– È la tua seconda silloge... quali i collegamenti con la prima, se ci sono?
Un collegamento direi di no, forse un proseguimento. Infatti la seconda poesia della raccolta rappresenta l’anello di congiunzione con Occhi di Zagara che voleva essere una forma di liberazione dal dolore attraverso la scrittura. Tale forma a me più congeniale è una modalità conoscitiva e di confronto molto forte, un campo in cui posso leggermi e mettermi in gioco e in più uno spazio nel quale incontrare dolore e gioia.
– Don Franco Patruno siglò la tua prima raccolta con una dedica che indicava una rinascenza; in questa raccolta la rinascenza è un elemento conquistato o sempre in fieri?
Quando andai a parlare dei miei primi scritti con Don Franco ero in una situazione di estrema fragilità emotiva e fisica, mi regalò il suo disegno e la dedica di rinascenza cogliendo perfettamente quanta angoscia avevo dentro e nello stesso tempo la profonda determinazione di uscirne in qualche modo vincente, così mi suggerì che scrivere mi avrebbe aiutato. Credo che gli sarò sempre riconoscente di questo consiglio e del sostegno che mi diede nella mia crescita poetica.
Lo schizzo che fece davanti a me con la dedica “Rinasce d’incanto”, che io ho inserito sulla copertina di Occhi di Zagara, è il simbolo della mia vittoria in un percorso difficile, intercalato di cadute e risalite. Percorso vittorioso in quanto dal dolore sono riuscita a estrapolare qualcosa di creativo e vivo come la forma poetica sa essere.
Oggi la rinascenza la cerco ogni giorno, è un percorso ormai irreversibile. Colleziono attimi di felicità, affrontando il dolore con forza e cercando le cose che abbiano un senso e quindi la ricerca come la rinascita è continua come la conoscenza. Nonostante io scriva di getto, il rileggere e rielaborare i testi approfondendo le mie sensazioni, è per me un processo conoscitivo continuo.
– Hai mantenuto la cifra stilistica dell'assenza di punteggiatura e soggetto quasi sospeso ad una prima lettura... Vuoi dirne qualcosa?
Quando scrivo non immagino contorni, neanche quelli della pagina e lo spazio nel quale lascio scorrere le mie parole lo avverto come infinitamente esteso. È una cifra stilistica spontanea, che corrisponde a quello che sento... il pensiero, le emozioni non hanno punteggiatura, scaturiscono e fluiscono senza costrizioni; è un po' come liberare i sentimenti e la parola dai loro stereotipi.
– Hai scelto una copertina che riproduce un Hopper paesaggistico e senza presenza umana... ci spieghi l'importanza di questa scelta?
Il paesaggio mi attrae particolarmente non solo in quanto tale ma nel suo significato più profondo che è quello dell’“essenzialità” della vita. Inoltre quando uno scrive è solo, è sempre solo con se stesso. Il quadro che ho scelto per la copertina, secondo me, esprime appunto questa solitudine, non necessariamente percepita come elemento negativo, al contrario, come dato fondamentale per dare spazio al silenzio dentro e fuori da sé, altro fattore determinante per potersi leggere nel profondo e nello stesso tempo percepire la realtà in maniera più vera. Hopper è stato definito come il pittore che sapeva dipingere il silenzio, paesaggi solitari e silenziosi rappresentano appunto il mio stato d’animo quando scrivo. Stato d’animo che mi permette di entrare in sintonia con la realtà circostante, oltrepassarne i limiti in un’estensione della sensibilità.
Io non penso mai di pubblicare quello che scrivo, so che è innanzi tutto una mia necessità. È solo dopo molte letture e dopo molte poesie “nascoste nei cassetti” che cerco di trovare nel testo qualcosa che vorrei condividere con altri.
– Un paesaggio senza personaggi costituisce anche il filo rosso della tua silloge...
Sì, sicuramente sì, il paesaggio mi protegge, mi conforta, mi allontana da diatribe e contraddizioni, mi accoglie. Mi appare familiare, lo vivo come “ritorno a casa” ritorno in una casa che amo, che spesso non so dove sia ma che immagino essere mare e cielo. È tra mare e cielo che vorrei “in silenzio” trovarmi o ri-trovarmi.
Ma non solo questo, da un lato mi sento in simbiosi con la natura, quasi una forma di “panteismo laico” in cui posso essere arbusto spoglio, terra rossa o onda; dall’altro il paesaggio diventa esso stesso un personaggio, il mare, in particolare, racconta storie, le trasporta con le sue onde, mi parla attraverso di esse e io le ascolto, nel silenzio che mi circonda, siano esse leggeri sciabordii o sferzate sugli scogli prodotte dal vento.
Così giungono storie ed emozioni anche di popoli lontani, in terre remote, che colpiscono la mia sensibilità e nella seconda parte della raccolta ho voluto dare voce al loro dolore, alla fatica di sopravvivere alla fame, alla sete, alle guerre, alla violenza di una vita che non fa sconti neppure ai bambini.
– Il “tu” spesso ripetuto è un interlocutore ideale?
Spesso è l'uomo che amo, ma molto spesso sono io che dialogo cercando di mettermi d'accordo (se mi passate il termine ) con l'altra Paola. Due persone spesso in contraddizione, l’una a volte costretta all’interno di regole e convenzioni che la società e la vita quotidiana impongono, l’altra che vive con difficoltà una vita che scorre su binari definiti e anela a una libertà di pensiero e fisica che mal si accorda con la realtà. Lo sforzo consiste nell’incontro delle due personalità per creare un equilibrio costruttivo.
Patrizia Garofalo