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Lidia Menapace. Lampedusa: Che fare?
'Sempre più affollato il cimitero che è dentro di noi' (Rita Bernardini, 03/10/2013) 
04 Ottobre 2013
 

Tutto ciò premesso (cioè deprecato, protestato indignati/e – sì, disprezzati e maledetti chi dice parole a vuoto ecc. ecc.), che fare?

Intanto rendersi conto e stamparsi bene in testa e pancia che non si tratta di un'emergenza.

Comincia, è già cominciata, nel peggiore dei modi una fase storica, un evento di portata straordinaria, capace di mutare le relazioni tra persone popoli continenti, come appunto sappiamo che già avvenne con quelle migrazioni di popoli che siamo soliti/e chiamare invasioni barbariche, quando gli antenati dei leghisti, i Celti e i Longobardi occupavano la Lombardia.

A ciò bisogna attrezzarsi: ad esempio vietare vendita esportazione fabbricazione di armi da vendere ai paesi poveri, e mandarci le imprese che costruiscono strade ferrovie pozzi acquedotti: in fin dei conti persino una Tav è meglio di un F35. In breve e alla buona mutare da capo a piedi quel che definiamo modello di sviluppo. La popolazione locale va nutrita per qualche mese acciocché si rinforzi bene e poi invitata ai lavori citati e a tutte le attività lavorative agricole scolastiche sanitarie ecc. ecc., sempre avendo sentito la popolazione locale in proposito. È solo un primo disordinato elenco di cose da fare, ma tanto per far capire l'ordine delle cose. Per avviare tutto questo, che è solo un modesto inizio, bisogna fare un rivolgimento della realtà esistente che comprende politica estera, commercio con l'estero, lotta al militarismo, istituzioni internazionali ecc. ecc.

 

Ma per meno non serve impegnarsi. Si può cercare di salvarsi l'anima con un po' di crucciato sdegno “etico” o con la ricerca di aggettivi più altisonanti.

L'unico sentimento adeguato è la vergogna (di non saper fare altro che vergognarsi).

 

Lidia Menapace


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