A Milano, per il sesto anno consecutivo, Eni fa un regalo d’eccezione alla città lombarda e ai suoi abitanti. Con il Comune di Milano e i Musei Vaticani continua la tradizione di esporre un unico capolavoro, gratuitamente, a Palazzo Marino.
Dopo l’apprezzamento riscosso da Amore e Psiche, che nel 2012 è stata la mostra più visitata d’Italia, quest’anno fino al 12 gennaio 2014, è possibile ammirare la Madonna di Foligno di Raffaello, per la prima volta a Milano dei Musei Vaticani.
Fu breve la vita di Raffaello da Urbino – breve come quella di Mozart, cui per tanti versi la sua arte assomiglia – eppure sufficiente a creare paradigmi e leggende che, se ne hanno attestato la gloria indiscussa, ne hanno forse allontanato la comprensione. “Divino”, “sublime”, gli aggettivi d’uso per definire lo stile e la persona stessa, tutti di origine vasariana, hanno finito per raggelare l’approccio e la comunicazione con l’opera di uno dei massimi artisti di tutta la storia dell’arte da parte del più vasto pubblico, che in Raffaello non trova immediatamente il riflesso della tribolazione esistenziale, il furore romantico, le lacerazioni linguistiche e sentimentali che una cattiva letteratura tende ad attribuire al genio e alle sue manifestazioni.
In Raffaello tutto è calma, armonia, euritmia, simmetria, ordine perfetto e imperturbabile: in tal senso la sua opera può essere definita “Summa del mondo dell’Umanesimo e del Rinascimento”.
Quello che si dimentica, o che si trascura, è però il fatto che tale “summa” viene creata e raggiunta nel fuoco della storia, nel cuore degli avvenimenti e dei pensieri di un brevissimo arco di anni, e che ne è autore un giovane cui è toccato di misurarsi e in parte convivere, con due ingombranti giganti come Leonardo e Michelangelo. Aver trovato una “terza via”, sintesi e al tempo stesso superamento dei raggiungimenti del suo tempo, costituisce la gloria e la funzione storica di Raffaello, che vi giunge per forza d’arte e di pensiero, per natura e per ragione, in una costante tensione di verifica, di sperimentazione, di meditazione. In ciò certamente aiutato dalla sua personalità armoniosa e gentile – “discreto e gentile giovane” lo definisce la sua protettrice urbinate Giovanna Feltria della Rovere – ma anche della sua straordinaria capacità di elaborazione e assimilazione di tutti gli stimoli, e le suggestioni che gli venivano da quel momento altissimo e rivoluzionario vissuto dall’arte tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento. Una capacità che rivela una grandissima intelligenza e una profondità di cultura eccezionale in un ragazzo di vent’anni (tanti ne aveva al suo arrivo a Firenze).
Raffaello diventa pittore presso Perugino tra il 1494 3 il 1500. Per circa cinque anni le sue opere non sono distinguibili da quelle del maestro; poi, in una serie di opere per la committenza umbra, che culminano nello Sposalizio della Vergine del 1504, in cui tutta l’esperienza peruginesca è assorbita e trasformata in una nuova, ben più complessa visione d’arte e di struttura. La frontalità un po’ meccanica della prospettiva di Perugino e la simmetria dei suoi panneggi si fanno maestosa costruzione prospettica circolare, pura luminosità, classicità d’impianto e di significato. Giustamente a Brera lo Sposalizio è collocato nella stessa sala in cui si trova la Pala Montefeltro di Piero della Francesca, a indicare Raffaello il vero erede delle novità costruttive e pittoresche del Maestro del Borgo San Sepolcro, creatore di perfette geometrie ma anche evocatore di una luce cristallina e imperturbabile che il linearismo fiorentino o il cromatismo veneto avevano in certo modo dimenticato.
La Madonna di Foligno è la prima pala d’altare romana di Raffaello.
Fu commissionata intorno al 1512 come ex voto da Sigismondo de’ Conti, segretario di papa Giulio II, per la chiesa di S. Maria in Aracoeli sul Campidoglio. L’iconografia del dipinto è ispirata a una storia narrata nella Leggenda Aurea: nel giorno del Natale, la Vergine e il Bambino sarebbero apparsi ad Augusto, davanti al disco solare, circondati da angeli, e l’imperatore, rinunciando a farsi venerare come dio, avrebbe riconosciuto la grandezza del Bambino e consacrato il luogo della visione alla Madonna. La Madre e suo Figlio sono rappresentati nella parte superiore della pala, al di sotto, sulla terra, San Giovanni Battista, San Francesco, il committente e San Gerolamo, considerato il primo segretario pontificio, partecipano alla visione.
L’armonia di linee e colori che governa la scena diviene dunque espressione dell’armonia celeste, dando forma all’invisibile. In primo piano un putto presenta all’osservatore una tabula ansata priva di iscrizione, il cui significato ha interessato a lungo gli studiosi. Sullo sfondo sono rappresentati due fenomeni celesti che illuminano un centro abitato: un arcobaleno dai colori poco definiti e un corpo infuocato che precipita su una casa. Quest’ultimo è stato variamente interpretato come bombarda, cometa o meteorite, ma va ricondotto, con ogni probabilità, alla scampata morte di Sigismondo che fu origine dell’opera. Il dipinto che vediamo oggi subì una delicatissima operazione di trasporto del colore dalla tavola alla tela, durante la sua permanenza a Parigi in età napoleonica. Questa operazione, considerata oggi fortemente invasiva, ha permesso però di conservare nel tempo questo capolavoro, giunto a noi intatto nella sua cromia originale.
Maria Paola Forlani