A Firenze nel contesto dell’85ª edizione di Pitti Uomo si sono aperte a Villa Bardini e al Museo Stefano Bardini, fino al 16 marzo 2014 (catalogo Edizioni Polistampa) due sezioni della mostra Aldo Fallai. Da Giorgio Armani al Rinascimento. Fotografie dal 1978 al 2013 curata degli storici dell’arte Martina Corgnati e Carlo Sisi, già direttore della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, con Luigi Savioli, ideatore e organizzatore dell’evento.
Siamo nei primi anni Settanta quando Aldo Fallai, come per scherzo, prende in mano per la prima volta una macchina fotografica per rivolgere l’obiettivo verso una modella che indossa un abito firmato Armani. Gli esordi dell’epoca del Made in Italy, come noto, legati ad alcuni giovani stilisti, geniali e coraggiosi. Armani, Versace, Coveri, Ferrè, Krizia, Valentino sfuggono alle leggi elitarie e asfittiche della houte couture e ribaltano l’antico predominio francese imponendo uno stile inedito, moderno, legato però alla grande tradizione d’arte e di gusto del paese. Il tailleur sobrio e maschile che, d’improvviso, rappresenta la donna Armani, ma anche il suo classicismo e il suo stile elegante si impongono al mondo intero come segno tipicamente italiano. Fallai racconta tutto questo come nessun altro: mitiche le sue immagini in bianco e nero di donne bellissime, dallo sguardo deciso e netto, tacco basso, pantalone morbido in seta, guanti di velluto. Figure seducenti, ma protagoniste della propria vita e delle proprie decisioni. L’artista usa modelle e attrici, anche le più ammirate e celebri, con naturalezza. Trasforma l’abito in immagine, la moda in storia del gusto. Le sue foto descrivono l’essenza di un’epoca, il trionfo delle case di moda italiane. L’antologia delle immagini che, in questa mostra, ripercorre la biografia artistica di Aldo Fallai giunge a proposito non soltanto per dare evidenza al lavoro di un protagonista del nostro tempo, ma anche per verificare l’immenso scarto che si percepisce fra il messaggio concettuale e formale dei modelli fissati da un obbiettivo colto e pensoso e quello trasmesso oggi da repertori di fotografie per lo più convenzionali e ripetitivi. Le fotografie di Fallai offrono invece orizzonti molteplici alla lettura del costume e della bellezza, dal momento che opera sul modello per ricavarne spunti ora formali, ora introspettivi, ora capaci di suggerire analogie con le inesauribili risorse della nostra cultura figurativa.
Sembrano parlarci, i ritratti di Aldo Fallai. La perfezione formale, la plasticità delle pose, la nitidezza delle sfumature, la profondità degli sguardi e la sensualità che traspare dai corpi ci rendono foto non solo superbe dal punto di vista stilistico, ma anche capaci di emozionarci, di attrarci, di indurci a rispecchiare noi stessi in loro. Lo studio della posa, la sollecitazione dei sentimenti, la cadenza stessa degli abiti in quiete e in movimento si manifestano quale risultato di un progetto formato sullo studio e sull’esperienza militante dell’arte, per cui risulta naturale collocare l’opera di Fallai entro la nobile filiera alimentata dai cruciali dibattiti che, già nel XIX secolo, davano rilevanza alla questione del modello in posa e, più in generale, all’impegno posto dall’artista nel mediare la banalità del reale. Erede del Novecento, Fallai non è dunque estraneo alla “cultura della Biblioteca” e alla “cultura del Museo” che per primi i metafisici accamparono sull’inammissibile varietà del reale la sola possibile via capace di attenuare ogni barlume di vita corrente nelle raffigurazioni, per rivestirle d’un aspetto severo e ineffabile: processo di poetica alterazione del dato naturale che avveniva appunto per via di citazioni, di traslati formali e concettuali basati in special modo sullo studio antico e dei maestri, reinterpretati alla luce dello spaesamento e dell’ironia. Non a caso, alla ricerca di un inquieta miscela di forma e dato reale la pittura di Caravaggio avrebbe fornito nel tempo risposte significative, dai ‘calchi’ cinematografici di Pier Paolo Pasolini ai secentismi ombrosi nelle opere di Carlo Maria Mariani. Pensieri, questi scaturiti spontaneamente in margine alla bellissima sequenza delle fotografie di Fallai che del corpo e delle sue molteplici espressioni danno interpretazioni variate, ma tutte, sembrano, riconducibili al vigile governo della composizione, al controllo dei sentimenti, al fuoco sotto le analogie della bellezza: immagini vitali d’una storia trascorsa e attuale nello stesso tempo, per questione di forma. Resta certamente il fatto che Fallai è libero di alternare esperienze rivolgendosi ad antichi maestri come Pontormo, Vermer, Antonello da Messina o Leonardo da Vinci a lui più prossimi di quanto non gli sia necessariamente un qualunque contemporaneo. Si sente libero di alternare esperienze come, veri e propri set teatrali allestiti con cura maniacale ma anche con immensa ironia, a impeccabili campagne dove torna a primeggiare il vestito e, ultimamente, il viso.
Fallai resta un grande ritrattista, come dimostrano le campagne degli ultimi anni realizzate per l’Istituto Marangoni, la prima e fra le più importanti scuole di moda in Italia, oggi dilatata in diverse filiali sparse fra l’Europa e Cina. L’artista ha incontrato e fotografato allievi collocando i loro volti in composizioni di formato quadrato, molto ravvicinate, che ne lasciano primeggiare l’espressione degli occhi, lo sguardo isolato dal corpo. Il taglio di queste immagini, tutte molto simili e tutte dello stesso formato, ricorda quello inventato da Antonello da Messina nella seconda metà del Quattrocento, dove il corpo del soggetto è sapientemente “tagliato” dal parapetto e posto in uno spazio suo, ma in dialettica relazione con noi.
Maria Paola Forlani