A cosa può servire una interminabile crisi? Può servire forse a farci riprendere il discorso intorno alle ingiustizie, alle disuguaglianze sociali, all'oppressione che i ricchi e i potenti esercitano sui poveri e sui diseredati. Questo discorso, inopinatamente interrotto negli ultimi decenni nella nostra società abbagliata da un illusorio benessere, sta tornando attuale in Italia e in Europa, dove milioni di giovani e meno giovani hanno perso il lavoro e la speranza e vedono ormai, per dirlo con le parole di Leopardi, “il dì futuro del dì presente più noioso e tetro”.
Può servire a ricordarci che eravamo poveri fino a ieri. Forse ci stavamo dimenticando di quanti italiani, in un passato neanche troppo lontano, hanno dovuto emigrare per sopravvivere, andandosene con poche cose stipate nei bauli e nelle valigie. Ci stavamo dimenticando dei treni carichi di emigranti diretti verso la Germania e il Belgio, la Svizzera e la Francia. O delle navi dirette verso l'America. Forse è tornato il momento di riflettere e di riallacciare il filo della memoria a un passato che, nonostante tutto, ancora ci incalza da vicino.
Che cosa ci insegna ancora questa crisi? Che non possiamo dare nulla per scontato, che nessuna conquista è per sempre, che, mentre si sale verso l'alto, incombe sempre il pericolo di un rovinoso capitombolo. Così da un anno all'altro, ci siamo trovati con milioni di disoccupati e migliaia di aziende, fino a ieri produttive e fiorenti, costrette a licenziare e a chiudere. In Italia un gran numero di lavoratori ha visto il traguardo della sospirata pensione allontanarsi fino ad apparire un miraggio. Alcuni, e questo è veramente vergognoso, si sono trovati senza lavoro e senza pensione.
Intanto decine di migliaia di disperati provenienti dal sud del mondo sono arrivati e continuano ad arrivare nel nostro paese dove, crisi o non crisi, sperano di trovare qualcosa di meglio di quanto hanno lasciato alle spalle. Pertanto il discorso, già complesso e difficile per i nostri problemi, deve necessariamente allargarsi ad altre situazioni, altri popoli, altre terre. Non possiamo far finta di niente di fronte a quanto sta avvenendo. Giustamente, doverosamente direi, il governo italiano ha chiesto l'aiuto dell'Europa per fronteggiare questo grave problema dell'immigrazione, reso ancor più drammatico dalle tragedie che continuano a verificarsi nel Mediterraneo. Oltre alla crisi che investe ormai la quasi totalità dei paesi dell'Unione Europea, i governi si trovano a dover fronteggiare un'emergenza, non soltanto umanitaria, di enormi proporzioni.
Bisogna rimboccarsi le maniche. I giovani sono chiamati a risvegliarsi dal torpore nel quale sembrano vivere, a far rinascere dentro di loro la voglia di fare qualcosa, la stessa voglia che animò le giovani generazioni degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, quando i ragazzi di allora pensarono davvero di poter cambiare il mondo. Anche grazie ai movimenti giovanili, in quegli anni la società di rinnovò, la cultura rifiorì, nuovi diritti furono acquisiti nel campo della scuola, del lavoro, della famiglia. Si aprirono nuovi e impensati spazi di liberà. Certo, ci furono esagerazioni ed errori. Qualcuno scambiò la libertà con la licenza. Altri scelsero la scorciatoia dell'individualismo e dell'egoismo. Ma il messaggio di speranza gettato nel mare della società continuò la sua navigazione. Figure mitiche di personaggi sia pure assai diversi tra loro continuarono ad esercitare un irresistibile fascino sull'animo dei giovani. Ripeto, non furono tutte rose e fiori. Il processo di rinnovamento, già rallentato da una sub-cultura deviante, andò a infrangersi contro il muro cieco e insanguinato del terrorismo. Il motore del progresso civile e sociale rallentò i suoi giri fino a fermarsi. Gli ultimi decenni, al di là della diffusione (o dell'invasione) informatica, non hanno prodotto grandi cose nella società italiana ed europea. La stessa caduta del muro di Berlino (1989) non ha mantenuto tutte le promesse delle quali era portatrice. Abbiamo un