La Evangelii Gaudium di papa Francesco è un’Esortazione apostolica che avrebbe dovuto raccogliere le indicazioni del sinodo dei vescovi dell’ottobre 2012 sulla nuova evangelizzazione. In pratica è stata l’occasione per il vescovo di Roma di presentare in modo abbastanza organico, ma troppo prolisso (288 paragrafi!), le maggiori indicazioni programmatiche del suo pontificato. Di qui la sua grande importanza, ben maggiore della prima enciclica che era stata scritta da papa Ratzinger. Bisognerà leggerla con i tempi necessari. Comunque testi di questo genere dovrebbero essere più accessibili per il credente “normale”; questo lo è poco anche se scritto con stile semplice. Si tratta in gran parte delle analisi, esortazioni e proposte che erano già state fatte in questi mesi in diverse occasioni. Il testo inizia in modo insolito, invitando alla gioia dell’Evangelo che deve essere sempre di ogni credente che deve permettere una grande creatività nell’opera di evangelizzazione. Ci sono parole in questo senso molto belle.
Poi si parla della riforma della Chiesa. Il punto più interessante è dove Francesco, mettendosi in discussione per quanto lo riguarda (come davvero tutti i credenti dovrebbero fare) riconosce la necessità di quella riforma del papato, di cui aveva parlato papa Wojtyla (senza farla) e che, con papa Ratzinger, è apparsa come una necessità assoluta. In sostanza si tratta di ridimensionare il ruolo del centro della Chiesa a favore in particolare delle conferenze episcopali, anche di quelle regionali e non solo di quelle nazionali. Ad esse si dovrebbero attribuire competenze concrete ed anche una certa autorità dottrinale oltre che un ruolo pastorale conseguente alla necessità di un maggiore impegno nell’inculturazione, riconoscendo in questo modo implicitamente i limiti di una dottrina monolitica. Questo passaggio dell’Esortazione indica una svolta che diviene abbastanza credibile, almeno nelle intenzioni, per le decisioni concrete che papa Francesco sta iniziando a prendere.
Il testo poi propone, in modo esplicito, un lungo elenco di situazioni intraecclesiali da superare, ripetendo le idee di fondo di Francesco su un nuovo modo di comunicare il vangelo da parte delle strutture ecclesiastiche: la misericordia deve prevalere sugli anatemi; è Dio che evangelizza e il cristiano è solo uno strumento; l’Eucaristia e il Battesimo devono essere facilitatori della Grazia non dei controllori; la Chiesa deve essere aperta anche se “incidentata”; il messaggio principale deve prevalere sugli aspetti secondari, quelli della precettistica; bisogna cercare di conoscere i segni dei tempi; anche “le comunità di base e le piccole comunità” sono una ricchezza della Chiesa e via di questo passo. Invece ci sono troppe pigrizie, troppe volte si dice “abbiamo sempre fatto così”, il confessionale non deve essere una tortura, ci sono troppe consuetudini non legate al Vangelo, troppe parrocchie non si sono rinnovate a sufficienza e si autoconservano, ci sono profeti di sventura, ci sono fenomeni di desertificazione spirituale, no alle invidie e alle guerre intestine negli ambienti ecclesiastici.
Nel secondo capitolo si dicono alcuni no molto espliciti che, anche se non sono nuovi. Essi indicano una direzione di marcia molto netta: no ad una economia di esclusione, no all’autonomia assoluta dei mercati e alla speculazione finanziaria, no alla nuova isolatria del denaro e alla ingiustizia che genera violenza, c’è violenza sui popoli del Sud del mondo, le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti, c’è una prepotenza dei mass media. Infine Francesco ritiene strettamente vincolante l’impegno contro l’ingiustizia per il credente e “l’opzione per i poveri è una categoria teologica”.
La cosa più interessante del terzo capitolo sull’“Annuncio del Vangelo” è una specie di piccolo trattato sulla predicazione. Una tematica del tutto inconsueta anche se di grande importanza per l’area “conciliare” della Chiesa che si è sempre trovata quasi da sola a sollevarla. Francesco parte da una situazione che ritiene largamente da cambiare. L’omelia deve essere breve e non annoiare! Non deve essere moralista o indottrinante, deve esprimere il dialogo di Dio con il suo popolo e non è meditazione né catechesi. L’omelia deve essere preparata con molta cura sui testi cercando di comprenderli afferrandone il messaggio principale, il predicatore deve conoscere la condizione del popolo a cui parla e via di questo passo. Questa è la parte più nuova dell’Esortazione ed è di particolare efficacia. Interessanti sono le citazioni: tra le tante del Vangelo, di papi e di padri della Chiesa secondo lo stile consueto di questi documenti, ci sono anche quelle di testi dei vescovi del Congo, dell’India, delle Filippine, del Brasile.
Ho elencato quelli che mi sembrano i punti principali del documento. C’è anche una ripetizione abbastanza scontata della posizione sull’aborto e sul divieto dei ministeri per le donne. Complessivamente è un testo in gran parte di discontinuità rispetto al magistero di prima. Esso è destinato a consolidare il grande consenso che Francesco ha ora nella base dei credenti e, più in generale, nell’opinione pubblica attenta alle tematiche della spiritualità. Non saranno poche le ostilità che la destra curiale e fondamentalista probabilmente organizzerà. Da parte dell’area “conciliare” della Chiesa non mancherà il consenso, anche se sempre vigile e indipendente.
Vittorio Bellavite
coordinatore di Noi Siamo Chiesa