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Gordiano Lupi. Sinfonia d’autunno (1978) di Ingmar Bergman
28 Dicembre 2013
 

Titolo Originale: Herbstsonate/ Höstsonaten (Sonate d’autunno). Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist. Montaggio: Sylvia Ingemarsson. Scenografia: Anna Asp. Costumi: Inger Pehrsson. Trucco: Cecilia Drott. Musica: brani da Preludium n. 2 in A minore di Fredrik Chopin eseguita da Käbi Laretei, Suite n. 4 in E maggiore di Joahnn Sebastian Bach eseguita da Claude Genetay, Sonata in F maggiore Opus 1 di G. F. Händel eseguita da Frans Bruggen, Gustav Leonardt, Anne Bylsmå. Suono: Owe Svensson. Produzione. Ingmar Bergman (non accreditato) per Svenski Filmindustri, Katinka Faragó per Personafilm. Distribuzione italiana: Difilm. Riprese: 20 settembre - 30 ottobre 1977. Locationes: Molde, Norvegia, Norsk Film Studios, Oslo). Prima proiezione: 8 ottobre 1978 (Spegeln, Stoccolma). Durata: 93'. Origine: Germania - Svezia, 1978.

Interpreti: Ingrid Bergman (Charlotte), Liv Ullmann (Eva), Lena Nyman (Helena), Halvar Björk (Viktor), Arne Bang-Hansen (zio Otto), Gunnar Björnstrand (Paul), Erland Josephson (Josef), George Løkkeberg (Leonardo), Linn Ullmann (Eva bambina), Knut Wigert, Eva von Hanno, Marianne Aminoff (segretaria di Charlotte), Mimi Pollak (insegnante di piano).

 

Ingmar Bergman scrive Sinfonia d’autunno pensando a un film che metta in primo piano una madre e una figlia, senza una sceneggiatura, con la sola idea di tre luci diverse all’interno delle quali si muovono le protagoniste: giorno, notte e mattino. Doveva essere un film onirico, in tre movimenti come in una sonata, senza una storia vera e propria, senza spiegazioni. In realtà il risultato è ben diverso – Bergman non ne è mai stato molto soddisfatto – perché si tratta di un film dotato di una solida base narrativa che analizza nei minimi particolari il rapporto madre - figlia. «Sono andato contro la mia primitiva intuizione, forse perché in un film c’è bisogno di una base molto solida», ha confessato il regista a Olivier Assayas (Conversazione con Ingmar Bergman, Lindau, Torino, 1994). La narrazione diventa tradizionale, anche se dotata di molti elementi originali. Eva si è sposata in seconde nozze con il pastore Viktor, vive in una canonica di campagna che si affaccia sul lago, il marito presenta il personaggio femminile al pubblico parlando davanti alla macchina da presa, ricordando il passato e spiegando il loro amore. Eva e Viktor portano in cuore il tremendo dolore della perdita del figlio di quattro anni, affogato nel lago, la cameretta del bambino è conservata come un tempo perché la madre crede di poter comunicare con il suo mondo parallelo. Eva si occupa della sorella Helena, vittima di una malattia degenerativa di origine nervosa, che le procura gravi difficoltà nel parlare e quasi totale impossibilità di movimento. In questa problematica familiare arriva la madre Charlotte, una donna determinata, pianista in carriera, che ha sempre tenuto le figlie in una situazione di sottomissione, addirittura abbandonando Helena, perché malata. Una breve visita di pochi giorni fa scoppiare tutti i contrasti repressi tra Eva e Charlotte, che finiscono per rinfacciarsi le mancanze d’una vita intera, dalle assenze familiari fino al primo figlio abortito, passando per un rapporto d’amore inesistente. Bergman utilizza il flashback e la dissolvenza per narrare il passato, lo fa con crudezza, senza sentimentalismi, approfondendo i caratteri delle protagoniste. Ingrid Bergman, malata e dotata di un carattere poco malleabile, litiga molto con il regista, ma è bravissima, al punto che lo stesso Ingmar riconosce: «Ingrid è sposata con la telecamera e la telecamera ama Ingrid». Il suo ruolo non è facile, deve prestare volto e anima a una madre padrona, egoista, intollerante, frenetica, presa soltanto da se stessa, una madre fallita ma una pianista di successo. Liv Ullmann non è meno brava nei panni della figlia Eva, succube e sottomessa, ma decisa a gettare in faccia alla madre la sua verità. Un film molto teatrale, quasi tutto girato in interni, con poche scene sul lago e alcuni esterni ripresi tra Finlandia (Molde) e Norvegia (Oslo). Il tono è poetico-drammatico, “un film alla Bergman”, come dicevano i critici e come il regista non voleva sentirsi dire, perché odiava “fare i film alla Bergman”. Molti temi che riscontriamo in tutta la sua opera tornano con prepotenza ma non sono in primo piano: l’incomunicabilità tra moglie e marito, più in generale tra uomo e donna, la difficoltà di far capire il bene che proviamo per una persona, il rapporto di coppia, persino la religione, perché il marito – tanto per cambiare – è un pastore dotato di poca fede. La malattia è un altro tema che fa capolino grazie alla figura del compagno della madre, Leonardo, agonizzante in un letto d’ospedale, ma anche con la sorella Helena, vittima d’una malattia degenerativa. Sono bravi sia Georg Løkkeberg che Lena Nyman a interpretare due non facili ruoli. Perfetto anche Halvar Björk nei panni del marito, anche se in secondo piano, ma credibile quando si rivolge al pubblico e funge da voce narrante. Alla base della pellicola resta, comunque, il rapporto madre - figlia: “non si finisce mai d’essere una madre e una figlia”, “è assolutamente necessario imparare a vivere”, sono alcune delle frasi che restano impresse di un testo altamente poetico, ma anche gli sguardi e le espressioni delle protagoniste dipingono un quadro straordinario. La madre logorroica ed ebbra di egoismo, al tempo stesso tormentata da dubbi e dolore comunica sentimenti con gli occhi, grazie alla bravura di Ingrid Bergman. La figlia remissiva ha l’espressione affranta e gli occhi azzurri di una fantastica Liv Ullmann, calata in una delle sue migliori interpretazioni. “Volevo essere come tu mi volevi”, dice alla madre nel corso del litigio notturno, ma non serviva provarci, aveva davanti un esempio irraggiungibile, persino nello studio del pianoforte. Il rapporto genitore - figlio è molto freudiano, da fine anni Settanta, quando andava un po’ di moda spiegare tutto con il vissuto adolescenziale. Bergman dipinge bene il ritratto di una madre che ha sempre deciso per la figlia, persino plagiandola, anche se ha vissuto solo per la sua realizzazione personale. “Le delusioni della madre ricadono tutte sulla figlia”, “Sconfiggere la figlia è il piacere segreto della madre”, dice la remissiva Eva, affranta dal dolore. La madre è colpevole di aver distrutto psicologicamente la figlia Helena, innamorata non corrisposta del suo compagno, quel Leonardo accudito in fin di vita, che ha lasciato a Charlotte un immenso patrimonio.

