furgone attrezzato verso Ardea. Potevo dire a lui di ritirarla, ma decisi di andare perché m’interessava che tutto andasse bene, come avevo fatto sempre da quando mi presi l'incarico di Natalina.

Andò tutto bene, la sera a casa rifeci il percorso con il pensiero. E risultò che non potevo fare diversamente. Mi prese un po’ di sconforto, eravamo stati insieme sei anni. D’altra parte mi sentivo alleggerito di un lavoro che avevo portato avanti per tanto tempo.

Passano pochi giorni, vado al recinto dei cavalli, vedo Natalina che mangiava l'erba, la chiamo, lei alza la testa e corre verso di me, non potevamo toccarci come avevamo fatto per tanto tempo perché la rete metallica ci divideva, però il bel rapporto tra noi c'era ancora. Lei faceva dei piccoli nitriti intanto che io le parlavo, stemmo insieme per un po’, poi mi allontanai lentamente costeggiando la rete, non volevo che mi vedesse andare via in macchina.

Ci furono una decina di questi incontri, e notai che Natalina si stava ambientando. Lì c'erano altri cavalli, era un posto più naturale per lei. Questa nuova sistemazione a me piaceva, quando la andavo a trovare il distacco tra noi era sereno, andavo via tranquillo e lei si allontanava reinserendosi subito nel piccolo branco di cavalli.

 

Un giorno vado al recinto e non vedo Natalina. Il proprietario non c'era, lo contattai per telefono e mi disse che quando non la vedevo, Natalina stava ai giardini pubblici con il carretto per i giochi dei bambini. Per parecchie volte non trovai Natalina, non riuscivo più a vederla. Dopo aver fissato un appuntamento, riuscii a parlare con la persona che si era presa l’incarico di occuparsi di Natalina, la quale mi disse che l'aveva consegnata ad un suo amico, e che dovevo stare tranquillo perché Natalina stava bene, proprio come lui aveva garantito, ma che la distanza era tanta per poterla andare a trovare.

Andai a casa preoccupato e non riuscivo a capire che cosa potessi fare. Passano così due settimane. Nella mia mente c'era il dubbio su questo “stare bene” di Natalina e mi sentivo responsabile della situazione. Un giorno parlai con un mio amico di Capannelle e gli raccontai il fatto. Gli dissi che non sapevo come fare e lui mi consigliò di affrontare quella persona e di farmi spiegare come stessero effettivamente le cose. Fisso un appuntamento e c’incontriamo nel suo terreno, io ero particolarmente arrabbiato. Lui credo fosse già preparato e quando gli dissi che volevo assolutamente rivedere Natalina, sorrise e mi mise una mano sulla spalla. Mi disse che era impossibile vederla, perché stava molto lontano, e aggiunse che riposava su un letto tutto rosa dove aveva trovato il posto più bello della sua vita.

Io non reagii in alcun modo, forse avevo capito che non c'era più niente da fare.

Sono passati tanti anni. D’allora mi sento in colpa e credo che tutto questo mi rimarrà nella mente per sempre. Era mio dovere proteggere Natalina, mi dispiace, non ci sono riuscito.

 

Maria Lanciotti

 

 

* Storia vera estrapolata da un lungo racconto fatto all’autrice da Augusto L., noto imprenditore del Lazio.


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