Palazzo Roverella a Rovigo presenta fino al 12 gennaio 2014 un’impressionante sequenza di “tesori nascosti” della Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi e del seminario Vescovile, opere mai esposte prima, tutt’altro che secondarie rispetto ai tanti capolavori che sono già offerti all’ammirazione del pubblico.
Sono più di cinquanta tavole, una vera Pinacoteca aggiuntiva.
Nella prima parte della mostra – Da “Simonn de Zorzon” a “Pictor ducal”: Pietro della Vecchia – è stata ricreata una piccola sezione monografica dedicata a Pietro della Vecchia: un ideale percorso che spazia dalle sue prime opere giovanili, come la tavoletta raffigurante San Francesco in meditazione, fino a quelle più mature quando diventò “pitor ducal”. Esempio mirabile della versatilità compositiva di della Vecchia è la tela con Tolomeo Filadelfo e la traduzione dei teschi sacri, composta ispirandosi ai cartoni che Raffaello aveva realizzato per gli arazzi della cappella Sistina rielaborati però in maniera del tutto personale e con gusto dissacrante e grottesco. Conosciuto per l’abilità con cui riproduceva lo stile dei maestri veneti del XVI secolo, venne soprannominato “simia di Zorzon”, ovvero imitatore di Giorgione, per la sua particolare abilità nel riprodurre le opere del grande artista.
Una sezione è dedicata a Mendicanti poveri, ubriachi e affamati: il genere dei “pitocchi”. Il genere dei “pitocchi” rappresenta un innesto in territorio veneto della cultura bambocciante romana e della bizzarra fantasia delle gustose scene di genere diffusesi a Firenze tramite le incisioni dell’artista francese Jacques Callot.
Matteo Ghidoni, forse originario di Firenze come attestano alcune fonti settecentesche, fu certamente attivo in Veneto per un periodo piuttosto lungo.
Ghidoni, il cui soprannome di Matteo ‘de’pitocchi’ è indicativo del genere di pittura per cui l’artista fu maggiormente apprezzato, sapeva sapientemente coniugare al crudo realismo nelle scene brulicanti di mendicanti, popolani e ubriaconi, ad un vivace naturalismo che trova nelle piccole dimensioni, da ‘quadreria privata’ la forma di espressione migliore. Accanto a questa produzione, qui rappresentata da una gustosa scenetta raffigurante un convito plebeo in una taverna, Matteo Ghidoni lasciò anche molte testimonianze di pittura sacra come la pala esposta in mostra raffigurante Sant’Antonio Abate e San Paolo Eremita, che è senz’altro da collegarsi alla sua trentennale attività al servizio dei francescani della Basilica padovana.
Segue la sezione La guerra nell’arte: dipinti di battaglie tra XVII al XVIII secolo. La pittura di battaglia fu un genere amato e richiesto soprattutto dai committenti privati, in particolare delle grandi famiglie aristocratiche. Per la prima volta in Pinacoteca viene presentata una sezione completa sulla storia di questa tematica; uno sguardo che attraverso le opere dei suoi maggiori interpreti di questo genere tra il XVII e il XVIII secolo, ci offre una panoramica su un filone ancora poco conosciuto dalla sua nascita al momento di massima diffusione.
Segue la sezione dedicata a Elisabetta Marchioni. Torna la pittrice più ambita. È quasi una piccola, originale monografia quella che i Concordi riservano ad una donna pittrice, Elisabetta Marchioni, oggi pressoché sconosciuta ma che a cavallo tra Sei e Settecento era assolutamente contesa. Non c’era casa che contasse in quel di Rovigo, annotano le cronache, che non avesse alle pareti suoi quadri: da quattro a otto, ricorda l’inventario di Bartoli del 1793. Piacevano la genuina esuberanza pittorica e l’elegante fantasia compositiva con la quale Elisabetta Marchioni cercava di imitare la natura nelle sue composizioni floreali. In tutte le sue opere ciascun fiore è realizzato con tocco leggero, rapido, brillante e luminoso. La Marchioni è artista misteriosa e affascinante, non lontana dalle grandi pittrici di nature morte che godettero spesso di fama internazionale, come la lombarda figlia d’arte, Margherita Caffi alla quale spesso le sue opere sono state erroneamente attribuite.
Segue la sezione più scenografica dell’itinerario La Venezia da record di Giovanni Biasin. Vivamente interessato agli spettacoli di diorama che allora venivano proposti con molto successo Giovanni Biasin lascia nella Pinacoteca una spettacolare Veduta del bacino di san Marco, dipinta a tempera su carta, lunga ben ventitré metri. L’artista sa cogliere i purissimi valori atmosferici del cielo veneziano, rappresentando una spettacolare panoramica della Giudecca ai Giardini pubblici di Sant’Elena.
Biasin alterna liberamente la topografia lagunare sostituendo l’isola di San Giorgio con una pittoresca riva, che accompagna l’osservatore e delimita il margine inferiore dell’inquadratura. Si tratta di un diorama dipinto con grande abilità, di notevole effetto illusionistico, che dimostra le sue doti non comuni di vedutista.
A completare questo itinerario segue la sezione Giovanni e Vittorio Biasin: scorci di Rovigo. Giovanni e Vittorio Biasin, padre e figlio, di origine veneziana e legati indissolubilmente con la loro città di adozione, lasciano nella pinacoteca sette opere di vedute e scorci di Rovigo. Accanto alla spettacolare Veduta di Venezia viene allestita per la prima volta anche una significativa sezione monografica dedicata a Giovanni Biasin.
I Maestri dell’arte italiana del Novecento. Veronesi, Munari, Accardi, Dorazio, Del Pezzo, Turcato, Minassian, Santomaso, Perilli, Castellani, Fioroni, Nigro, Scialoja e Biasi: sono questi i più rappresentativi maestri dell’arte italiana del secondo Novecento esposti per la prima volta a Palazzo Roverella.
Leone Minassian: la trasfigurazione del dato naturalistico. Leone Minassian nacque a Costantinopoli l’8 maggio 1905: a seguito delle persecuzioni razziali compiute dai Turchi sugli Armeni, l’artista – assieme alla madre e al fratello – arrivò come esule in Italia: dapprima a Napoli e successivamente a Venezia. È in questo nuovo ambiente lagunare che ebbe modo di sviluppare il talento verso il disegno e la pittura, manifestati fin da bambino. Nei quadri esposti il riferimento naturalistico divenne di più difficile lettura e le forme si avvicinano gradatamente alla pittura surrealista, anche in seguito alla conoscenza dello scultore Arp, avvenuta nel 1954.
L’ultima sezione presenta Nati sotto Fetonte. Le testimonianze artistiche di Edoardo Chendi, Gino Pinelli, Casimiro Jodi, Pio Pullini, Ervardo Fioravanti, Ugo Boccato e Angelo Prudenziato, artisti polesani e qui riuniti nuovamente sotto il segno dell’amore per la propria terra d’origine o d’adozione: il Polesine. A distanza di più di vent’anni la Pinacoteca presenta nuovamente una selezione delle opere più significative che parteciparono alla rassegna “Nati sotto Fetonte” proposta e realizzata dall’Accademia dei Concordi nel 1991.
Maria Paola Forlani