Si è aperta fino al 31 maggio 2014 a Treviso nella Casa dei Carraresi, la mostra “Magie dell’India. Dal Tempio alla Corte, capolavori d’arte indiana”.
Per la prima volta in Italia, viene presentata, una rassegna di opere d’arte indiana dal II millennio a.C. all’epoca dei Maharaja, a cura di Adriano Màdaro, di Marilia Albanese, indologa e da Renzo Freschi, esperto d’arte indiana, (catalogo Sigillum).
Due poli, proposti, quello del Tempio e quello della corte, che sfuggono al dualismo tipicamente occidentale tra sacro e profano e che nella cultura indiana non sono in nessun modo in contraddizione. Il cerimoniale dei templi è simile a quello del palazzo e la figura del re è ammantata di sacralità tanto da renderla divina.
La saggezza tradizionale indiana, affinché l’esistenza umana sia significativa e armonica, impone l’impegno etico, ma anche il perseguimento del piacere; sostiene la frugalità, ma non svalorizza la ricchezza; incita al distacco, ma legittima la conquista del potere. Benché il fine ultimo in buona parte della cultura indiana – ma non in tutta – sia la liberazione e il trascendimento del mondo doloroso e finito, la vita e i suoi istanti preziosi sono ampiamente celebrati, soprattutto nell’arte.
Uno dei più singolari misteri dell’India è la civiltà artistica che si svolse fra il 1400 circa avanti Cristo e le soglie dell’era cristiana. Niente, o quasi niente è rimasto a documentarla, eppure è impossibile credere che per tutti quei secoli, così fecondi per la letteratura, le arti figurative non abbiano prodotto nulla. La causa più probabile di questa mancanza di ritrovamenti è da cercare nell’impiego quasi esclusivo di materiali deperibili. Nel XV secolo a.C. gli Indo-Ariani, un popolo di semi-nomadi, proveniente dall’interno dell’Asia, occupò quasi tutta l’India, imponendosi sulla popolazione locale per i più evoluti mezzi bellici e per la velocità dei cavalli di cui disponeva. Si considera come epoca indo-ariana tutto il lungo periodo che va dal 1400 a.C. fino al 750 d.C. ossia fino al sorgere del cosiddetto Medioevo Indù. Durante questi secoli l’India vide il susseguirsi di vari grandi e piccoli regni, l’affermarsi di diverse religioni, il progressivo formarsi di un’arte evoluta e matura che sfociò nell’arte classica del periodo Gupta (320 – 530). Nacquero in epoca indo-ariana i libri sacri, o Vada, con i due poemi eroici nazionali, il Mahậbhậrata e il Rậmậyana. Si costruirono le basi delle principali religioni indiane, tra cui il Buddismo e il Giainismo. Inoltre, invasioni straniere, quali quelle dei Persiani e degli eserciti di Alessandro Magno recarono nuovi contributi alla formazione della civiltà indiana. La mostra presenta tutta una sala dedicata ai rapporti tra India e la Grecia, che hanno prodotto la singolare arte del Gandara, caratterizzata dalla rappresentazione di temi religiosi di derivazione buddista con vesti tipiche della cultura greca o affiancati a temi mitologici greci.
La straordinaria ricchezza del pantheon hindu si dipana nelle cinque sale in onore degli dei dell’India: Shiva, divinità complessa e ambigua, già noto nel secondo millennio a.C. come Rudra, “Colui che urla”, signore della tempesta armato di tuono e saetta, portatore di malattie ma al tempo stesso protettore e guaritore.
La Grande Dea, la Devi, archetipo del femminile, Signora della Vita e della Morte. Proiezione del dinamismo cosmico e dell’energia di trasformazione che incessantemente origina e dissolve l’universo, la Grande Dea è al tempo stesso divinità terribile e madre amorevole e adombra le contraddizioni dell’esistenza che eternamente riproduce se stessa. Infine Vishnu, divinità di riferimento nei grandi poemi epici e principale figura di devozione nell’Hinduismo, custode della vita che si manifesta sulla terra in svariate discese provvidenziali chiamate “avatara”. Le due più importanti sono Rama e Krishna.
Da tempo, nelle terre dell’India estranee alla cultura occidentale si mescolavano credenze e religioni diverse, varie lingue e dialetti, molteplici teorie filosofiche e testimonianze letterarie che attendevano solo di essere convogliate in una tradizione unitaria, corrispondente ad un’India nazionalizzata. Sul piano religioso e culturale il fenomeno di unificazione avvenne lentamente e spontaneamente con il confluire delle varie credenze popolari nell’Induismo, e con il diffondersi del sanscrito negli ambienti colti. Sul piano politico una piccola dinastia provinciale, quella dei Gupta, si fece interprete di questa reazione nazionalista; partendo dal Bihar, i Gupta conquistarono l’India fino al Deccan. Il loro regno rappresentò l’esaltazione del più autentico spirito indù e fu considerato l’età dell’oro della storia indiana, l’ideale eterno e intramontabile a cui tutte le età successive tentarono di uniformarsi.
La società Gupta fu perciò una società fiorente, aristocratica, colta e, soprattutto, genuinamente indiana. Non si può dire che l’arte di questo periodo sia prevalentemente religiosa, giacchè non esiste in India un reale distacco fra pratica religiosa e attività profana; nello spirito indiano la religione è manifestazione vitale che informa di sé ogni gesto e ogni pensiero. Eppure nella varietà delle credenze, resta come denominatore comune la singolare coesistenza del più astratto misticismo con una prorompente e gioiosa sensualità. Le ultime tre sale, dedicate all’India Classica, si soffermano sulla rappresentazione del corpo umano, maschile e femminile, e sull’arte erotica. Nella cultura indiana la sessualità è il piacere maggiore e ad essa è dedicato un trattato specifico che affronta l’argomento in tutte le sue sfaccettature: il Kamasutra, redatto da Vatsyayana nel III sec. d.C. Ispirate ad esso, le miniature che rappresentano gli amanti in diverse modalità di amplesso non solo per il piacere di nobili e sovrani, ma mezzo per istruire nell’arte amatoria, favorendo così la buona riuscita del rapporto di coppia.
La seconda parte della mostra è dedicata al favoloso mondo dei Mahaja.
Nelle sette sale dedicate a questi sovrani ricchissimi ed eccentrici, sono esposti preziosi reperti che raccontano la vita e le dimore nelle quali vivevano, arredate con stuoie, tende e tramezzi di stoffa che separavano e completavano gli ambienti, i cui pavimenti erano coperti da splendidi tappeti. Tra i molti pezzi pregiati esposti vi sono quelli della dinastia moghul, casata mussulmana regnante in India tra il XVI e il XIX secolo) con le sete più preziose dai mille colori cangianti, le statue delle divinità più sinuose e gli arazzi più pregiati.
L’ultima tappa della mostra è davanti alle testimonianze dei rapporti fra Italia e India, le cui origini risalgono addirittura all’epoca romana, per scoprire quanti italiani – alcuni famosissimi come Marco Polo e Nicolò Manucci – intrapresero la “via delle Indie”.
Maria Paola Forlani