Ha riaperto, finalmente, con l’atteso e nuovo allestimento, il Museo del Duomo di Milano, che racconta oltre sei secoli di storia arte e restauro della cattedrale.
L’allestimento curato da Guido Canali si presenta tanto minimale quanto d’effetto, così da avvicinare gli oggetti allo sguardo del visitatore lasciando come emergere dal buio blocchi di marmo di Candoglia e le stupefacenti opere d’arte formatesi negli otto secoli di storia del monumento simbolo della città.
L’allestimento preesistente del Museo del Duomo e della Veneranda Fabbrica, chiuso ormai da dieci anni, fu smontato per agevolare il consolidamento statico di Palazzo Reale. Terminato il restauro, e ottenuti alcuni nuovi locali all’interno dello stesso Palazzo, è partito il nuovo cantiere, durato circa due anni, e progettato per affiancare all’organizzazione degli spazi espositivi la valorizzazione degli ambienti, il racconto della storia dell’edificio che contiene il Museo. Il riallestimento del Museo del Duomo è stato affidato all’architetto Guido Canali, che come prima cosa è andato a scavare nel cuore dell’antico palazzo di piazza Duomo riportando alla luce le arcate gotiche, le finestre e persino le tracce pittoriche dell’antico maniero visconteo ristrutturato dal Piermarini. Questi ambienti tardo medioevali, assai suggestivi, fanno da contenitore al nuovo museo. Che si presenta oggi più ampio (27 sale contro le 21 precedenti) ed esattamente capovolto nel percorso: l’ingresso è ora dalla porta principale di Palazzo Reale, dove un tempo si trovavano le ultime sale.
L’architetto Canali e la direttrice Benati hanno deciso di tenere in vita l’idea originaria del percorso cronologico, partendo dall’età viscontea e approdando al Novecento. Ma l’hanno fatto puntando sugli effetti spettacolari, sulla “meraviglia” che sono la visione ravvicinata di statue, doccioni e vetrate può garantire visibilità, e che invece si perde un po’ nella vastità del Duomo. Le sale sono quindi pensate per stupire i visitatori. A cominciare dai colossali gabbioni che attendono all’ingresso per chi inizia questa “splendida avventura”, assieme a un maestoso frammento del bellissimo pavimento cinquecentesco del Duomo, realizzato con l’intreccio di tre marmi. La prima sorpresa è imbattersi nel Tesoro del Duomo, che ha lasciato l’antica sede dello Scurolo di San Carlo per essere esposto qui con i pezzi più eclatanti. Scorrono, infatti davanti agli occhi dello spettatore: dittici di avorio del V secolo, la situla di Gotofredo, la copertura dell’Evangelario di Ariberto, la Pace di Pio IV, la Mitra in penne di colibrì e il Tronetto per l’esposizione del santissimo sacramento, incrostato di cristalli di rocca. Su tutto domina la grande croce di Ariberto d’Intimiano, sbalzata nel rame e risalente all’anno Mille.
Dopo il Tesoro, inizia il percorso nella storia. La prima guglia, le statue giganti e le fughe di doccioni ci raccontano la prima fabbrica del Duomo, che corrisponde all’età d’oro dei Visconti, quando Milano e la sua cattedrale diventano un crocevia d’artisti provenienti da tutta Europa. A metà del Quattrocento il regime cambia, arrivano gli Sforza e con essi il Rinascimento e il culto dell’antico: la statuaria del Duomo registra puntualmente tutte le novità. Tra Quattrocento e Cinquecento la Fabbrica del Duomo avanza a gran carriera e si approntano le prime vetrate policrome: in una apposita sala molto affascinante, buia e circolare, ci è dato di ammirare i frammenti vetrari più antichi (alcuni dei quali disegnati da Giuseppe Arciboldi).
È noto che l’età dei due Borromeo (Carlo e Federico, vissuti a cavallo tra Cinque e Seicento) lasciò impronte indelebili sul Duomo: statue, paliotti, arazzi, dipinti e bassorilievi di colossali dimensioni (come la sequenza straordinaria di quelli disegnati da Cerano su grandi cartoni monocromi, tradotti in modellini di terracotta dagli scultori e scolpiti infine in marmo) accompagnano il visitatore in questa fondamentale sezione.
Per diventare scultori della Fabbrica del Duomo bisognava presentare all’istituzione statue «di ingresso», atte a dimostrare la propria abilità. La Fabbrica le conserva tutte, come conserva moltissimi modellini di statue che l’architetto Canali ha valorizzato al massimo nella sezione detta la «Galleria del Camposanto». Tra i promettenti scultori del Settecento emerge Giuseppe Perego, al quale venne affidata la statua più celebre del Duomo, la Madonnina aurea della Guglia maggiore (in realtà alta quattro metri). Si può, inoltre ammirare due bozzetti preparatori, l’armatura originale in ferro della statua e il modello ligneo in scala 1 a 1 della testa della Vergine.
Napoleone Bonaparte, ai primi dell’Ottocento, ordinò perentoriamente che la Fabbrica del Duomo giungesse a conclusione e una sala apposita ci rammenta che moltissime delle sculture che popolano oggi la cattedrale risalgono al secolo decimonono. Subito dopo appare in una scenografia strepitosa il colossale modello ligneo del Duomo, realizzato a Partire dal Cinquecento e completato nell’Ottocento. Il modellone è 20 volte più piccolo dell’originale ed è stato rimontato qui dopo un lungo e accurato restauro, accanto ad altri modelli lignei per la facciata della cattedrale, mai tradotti in pratica.
La parte moderna è affidata alla storia delle porte del Duomo. Ci sono quelle di Pogliaghi e i bozzetti di quelle – in gara tra loro – di Luciano Minguzzi e di Lucio Fontana. L’appalto lo vinse Minguzzi, ma quelle di Fontana sprigionavano la “vera modernità”. Restano, ora, come testimoni di grandi capolavori “silenti” di bellezza.
Maria Paola Forlani