Abbiamo detto che «L’esser umano è una creatura senza età fissa», quindi capace sempre di rinnovarsi. Cercarsi prima per trasformarsi, rimanendo sempre se stessi. Tale è la conditio sine qua non io posso catartizzarmi dall’inutile, dall’inautentico, dalle “mode”, dalla convenienza che minano da sempre e oggi in particolare la nostra esistenza. Cambiare nel senso di crescere interiormente, pertanto vivere tale non ha età. In ogni essere umano preme l’exis di aprirsi e dilatarsi al senso pieno della vita. Ma per far ciò ci si deve ritrovare. E ritrovar-si è scendere in noi: è un conoscersi nel senso proprio dell’epigrafe posta sul frontone del tempio di Delfi (poi attribuito a Socrate), conoscere i propri limiti e potenzialità.
È analizzare sé, le proprie possibilità prima di agire in qualsiasi senso. È azione completa entrare, viaggiarsi dentro. Perché si dovrebbe accettare l’inquietudine, l’ansia dell’insoddisfazione, il male, non ignorare le nostre esigenze? Chi conosce sé non può desiderare il male, donde ne deriva il relazionarsi interiormente e andare verso l’altro da me (che è anche in me: pulsioni e desideri inconsci e mai ammessi, mai visti vis à vis). Definirmi verso l’altro è aprirmi nuove prospettive negate, uscire dall’io ed è quindi esagerata passione d'essere, passione d’essere in-sieme, pur essendo soli. Non sembri un ossimoro... Io sono sempre presente a me, sono io sempre, e posso contagiare l’altro da me, contagiare l’altrui. La mia soggettività diventa non pura estetica, non esteriorità. Io mi riconosco corpo e mente, corpo non disgiunto preventivamente dalla mente). Sono tensione verso,sono un cercare. Ho intimità di migrare verso a contatto del mio sé dal quale tendo al sé degli altri, contro ogni egoismo. Noi siamo non tanto occhi sul mondo bensì gli occhi del mondo. Un senso corale d’appartenenza e di ricerca nell’esistenza dell’essere che rischiara, illumina, risveglia il vero che è. E lotto contro la morte, contro ogni sterilità: annullarsi per rimanere sé stessi. Da qui si può benissimo tracciare per sommi capi come tutta la tradizione occidentale sia stata divisa tra Soggetto ed Oggetto, tra Anima e Corpo e via dicendo: chi ne ha più ne metta ma sempre distinzioni arbitrarie. Esiste veramente un solco così netto tra Soggetto ed Oggetto? Il soggetto che ordina l’oggetto, lo domina. Il Soggettivo così diventa pura opinione, dòxa, espressione estetica mentre l’oggetto diviene campo della scienza (episteme: certezza e “dominio della tecnica esasperante”, nella scienza è già insita la tecnica ma la scienza ci è sfuggita di mano perché abbiamo ridotto il mondo, la linfa vitale a mera rappresentazione). Ecco i passaggi per sommi capi.
La scienza classifica l’oggettivo, il certo o l'alquanto probabile, ma non solo il mondo minerale, animale e vegetale, ma anche il mondo dell’uomo. Etichetta l’uomo e la sua esperienza esistenziale. Un vero e proprio dominio dell’uomo visto come fisiologicità, psicologismo, biochimismo e ne sparisce l’essenza: l'umanità. Dovremo aspettare la rivoluzione nietzscheana, gli esiti di Heidegger e giungere alla grande rivoluzione che è stata la Daseinsanalysela quale non poteva che avvenire in paesi germanici dove il primato della coscienza e il pensare teorico e teoretico sono di casa. All’uomo celeste, spiritualità, si passerà a Freud con il suo Uomo istinto o natura giungere, approdare all’uomo come Esistenza! Un modo grandioso di rivalutare l’uomo nella sua complessità antropologica. L’uomo e il suo mondo, senza barriere dicotomiche (soggetto- oggetto). Noi sempre interpretiamo l’oggetto, ma quale? Noi non vediamo un oggetto, preteso dallo scientismo e dallo tecnicismo, qualsiasi ma il “nostro” oggetto, vediamo il nostro mondo, non un mondo idealistico, la sua rappresentazione, onde l’oggetto diventa res, cosa, ciò che ci riguarda. Diventa un nostro bagaglio, un noi, un tutt’uno con il “soggetto”. Per andare oltre lo scientismo ed i suoi devastanti abusi tecnicisti bisogna (necesse est) riappropriarsi di noi non tanto come enti ma come esperienza dell’esser-ci, della nostra esperienza globale, una visione liberatoria che si può intraprendere solo, secondo chi scrive, ripensando l’esperienza fenomenologico-esistenziale, in termini nuovi ovvero un divenire, un cercare non fuori dall’essere ma nell’esser stesso. Il veleggiare continuo di Odisseo non è che metafora di un nostos, per antonomasia, senza fine: mai fermarsi ad Itaca.
Enrico Marco Cipollini