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La cintura di castità (1967) di Pasquale Festa Campanile
04 Ottobre 2013
 

Regia: Pasquale Festa Campanile. Soggetto: Ugo Liberatore. Sceneggiatura: Luigi Magni, Larry Gelbart. Revisione Dialoghi: Ettore Giannini. Fotografia: Carlo Di Palma. Operatore alla Macchina: Alberto Spagnoli. Montaggio: Gabrio Astori. Effetti Speciali: Joseph Nathanson, Lamberto Verdenelli. Trucco: Giannetto De Rossi. Musiche: Riz Ortolani (dirette dall’autore - edizioni musicali CAM). Scenografia: Piero Poletto. Costumi: Danilo Donati. Produzione: Francesco Mazzei per Julia Film. Direttore di Produzione: Luciano Piperno. Aiuto Registi: Elvira D’Amico, Carlo Cotti. Distribuzione: Titanus. Genere: Commedia. Durata. 108’. Eastmancolor. Negativi - Effetti Ottici: Spes Catalucci. Doppiaggio: C.D.C.. Animazioni Titoli: Studio Favalli. Interni: Cinecittà. Interpreti: Monica Vitti (Boccadoro), Tony Curtis (Guerrando), Ugh Griffith (Ibn-El-Rashid), John Richardson (Dragone), Ivo Garrani (duca Pandolfo), Nino Castelnuovo (Marculfo), Francesco Mulè (Rienzi), Franco Sportelli (Bertuccio), Gabriella Giorgelli (moglie del duca), Umberto Raho (monaco), Mimmo Poli (esattore), Leopoldo Trieste, Franco Fantasia, Mariella Palmich, Ugo Adinolfi, Dada Gallotti.

 

L’incontro tra Ugo Liberatore (inventore dell’esotico-erotico), Luigi Magni (cantore della Roma papalina) e Pasquale Festa Campanile produce un singolare precursore del decamerotico, una farsa in costume medioevale interpretata da Tony Curtis (doppiato da Giuseppe Rinaldi) e Monica Vitti.

Pasquale Festa Campanile approfondirà molte idee presenti in nuce in questo lavoro nel successivo Ius primae noctis (1972), portando certe situazioni alle estreme conseguenze.

La cintura di castità è commedia sofisticata, molto americana, incline al tono farsesco e mai sopra le righe. Un pregio e un difetto, al tempo stesso. Vediamo la trama.

Il cavaliere Guerrando (Curtis) viene nominato Signore di un castello dal duca Pandolfo (Garrani), che sta partendo per le crociate dopo aver imposto la cintura di castità alla moglie (Giorgelli), ma lei è d’accordo con il frate per toglierla subito. Guerrando conosce Boccadoro (Vitti) e dopo alcune scaramucce sentimentali, dovute al carattere ribelle della donna, finisce per innamorarsene e sposarla. Il cavaliere è costretto a partire per le crociate senza consumare il matrimonio, dato che il frate confessore (Mulè) aveva raccomandato di osservare le tre notti di Tobia (preghiera e astinenza). Guerrando applica alla sposa la cintura di castità, ma Boccadoro si offende per la mancanza di fiducia e si getta sulle trace dello sposo per recuperare la chiave. Boccadoro e Guerrando vengono catturati dai musulmani, il sultano Ibn-el-Rascid (Griffith) si innamora della ragazza, ma il cavaliere – dopo alcune peripezie comiche – riesce a salvarla. Tutto è bene quel che finisce bene. La coppia torna al castello e ricomincia la vita coniugale.

La cintura di castità è un film importante perché affronta tematiche comiche decamerotiche prima che Pasolini giri Il Decameron (1970) – che darà il via a una pletora di imitatori, alcuni di bassa lega – e perché si presenta come una casta commedia sexy (ante litteram) in costume medioevale. L’ambientazione d’epoca è perfetta, riconosciamo molte sequenze girate a Tuscania, nel piazzale davanti alla chiesa e sulle mura cittadine, tutto è scenograficamente credibile. Alcune scene sono girate sulla spiaggia di Ostia, nelle vallate della zona di Roma e in diversi castelli laziali. Monica Vitti è una donna ribelle, una protofemminista che non vuole cedere alla prepotenza maschile, anche se la sua femminilità la porta a credere nell’amore. Bravissima in un ruolo comico che in alcune scene prevede atteggiamenti sexy, sempre permeati di ironia. Pasquale Festa Campanile inserisce nella storia tutta la misoginia medioevale, soprattutto clericale, che portava a vedere nella donna tutti i mali del mondo, quasi un’incarnazione terrena del demonio. Le donne che si ribellavano allo status quo di sudditanza del maschio venivano bruciate sul rogo come streghe. Tony Curtis recita secondo un registro molto farsesco, quasi da attore del periodo muto, ricorrendo a una comicità slapstick, da cartone animato, visiva e semplice. Nino Castelnuovo è il servo del Signore, che muore in battaglia, ma non si ricorda per un’interpretazione memorabile. Leopoldo Trieste e Gabriella Giorgelli sono sottoutilizzati, così come Dada Gallotti. Bravo Francesco Mulè come fratacchione laido e impenitente, passabile John Richardson come soldato innamorato, impegnato a recitare una posticcia parte romantica. La musica di Riz Ortolani è vivace e brillante, una marcetta medioevaleggiante che a tratti si abbandona a note di scacciapensieri.

La cintura di castità è una buona commedia farsesca in costume, a tratti quasi una pochade, leggermente sexy, ma sfumata sempre per non eccedere. Vitti – Curtis sono una discreta coppia comica. Pasquale Festa Campanile ha fatto di meglio, certo, ma anche questo lavoro giovanile non è trascurabile. Alcuni critici fanno riferimento a L’Armata Brancaleone (1966) di Mario Monicelli come motivo ispiratore della pellicola, ma non vediamo nessi logici, se escludiamo la comune ambientazione medioevale e il tema delle crociate. Nel 1950 Camillo Mastrocinque aveva girato un film dal titolo identico, interpretato da Nino Taranto e Tina De Mola, ma il lavoro di Pasquale Festa Campanile non è assolutamente un remake.

Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): «Farsa medioevale nata sull’onda del successo dell’Armata Brancaleone. Niente di grave, salvo che l’assortimento tra Tony Curtis e Monica Vitti non dà i risultati sperati». Morandini assegna una stella come giudizio critico e due come valutazione del pubblico. Tre stelle per Pino Farinotti, il solo critico illustre che come noi ha trovato in questa pellicola validi spunti di riflessione.

 

Gordiano Lupi


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