Con una collaborazione inedita tra Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, si tiene a Palazzo Fava in Bologna (22 settembre – 12 gennaio 2014) e a Faenza, al MIC (13 ottobre – 30 marzo 2014), un'interessante mostra dedicata al più importante scultore del’900 italiano: Arturo Martini. Un racconto diviso in due atti: quello a Bologna rivolto all’analisi della scultura in terracotta di grandi dimensioni, e quello a Faenza attento alle ricerca estetica dell’artista attraverso, in particolare, la rappresentazione della figura femminile.
A Bologna la mostra che ha per titolo “Arturo Martini. Creature, il sogno della terracotta”, a cura di Nico Stringa, propone per la prima volta assieme le grandi terrecotte ad esemplare unico realizzate direttamente dall’artista tra il 1928 e il 1932.
L’opportunità di organizzare questa grande mostra si deve alle recenti acquisizioni della Fondazione Carisbo di alcune importanti sculture dell’artista, tra le quali Madre folle (1929), Dedalo e Icaro (1937), L’abbraccio (1937-40), Odalisca (1930).
Il percorso della mostra nel contesto straordinario di Palazzo Fava consente di ammirare sedici opere che Martini ha realizzato, provenienti dai grandi musei italiani e da importanti collezioni private; per la prima volta il Museo Middelheim di Anversa che ha effettuato un prestito dei quattro capolavori conservati nel museo che, eccezionalmente sono rientrati in Italia solo per questa occasione.
Arturo Martini (Treviso, 1889 – Milano, 1947), a diciassette anni fu allievo alla Scuola Libera del Nudo dell’Accademia di Venezia, frequentata, negli stessi anni, da Boccioni, passava, poi a Treviso, dove seguiva, inizialmente, le linee internazionali e antiaccademiche dell’Art Nouveau. Dal ’12 a Parigi, con Gino Rossi elabora un suo ricco immaginifico monumentalismo, in cui l’alternanza tra un classicismo ideale e una libertà romantica e lirica costituisce la caratteristica essenziale. Ma il fascino della classicità, come modello ideale e come raggiungimento massimo dello spirito, anche se gli ispirò alcune tra le opere più cariche di forza, nell’equilibrio dinamico delle masse (La sposa felice, 1930; Donna che nuota nell’acqua, 1941) o nella fluidità dolcissima delle forme (Tomba di giovinetta, 1932), non riuscì ad impedire una sua programmatica adesione agli ideali nazionalistici di «Valori plastici», e l’accentuazione, talvolta pesante, dei suoi riferimenti al mondo romano e al Quattrocento toscano, impedendogli di attingere a quell’apertura che sarà propria della scultura moderna europea (alla quale Brancusi – e Modigliani –, e Pevsner, e Gabo, e Arp, avrebbe aperto la strada).
Con le grandi terrecotte, lo scultore si impose alla Prima Quadriennale di Roma (1931) e poi alla Biennale di Venezia (1932) imprimendo una scossa decisiva al clima monolitico della scultura italiana e aprendo il varco a tante successive sperimentazioni.
«Le grandi terrecotte, realizzate ad esemplare unico in argilla refrattaria cotta ad alta temperatura» scrive il curatore della mostra bolognese, «sono oggi considerate ai vertici della scultura figurativa europea dell’epoca; in quel ciclo Martini ha messo a frutto la sua ventennale esperienza di scultore ceramista, portando a compimento l’ancestrale e ricorrente mito delle origini secondo cui il creatore (l’artista) conferisce vita alla creatura (l’opera d’arte) tramite quel soffio che nel caso dei prodotti ceramici è delegato anche al fuoco dei forni. Proprio per raggiungere e mostrare questo estremo grado di identificazione, l’artista trevigiano ha lasciato da parte l’idea iniziale di riprodurre in diversi esemplari queste sculture, foggiandole invece una ad una in creta cava per poter trasmettere al fruitore il senso di precarietà che l’esperienza estetica porta con sé, quando intenda essere interprete della vita: in una parola, il rischio della bellezza».
A Faenza la mostra “Arturo Martini. Armonie, figure tra mito e realtà” a cura di Claudia Casali, direttrice del Museo Internazionale delle Ceramiche, in collaborazione con i Civici Musei di Treviso, propone una cinquantina di opere, significative della sua poetica e della sua idea di “armonia”, sia attraverso l’interpretazione della figura femminile tra mito e realtà, con particolare attenzione alle opere degli ultimi anni, caratterizzate da una accentuata ricerca formale.
Le opere al MIC di Faenza dialogheranno idealmente con quelle di Palazzo Fava e completeranno l’attenzione sul percorso artistico lasciando spazio a tutti i materiali da lui utilizzati (ceramica, bronzo, legno, marmo, pietra, gesso).
Di madre brisighellese, Martini frequentò Faenza, nel 1918, in congedo militare, realizzando piccole sculture in gesso, arredi ecclesiastici, disegni, cheramografie, e pubblicando il volume Contemplazioni, uno dei più importanti libri d’artista senza parole.
Maria Paola Forlani