e tutto revè ‘n cima co nu fiottu
rusciu, comme nu fócu.
(e tutto risale con un fiotto / rosso, come un fuoco)
Il dialetto, quando è lingua della memoria, diviene ponte tra presente e passato e testimone di un mondo antropologico scomparso; il tempo può sfumarne i contorni, come attraverso una lente, ma questo è proprio dei meccanismi della memoria che nel tempo diviene selettiva e deformante.
Insieme ad altri temi, è soprattutto il mondo dei ricordi, declinati in varie modulazioni, a dominare in Giracéo, la prima raccolta in dialetto della poetessa Maria Lanciotti, nata a Roma, ma cresciuta sin dall’infanzia tra i suoni del dialetto di Subiaco, dove da bambina si recava a trascorrere l’estate, vivendo immersa nella lingua e nelle tradizioni locali che non ha mai dimenticato. Ora Maria Lanciotti vive a Velletri e di Subiaco, pregevole borgo medievale dell’alta Valle dell’Aniene, dice lei stessa: «Subbjacumeo me lo porto nella voce insistente del fiume, nel frusciare morbido dei pioppi, nel suono delle campane e delle fisarmoniche nei giorni di festa. Torno spesso a Subiaco e ritrovo sempre quel che cerco, la memoria lucidissima di un tempo lontano e presente di affetti mai dimenticati».
Il microcosmo arcaico raccontato dalla Lanciotti è un mondo ormai mitico in frizione con gli stili di vita legati alla modernità; anche il fiume, ad esempio, è costretto a fare i conti con nuove realtà ambientali e può esserci chi, solo per avere mutato residenza, non vuole o non sa più ricordare nemmeno le vecchie parole, in un tempo di consumi rapidi, in cui anche parole e ricordi finiscono al macero (Mo uno se more / e fau piazza pulita: Adesso uno muore e fanno piazza pulita).
Quando si parla di ricordi e non si è più nella verde età, può capitare che il passato revè ‘n cima co nu fiottu / rusciu, comme nu fócu (risale con un fiotto / rosso, come un fuoco) e a volte comme / nu tiru ‘e fiógna / ca t’accóglie agliu petto (come / un tiro di fionda / che ti colpisce al petto). Così accade nella lirica “Lùccica” in cui attraverso immagini a tratti surreali si disegna la storia di una sposa che si è fatta vecchia.
Dal passato tornano figure ben disegnate, come quella struggente di Maria Trucchione, quasi uno Spoon River, che racconta la sua storia intrisa di amore e di guerra, o quella della barbona, testimone della miseria del nostro tempo, che culla negli stracci un antico sogno di madre.
Ci sono i luoghi del paese, alcuni diruti, un tempo forse luoghi di incontri d’amore e resta vivo nel ricordo il cicaleccio di vicoli stretti che ricorda le fatiche di un tempo, quando ‘gni spica ‘e ranu era n’avemmaria ‘e no rosariu / ca no scorta mmai (ogni spiga di grano / era un’avemaria / di un rosario / che non finiva mai).
Ma nella raccolta della Lanciotti ci sono anche altri temi e altri registri. C’è, ad esempio, il minimalismo della vita quotidiana assaporata nelle piccole cose (Ju sfriju ‘e ll’óglio / ‘ntremente j’agliu frìe / e ci jitti cicoria / e ramoracce: Lo strepito dell’olio / mentre l’aglio frigge / e ci metti cicoria / e ramolacce). C’è l’amore, a volte parco nelle sue manifestazioni, ma che sa tuttavia palesarsi attraverso piccoli gesti o la condivisione di piccoli gesti.
Dell’Autrice si ricava il ritratto di una donna decisa: Tengo na léngua / ca ‘n se sta mmai ferma (Ho una lingua / che non sa stare mai ferma), che, anche quando le ossa si fanno fragili e la pelle si aggrinzisce, porta dentro di sé uno spirito rivoluzionario che te fa nova ssa vita (che ti rinnova la vita), un po’ come un fragile germoglio che prende fiato e si ostina ad arrampicarsi.
Nel fondo trapela la consapevolezza dell’inesorabile avvicendarsi di tempi e situazioni: S’ha da recommenzà / chella fatica / ca se scórte / scórte puru la vita ( Si deve ricominciare / quella fatica / che se finisce / muore anche la vita); si veda la breve lirica “Nu recami ‘e vita” dove recita: ju céo, nu / lenzóio ‘e spósa, / nu recamo ‘e vita / refinitu e sempre ancora / d’areccommenzà (il cielo un lenzuolo da sposa / un ricamo di vita / rifinito / e sempre ancora / da ricominciare).
C’è infine l’attenzione al paesaggio, ai colori, ai profumi, ai rumori della terra, in una rappresentazione materica dei luoghi e sempre carica di forti emozioni, come in “Mimosa”: adda comm’è bella / ‘lla mimosa / ca s’orobba ju sole, ca sventaglia òro / e addóre / de primavera (oddio com’è bella / la mimosa / che ruba il sole, / che sparge oro / e sentore / di primavera)
Maria Lanciotti, Giracéo (Capogiro)
Poesie in dialetto sublacense
Edizioni Cofine, Roma 2013, pp. 48, € 10