po' tutti tirato a campare, cullandoci nell'illusione delle nostre “magnifiche sorti e progressive”. In Italia, spargitori di loto televisivo, pifferai e imbonitori di ogni risma si sono attivati per offuscare le menti e addormentare le coscienze, proponendo disvalori e modelli negativi. Adesso questa crisi devastante ci costringe ad aprire gli occhi e a invertire la marcia. Ciarlatani e incantatori di serpenti non devono più trovare spazio in una società che ha bisogno di rinnovarsi dalle fondamenta. La crisi, grave e profonda (“strutturale” la definiscono i saccenti), chiama ognuno di noi a uno sforzo superiore, necessario a trovare una via d'uscita dalla palude e a ridare speranza alle nuove generazioni. Ci sono tante cose da fare, tante storture da correggere, non solo in Italia. Basti pensare alla scandalosa povertà di paesi ricchissimi di materie prime che vedono le loro risorse saccheggiate da predoni famelici, senza nulla ricevere in cambio. Basti pensare a paesi oppressi da dittatori tanto ladri quanto incapaci, che gestiscono la cosa pubblica come proprietà personale, sempre pronti oltretutto a calare il pugno di ferro contro chi osa opporsi o soltanto denunciare le prepotenze e gli abusi. Io penso che il mondo sia diventato ormai troppo piccolo perché si possano tollerare tante soperchierie. Occorre rafforzare gli organismi internazionali, a cominciare dall'ONU, e dotarli di strumenti operativi che possano mettere un freno ai prepotenti e sostengano invece chi combatte per la verità e per la giustizia.
Ma non voglio allargare troppo il discorso. Ci penserà, spero, qualcun altro ad ammonire e a correggere. Non mancano del resto donne e uomini illuminati che lo possono fare. Allora torno più umilmente al nostro orticello, alla nostra Italia sempre più in balìa di questa crisi che sta accelerando l'emigrazione dei giovani migliori, che costringe troppi imprenditori ad andarsene da un paese frenato da una burocrazia farraginosa, dalla mancanza di infrastrutture, da una giustizia civile e amministrativa del tutto inefficiente. Ma nello stesso tempo questa crisi ci mostra in tutta evidenza altre italiche lacune, ad esempio una scuola che, specialmente ai livelli superiori, è chiaramente inadeguata alle sfide dei tempi o una politica nella quale troppo spesso emergono i peggiori (chiudete gli occhi e pensate a un nome, uno qualunque), ecc.
E la cultura? Direbbe Dante: “...E qui comincian le dolenti note...”. Venti anni di degrado della politica, insieme ad altrettanti anni di pinzillacchere televisive, di grida di mercanti in fiera, di demi-vierges disposte a tutto per affermarsi, oltre ad aver ridotto all'angolo i valori morali e civili, hanno soffocato la nostra tradizione culturale. In Italia non c'è più cinema, non c'è più teatro, non c'è più letteratura, non c'è più poesia. Rendiamoci finalmente conto di come stiamo. Personaggi illustri, che onorano il nome dell'Italia nel mondo (nonostante tutto ce n'è ancora qualcuno), vengono denigrati e messi alla berlina soltanto perché, pensate, nominati senatori a vita. Non importa se si chiamano Renzo Piano, Claudio Abbado, Carlo Rubbia, Elena Cattaneo o Rita Levi Montalcini. Non importa che siano conosciuti e stimati nel mondo intero. Non conta che da soli riescano a salvare quel che si può salvare dell'immagine dell'Italia, né che sappiano proporsi come esempi per i giovani del nostro tempo. Costano troppo allo stato, ripetono in coro scribacchini prezzolati e pappagalli televisivi. Corruttori e corrotti della peggior specie sono i primi a mostrarsi indignati per tali nomine e levano alti i loro striduli lamenti. Possiamo accettare tutto questo? Io penso di no. Penso invece che dobbiamo recuperare il valore politico e sociale della cultura dopo che quest'epoca semibarbara ha scavato gallerie oscure nella nostra coscienza. E nel contempo dobbiamo tornare a riconoscere il valore della solidarietà, della semplicità di vita, della coesione sociale. Anche a questo può servire una interminabile crisi.
Gino Songini
(da 'l Gazetin, novembre 2013)