La violenza non è solo una ferita da coltello.
Rosa aveva sognato tutta la vita l’abito bianco. Aveva trent’anni e non era fidanzata. A quei tempi, a quell’età si era già zitella. Sposarsi voleva dire uscire di casa e diventare indipendenti (anche se spesso non era così). Voleva dire uscire dalle quattro mura domestiche. Mentre china sull’orlo accarezzava l’abito bianco che stava confezionando per la sorella, sorrideva tra sé. Lieve la mano scivolava tra le pieghe e gli occhi lucidi, denunciavano il desiderio mal represso di voler cucire anche per sé un abito nuziale.
In casa non poteva dedicarsi molto tempo. La famiglia era numerosa e lei doveva badare ai fratelli. A volte diceva che era come se già si fosse sposata perché dopotutto una famiglia l’aveva cresciuta (quattro fratelli era un nucleo numeroso). Man mano poi la casa cominciò a svuotarsi, ognuno cercava altrove la propria strada e si allontanava per lavoro. E passava anche il tempo della sua vita. Un giorno Rosa si recò a far visita a uno dei fratelli. Sul treno incontrò un uomo che intrecciò subito un discorso. Era timorosa per la poca esperienza di vita ma quell’incontro fu per lei come l’aprirsi di un orizzonte. L’uomo l’affascinò e un giorno si presentò a casa sua con la promessa del matrimonio. Rosa dapprima timida e impacciata, cambiò. Gli occhi le si illuminarono. Sentì dentro di sé una grande gioia. Si sentì donna. Era felice! E già pensava ai preparativi. Avrebbe confezionato anche per sé l’abito da sposa a lungo sognato. L’uomo le fece mille promesse… che l’avrebbe portata lontano. Si fece comprare abiti con questa chimera. Ma alla sera del terzo giorno tutto cambiò. Non più amore ma freddezza e fastidio annullarono ogni speranza. La mattina, l’uomo ripartì in treno portandosi via gli abiti nuovi per una destinazione sconosciuta, segnando la fine di ogni promessa. Rosa lo seguì sulla soglia ma nel commiato ebbe solo una stretta di mano e non seppe più nulla di lui.
La violenza era stata troppo forte. Per la prima volta Rosa aveva provato un sentimento ma era stata violentata in modo atroce con l’annientamento di ogni speranza. Fu allora che cominciò a morire. Piano, lentamente, senza un lamento, senza che trasparisse la sua angoscia. Riprese a lavorare ma i lunghi silenzi erano eloquenti. La casa si era svuotata e lei era sola col suo ricordo. Incominciò a non mangiare più sufficientemente. Il male si stava già impadronendo di lei. Era ormai diventata l’ombra di sé stessa. La spina nel cuore la lacerava più di una lama o di un colpo di arma letale e gli occhi si spegnevano lentamente. Ogni cura fu inutile. La violenza subita l’aveva lacerata dentro e ormai non si accorgeva nemmeno più di avere un cuore. Il male diagnosticato fu inesorabile come l’uomo che l’aveva illusa e abbandonata per sempre. Morì in un giorno caldo di giugno mentre il giardino profumava di rose. Andò via col suo candore, la sua innocenza e una parvenza d’amore, adornata di rose profumate come il suo nome.
Anna Lanzetta
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