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La Siberia e l’Oriente. Kandinsky, Malevič, Filonov, Gončarova
08 Ottobre 2013
 

Si è aperta a Palazzo Strozzi a Firenze, fino al 19 gennaio 2014 la mostra “L’avanguardia russa, la Siberia e l’Oriente. Kandinsky, Malevič, Filonov, Gomčarova”, la prima rassegna internazionale a riconoscere l’importanza fondamentale delle fonti orientali ed eurasiatiche nel Modernismo russo, a cura di John E. Bowlt, Nicoletta Misler ed Evgenia Petrova (Catalogo Skira).

La mostra intende in primo luogo dimostrare che l’arte russa tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del novecento era stata forgiata intimamente dall’estensione dei suoi confini esterni e nei suoi “confini interiori”, e vuole insieme indicare che, sino a un certo punto, le sue specifiche qualità traevano sostanza dal confronto con il “proprio” Oriente (Siberia, Mongolia) e con l’Estremo Oriente (Persia, India, Cina, Giappone, Siam) piuttosto che con l’Occidente. Le figure in pietra del Neolitico, i risultati sciamanici siberiani, le stampe popolari cinesi, le incisioni giapponesi, le teorie teosofiche e antroposofiche e la filosofia indiana, sono alcuni degli elementi che hanno ispirato a inizio secolo artisti e scrittori russi, “i nuovi barbari” dell’Avanguardia, nello sviluppare le loro idee estetiche e teoretiche, poco prima della Rivoluzione d’ottobre del 1917. Un modo per riappropriarsi della propria storia e delle proprie origini, trasfigurando nel presente di inizio ‘900 tutte le suggestioni che arrivavano da quei luoghi lontani, rendendo più fervida e creativa ogni rappresentazione artistica. La mostra, inoltre, intende evocare la convivenza di attrazione e paura della cultura russa per l’esorcismo e per l’ignoto. Un “altro” da sé che può essere di volta in volta lo spirito della taiga, l’incontaminato territorio dei deserti o più in generale l’incontro con una cultura diversa: un aspetto di “contagio”, fondamentale nel Modernismo russo sia nell’arte figurativa che in letteratura, musica, teatro, cinema. La rassegna sviluppa attraverso 130 opere (79 dipinti, acquarelli e disegni;; 15 sculture e 36 tra oggetti del repertorio etnoantropologico e incisioni popolari) la complessa relazione fra l’arte russa e l’Oriente, attraverso pittori famosissimi come Wassily Kandinsky, Kazimir Malevič, Natal’ja Gonarova, Michail Larinov, Léon Bakst, Alexandre Benois, Pavel Filonov, che influenzarono lo sviluppo dell’arte moderna ormai un secolo fa. Artisti profondamente consapevoli dell’importanza dell’Oriente, che contribuirono a un ricco dibattito culturale (“Oriente o Occidente?), in cui si contrappone la razionalità della civiltà occidentale al fervore dell’Oriente) che lasciò un segno profondo. Una rassegna che mette in relazione gli esponenti principali dell’Avanguardia russa con altri artisti dell’epoca, altrettanto significativi benché forse meno noti, come Nikolai Kalmakov, Sergej Konenkov e Vasilij Vatagin, la maggior parte delle cui opere sono esposte in Occidente per la prima volta. Riconoscendo l’influenza della cultura orientale nella pittura, nella scultura e nelle arti russe all’inizio del Novecento, l’esposizione costituisce il naturale complemento di mostre precedenti dedicate al debito artistico della Russia verso l’Europa occidentale o all’influenza di specifiche forme artistiche legate alla tradizione locale, quali la pittura di icone e l’artigianato contadino, o dedicate al tema dell’Orientalismo russo. L’Introduzione alla mostra, narra che fra fine Ottocento e gli inizi del Novecento, nella vastità dell’Impero russo l’individuo si smarrisce. Oltre la porta di casa inizia lo spazio civilizzato. Ma nel crogiuolo dell’Eurasia, nei popoli e nelle etnie più diverse (sciti, unni, mongoli, esquimesi), i germi di culture molto antiche – cinesi, indiane e tibetane – si mescolano anche ai riti primitivi dell’iniziazione, dell’estasi e della perdita di sé insegnati dagli sciamani dei popoli del Nord. Il lupo, animale sacro allo sciamanesimo, le iena la cui ombra blu riflette la luce della steppa, simboleggiano la paura e il sogno degli abitanti dell’Impero russo. Un Kamennaja baba, il megalite primitivo presente sul vasto territorio dell’Impero, è il guardiano di questa inquietudine. Natal’ja Gončarova con

Il vuoto, Malevič con il Cerchio nero, Kandinsky con Macchia nera, ne hanno creato inconsapevolmente l’espressione moderna.

Nell’ultima sezione Spiriti silvani” Marija Ender, allieva di Matjušin, osservava che l’artista voleva arrivare ad abbracciare la struttura interna di un oggetto e attraverso «l’altezza di un albero comprendere la forma dell’appoggio delle radici e dei rami o attraverso il movimento di rotazione terrestre e delle nuvole sull’orizzonte, definire la forma del confine del bosco su un campo». Il filosofo Pavel Florenskij sembra riecheggiare questo concetto nel 1923: «La foresta è una forma quadridimensionale che si esprime nella durata, mentre l’esperienza della vita di un uomo e persino di generazioni, è troppo effimera rispetto all’estensione temporale di una foresta. Rimane la contemplazione mistica della foresta, ma nell’aspetto simbolico di una creatura particolare, che esternamente non assomiglia alla foresta, ma che diviene foresta stessa al modo in cui un profumo può essere la sensazione di un intero fiore, vale a dire non resta che vedere la foresta nella sua istantaneità, nell’immagine, per esempio, di un elfo».

 

Maria Paola Forlani



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