Più di duecentocinquantamila americani contro Barack Obama. Sono quanti hanno già firmato la class action che il senatore del Kentucky Rand Paul – uno degli esponenti più libertari del Partito Repubblicano – ha in programma di presentare contro l’attuale amministrazione della Casa Bianca. Il motivo? La Nsa, l’agenzia per la sorveglianza nazionale che dall’Undici settembre spia, senza troppi imbarazzi, americani e non.
I liberal d’oltreoceano hanno sempre mal accettato le misure di restrizione della libertà individuale dettate dalle esigenze di sicurezza ma, evidentemente, ora non sono disposti a tollerarle oltre. «Tutti quelli che hanno un cellulare in America dovrebbero unirsi a questa nostra denuncia», ha detto Rand Paul pochi giorni fa nel corso della trasmissione “Hannity” in onda sulla Fox News dove ha presentato la proposta.
Paul ha lamentato la violazione da parte dei poteri forti di Washington del quarto emendamento, quello che garantisce il rispetto alla riservatezza. «Vogliamo difenderci», ha dichiarato il senatore che ha fatto delle libertà civili in tempo di legislazione antiterroristica un vero e proprio cavallo di battaglia, «ma questo non deve tradursi nella rinuncia alla privacy da parte di tutti gli americani: noi non siamo disposti a cambiare la nostra libertà per la sicurezza».
Il tema è all’ordine del giorno negli Stati Uniti: è talmente dibattuto che sulla legalità dei sistemi usati dalla Nsa diverse corti americane si sono contraddette tra loro. Dopo il Datagate sollevato da Edward Snowden l’estate scorsa, la prima sconfitta in tribunale per le intercettazioni senza mandato è arrivata a dicembre 2013, quando un giudice federale del Distretto di Columbia ha definito il programma di spionaggio statunitense una «tecnologia quasi orwelliana». Di contro, solo pochi giorni dopo,un altro togato a stelle e strisce ha parlato di un «necessario prolungamento delle misure antiterroristiche» adottate con l’attentato alle Twin Towers del 2001.
Lo scontro, a ben vedere, rischia di finire davanti alla Corte Suprema. Almeno nelle intenzioni di Rand Paul che non si darà per vinto tanto facilmente. «Vogliamo sopraffare il governo», ha detto. «Gli americani si oppongono a questo programma che si appropria dei nostri dati senza chiederci il permesso».
Centinaia di migliaia di persone, infatti,vengono spiate negli Stati Uniti grazie a un’interpretazione troppo estensiva della sezione 215 del Patriot Act. Almeno questi sono i numeri dell’ultimo rapporto dell’Aclu, l’organizzazione americana non governativa che difende i diritti e le libertà civili e che, già l’anno scorso, aveva sottolineato come con l’amministrazione Obama, lungi dal diminuire, le intercettazioni senza mandato erano triplicate rispetto all’era Bush.
E forse non è un caso se Rand Paul si è sempre mostrato sprezzante di fronte all’impegno tanto sbandierato (e mai concretizzato) di Obama di rivedere l’Nsa e le sue “abitudini” di spionaggio. Il senatore del Kentucky si è sempre detto preoccupato che la Casa Bianca risulti dannosa alla riforma: «Deve essere decisa dalla Corte Suprema, non è compito di Obama». Ora, però, sembra arrivato il momento.
Claudia Osmetti