Bergman costruisce un dramma familiare basato su due personaggi complessi e ben tratteggiati, che danno vita a un breve scontro dialettico, una parentesi della durata di pochi giorni, per poi tornare alle vecchie esistenze. Bella la citazione bergmaniana che vede Liv Ullmann leggere una lettera alla madre davanti alla macchina da presa, come aveva fatto in Luci d’inverno. La madre rientra nel suo mondo e pensa ai concerti, mentre la figlia resta in riva al lago, davanti alla tomba del figlio e sussurra: “Volerci bene, solo questo conta. Non può essere troppo tardi”. Ingmar Bergman conclude la pellicola alternando la macchina da presa sui tre volti protagonisti, inserendo un marito innamorato che tenta di rendere più dolce il presente di Eva.

Il titolo italiano Sinfonia d’autunno fu voluto dal distributore, che modificò il più consono – ma meno efficace – Sonata d’autunno. Un film che Ingmar Bergman considerava minore e irrisolto, ma che visto con occhi da spettatore entusiasta risulta uno dei più espliciti ed efficaci del Maestro svedese. Non fosse altro per la presenza insolita di Ingrid Bergman, una vera e propria star estranea al solito giro di attori, alla factory bergmaniana. Ogni volta che Bergman inserisce un attore che non ha niente a che fare con il suo mondo finisce per litigarci e per restare poco soddisfatto del film, come ne L’adultera (1971) – con Elliott Gould – e ne L’uovo del serpente (1977), con David Carradine. In ogni caso la stima tra i due Bergman è profonda, anche se l’attrice vorrebbe modificare la sceneggiatura e rendere il film meno triste e noioso. Ingmar Bergman non permetterà che nessuno metta le mani sulla sua opera, a costo di furiosi litigi. Ingrid Bergman è molto malata, afflitta da problemi personali, ma recita con professionalità il penultimo ruolo della sua carriera.

Sinfonia d’autunno non soddisfa in pieno Morando Morandini che concede soltanto due stelle e mezzo:«Sonata non sinfonica, ma incompiuta. Nonostante la bravura delle due interpreti, intorno allo straziante nucleo centrale il contesto è approssimativo e lacunoso. C’è forse più astuzia drammatica che vera ispirazione, con il sospetto di un manierismo d’alta scuola». Non condivisibile il fatto che la figlia sia affetta dal complesso di Elettra, a nostro parere si tratta di un rapporto difficile tra una madre assente e una figlia sensibile. Pino Farinotti, al contrario, concede quattro stelle con lode, ma non motiva la scelta. Paolo Mereghetti conferma le due stelle e mezzo, confermando che si è trovato davanti a un Bergman poco ispirato e troppo programmatico. Non condividiamo. Quando guardiamo un film del Maestro svedese è sempre il caso di gridare al capolavoro.

 

Gordiano Lupi


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